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Partito Radicale Silvja - 23 dicembre 1997
ARLACCHINATE / 4
Storia a puntate su come Arlacchi Pino combatte la droga e la criminalità

LA TRAGEDIA DI UNA GUERRA RIDICOLA

Di Carmelo Palma e Marco Cappato - L'Opinione, 23/12/1997

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"I profitti che si fanno nell'industria delle droghe illegali sono tali da essere appena scalfiti dai sequestri I trafficanti hanno ampi incentivi per sopportare i costi dei sequestri, perché i profitti che realizzano su di una mera frazione delle droghe che riescono a trafficare possono coprire i costi della parte perduta. Una stima prudente indica che occorrerebbe intercettare almeno i tre quarti dei carichi di droga per ridurre sostanzialmente i margini di profitto dei trafficanti".

Se queste sono le premesse, quali devono essere le conseguenze? Ma le premesse sono vere? Arlacchi non dovrebbe avere dubbi in proposito, visto che la frase citata non si deve alle "esagerate" preoccupazioni di una organizzazione antiproibizionista, a cui l' UNDCP imputa il "disarmo morale" dell'occidente di fronte alla diffusione delle droghe, ma dallo stesso UNDCP, che nel Rapporto Mondiale sulle Droghe (Oxford University Press, 1997) non manca di sottolineare il termini espliciti l'impotenza della comunità internazionale e l'inadeguatezza degli strumenti che le normative mettono a disposizione. E dunque?

Secondo il Dipartimento di Stato Americano, negli ultimi 5 anni - dall'inizio della rivoluzione talebana- la produzione di oppio in Afganistan è raddoppiata, passando dalle 640 tonnellate del 1992 alle 1230 del 1996, dopo essersi più o meno mantenuta costante per il quinquennio precedente (con produzioni mai superiori a 750 tonnellate). Nel mondo (stando al World Report) la produzione di oppio è complessivamente triplicata nell'ultimo decennio. Tanto le politiche di eradicazione forzata (affidata ad operazioni di polizia internazionale che costituiscono l'unica vera forma di imperialismo politico ed ideologico, che senza alcun dubbio è da addebitarsi ai governi statunitensi), quanto quelle di sostegno economico ai paesi produttori si sono rivelate fallimentari. Né le sanzioni né gli aiuti si sono dimostrati sufficientemente competitivi con l'incentivo costituito dalla proibizione delle sostanze. Alla lunga, bisognerebbe rovesciare anche il "canone" interpretativo- di sapore sinistramente terzomondista- che v

oleva i paesi produttori di droghe condannati alla illegalità dalla povertà. Si dimostra infatti sempre più plausibile quello che, al contrario, imputa il sottosviluppo e la miseria, in cui vastissime aree del mondo sono confinate, al permanere di un monopolio criminale sulle attività economiche più redditizie- quelle illegali appunto-, che consente agli "operatori" di esercitare un controllo pressochè assoluto del territorio e della vita civile.

Fra pochi mesi, nel giugno del 1998, vi sarà una sessione speciale dell'Assemblea Generale dell'ONU, che dovrà discutere degli esiti delle legislazioni proibizioniste, a 10 anni di distanza dall'adozione della Convenzione Internazionale sulle sostanze stupefacenti (Vienna, 1988). Rischierà di essere, con ogni probabilità, una occasione perduta, un'orgia di retorica in cui i singoli paesi ribadiranno i propri impegni, senza preoccuparsi di mantenerli, e la comunità internazionale continuerà a dichiarare una guerra che nessuno riesce neppure a combattere, ma che in compenso annovera migliaia di generali.

Già oggi il proibizionismo è alla base di una corruzione giuridica intollerabile per regimi liberali, che si aggiunge a quella politica ed economica che i profitti criminali esercitano sulla vita degli stati e degli individui; e anche, a volte, su quella dei generali dell'antidroga. Basti pensare che lo scorso anno il capo dell' "antidroga" del Messico, Rebollo, fu arrestato per collusioni con la criminalità internazionale.

Nei prossimi anni i singoli stati rischiano di essere costretti ad aggravare le legislazioni in senso punitivo, ad accrescere il bilancio della repressione del traffico e della domanda di droghe (che, giusto per offrire un termine di paragone, negli Stati Uniti ha raggiunto lo scorso anno la cifra di 14 miliardi di dollari), e a riversare, quindi, il costo sociale ed economico della propria impotenza su cittadini già costretti quotidianamente a pagare il prezzo imposto dall'inquinamento criminale dell'economia legale e della vita civile. In futuro la war on drugs diventerà la piu' invocata e "legittima" giustificazione per ogni sorta di restrizione burocratica e poliziesca alla circolazione di persone, beni e capitali.

Non c'è dubbio che Arlacchi, di qui a giugno, non sarà parco di promesse. Con un bilancio di qualche decina di milioni di dollari (nel biennio 94/95, per dare una idea, fu di circa 150 milioni di dollari, comprensivo delle spese di "gestione" burocratica), l'UNDCP si impegnerà ad arginare economicamente un fenomeno (la diffusione delle droghe proibite), i cui proventi sono pari a 400 miliardi di dollari.

Come spesso accade, il tragico ed il ridicolo coincidono.

(fine)

Carmelo Palma

Marco Cappato

 
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