Infatti la Corte, dopo aver affermato che "l'esigenza fondamentale di funzionamento dell' ordinamento democratico rappresentativo non tollera soluzioni di continuità nell'operatività del sistema elettorale del Parlamento" (pag. 54), cade poi in una palese contraddizione quando afferma che "deve escludersi che dai precetti contenuti negli art. 60 e 61 della Costituzione possa trarsi il principio secondo cui, in assenza di una espressa previsione legislativa, l'applicabilità di una nuova normativa elettorale sia, in deroga ai criteri generali che regolano la successione delle leggi nel tempo e l'inizio e la cessazione della loro efficacia, automaticamente procrastinata fino a che la stessa non sia completata al fine di renderla operativa, con conseguente ultrattività medio tempore della legge anteriore" (pagg. 59 - 60). "Una conferma di ciò - aggiunge la Corte - si ricava dal fatto che l'art. 10 della legge 4 agosto 1993, n. 277, il quale posticipò l'efficacia delle nuove norme elettorali introdotte dalla leg
ge medesima fino all'entrata in vigore del decreto legislativo di determinazione dei collegi uninominali, fu introdotto, come chiaramente si evince dalla lettura integrale dei lavori parlamentari sul punto, non già a scopo ricognitivo di un principio esistente, bensì in quanto prevalse nettamente la tesi secondo cui, in assenza di una tale norma transitoria, si sarebbe verificato un vuoto legislativo con l'effetto di impedire il ricorso eventuale a nuove elezioni" (pag. 60).
Giova ricordare che, con il sistema maggioritario basato sui collegi uninominali, qualsiasi modifica delle disposizioni che regolano il numero e la distribuzione dei seggi, nonché il rapporto tra quota maggioritaria e proporzionale, comporta la necessità di ridisegnare tutti i collegi elettorali (che sono stati costituiti con atto avente forza di legge). Ne consegue che, tra l'entrata in vigore della legge e la sua attuazione attraverso la revisione dei collegi, vi è inevitabilmente un lasso di tempo durante il quale la vecchia legge è abrogata e la nuova non è operativa.
In questa situazione (nuova rispetto a quella in cui operava il sistema proporzionale), negare l'esistenza del principio di ultrattività della legge elettorale anteriore sino alla completa attuazione della nuova significa arrecare un vulnus alla rappresentatività del sistema. Infatti, in caso di modifica della legge elettorale (ad esempio, l'incremento della quota di seggi uninominali maggioritari al 90 per cento), nel lasso di tempo necessario a rivedere i collegi elettorali non vi sarebbe disciplina elettorale, essendo la la vecchia legge abrogata e la nuova non operativa. D'altra parte, eludendo il dovere costituzionale di dare attuazione alla nuova normativa, questo lasso di tempo potrebbe addirittura essere protratto senza limiti: basterebbe impedire nei fatti (con il ben noto "ostruzionismo di maggioranza") l'approvazione della nuova mappa dei collegi per ottenere l'effetto di rendere impossibile il rinnovo delle Camere.
Lo stesso potere del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere, sia per scadenza ordinaria sia anticipatamente ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione, verrebbe leso gravemente.
La Corte Costituzionale ha così aperto un varco pericoloso che può essere utilizzato per aggirare il principio di rappresentatività delle Camere, permettendo che siano elusi i comandi costituzionali della durata delle Camere, del divieto di proroga e del limite entro il quale devono essere elette le nuove Camere (settanta giorni dallo scioglimento delle vecchie). La Costituzione verrebbe travolta. Da un sistema democratico potremmo passare ad un'autocrazia.
Ad una maggioranza parlamentare che volesse impedire lo scioglimento delle Camere, o che volesse comunque spostare più in là nel tempo la loro scadenza, basterebbe apportare anche piccole modifiche alla legge elettorale (per esempio, l'abbassamento della quota proporzionale al 24 per cento !) e poi impedire l'approvazione delle disposizioni attuative. In mancanza del principio di ultrattività, il rinnovo delle Camere sarebbe consegnato nelle mani della maggioranza parlamentare.
L'affermazione della Corte secondo la quale "di fronte all'inerzia del legislatore, pur sempre possibile, l'ordinamento non offre comunque alcun efficace rimedio" (pag. 59), comporta che nella stessa decisione della Consulta si debba leggere un monito esplicito agli organi di garanzia e di indirizzo perché provvedano ad ovviare ai rischi di "crisi del sistema di democrazia rappresentativa". E' opportuno allora che gli organi costituzionali dello Stato esaminino con attenzione la sentenza stessa al fine di assumere le iniziative istituzionali necessarie a chiarire l'esistenza del principio negato dalla Corte ed eventualmente a sancirlo nell'ordinamento con una espressa previsione legislativa.