dall'inviato Fabio Cannillo
(ANSA) kigali, 12 mar ruanda un anno dopo: la gente passeggia tranquillamente per le strade di kigali, la capitale 'delle mille colline', i ristoranti sono pieni e sugli edifici non vi e' quasi segno del conflitto che pur nella sua inaudita violenza e crudelta' sembra aver colpito solo le persone, lasciando intatte le cose.
ma un milione di morti e un numero almeno doppio di profughi non sono ferite che si cicatrizzano in pochi mesi e lo ha constatato in questo fine settimana la commissaria europea per gli aiuti umanitari emma bonino, che a poche settimane dal suo insediamento presso l'esecutivo comunitario di bruxelles e dopo una prima missione in bosnia e' venuta a rendersi conto di persona nel cuore dell'africa dei risultati dello sforzo senza precedenti messo in atto dai paesi dell'ue per fronteggiare l'emergenza.
il miliardo di dollari erogato dai quindici ha dato e sta dando i suoi frutti: echo, l'ufficio della commissione europea per gli auti umanitari che coopera strettamente con l'alto commissariato dell'onu per i profughi, e' capillarmente presente in ruanda e nel vicino burundi e con i fondi comunitari funzionano decine di organizzazioni del volontariato internazionale, tra cui molte italiane.
dietro la facciata della 'normalizzazione' restano pero' irrisolti i problemi dell'instabilita' politica (come dimostrano i minacciosi sviluppi nel burundi, dove potrebbe riaccendersi la miccia del decennale conflitto tra le etnie tutsi e hutu), dei rifugiati che non vogliono o non possono tornare alle loro case e del sangue versato che continua a incombere nella memoria collettiva.
assieme a una fitta serie di colloqui con i nuovi dirigenti dei due paesi tutti almeno a parole impegnati in un'opera di pacificazione e riconciliazione emma bonino ha cosi' anche potuto vedere o farsi raccontare dei 13.500 crani casualmente ritrovati nelle ultime due settimane in una fossa comune nel centro di kigali, lungo la strada che costeggia l'ospedale.
o visitare nei pressi della capitale la chiesa di ntarama, dove sono stati lasciati come macabro memento non solo gli inginocchiatoi rovesciati e i cumuli di stracci che una volta erano i vestiti di quattro o cinquemila donne, bambini e anziani del villaggio, ma gli stessi resti delle vittime di uno dei tanti frammenti del massacro.
altra faccia della medaglia e' invece la prigione di kigali, una sorta di recinto in mattoni senza celle nei cui cortili esposti alle intemperie sono ammassate, letteralmente le une sulle altre, in una cupa e inimmaginabile atmosfera da bolgia dantesca, sette o ottomila persone.
tutte compresi i bambini di sei anni presunte colpevoli di genocidio, ma tutte mai formalmente imputate e mai nemmeno interrogate, non fosse altro che per la totale scomparsa dal paese della classe dei magistrati.
a questo punto, la commissaria venuta da bruxelles non e' piu' la semplice amministratrice di un pacchetto per quanto cospicuo di aiuti umanitari, ma diventa la voce dell'europa che si ribella. la pacificazione e la riabilitazione del ruanda, dice, premessa tra l'altro indispensabile per il ritorno dei profughi, non puo' avvenire punendo un intero popolo.
gli arresti di massa in base alle delazioni non fanno che porre le basi del prossimo massacro, mentre storicamente ai conflitti si pone fine con le amnistie. non si tratta di dimenticare o perdonare afferma ma se si facessero dei rapidi processi con tutte le garanzie di legge a 40 o 50 dei capi del genocidio si potrebbe forse essere piu' morbidi verso le migliaia di persone che hanno si' partecipato alla strage, ma non ne sono state ne' gli ideatori ne' gli istigatori.
all'aja conclude da commissaria esiste gia' un tribunale dell'onu per i crimini di guerra nella ex jugoslavia e ci siamo battuti per averne uno anche per il ruanda. se vogliamo non solo punire a posteriori i perpetratori delle stragi, ma creare un deterrente in futuro, occorre che tale foro internazionale sia permanente e con competenza su tutto il mondo. (ansa).