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Agora' Agora - 4 settembre 1995
IL MESSAGGERO 3 SETTEMBRE 1995 : "SE IO FOSSI PANNELLA"
di Federico Orlando

pag.II

Se io fossi Marco Pannella non imiterei il contrammiraglio austriaco Tegettoff. Quel valoroso, dopo averci fatto a pezzi il 20 luglio 1866 nelle acque di Lissa, durante la Terza guerra d'indipendenza, disse ai suoi marinai: "uomini di ferro su navi di legno sconfissero uomini di legno su navi di ferro" . Se fossi Pannella, cioè, non penserei che i miei uomini, impegnati a raccogliere firme per i diciotto referendum entro la metà di settembre, sono uomini di ferro su tavolini di legno, mentre quelli di noi che non firmano sono uomini di legno su automobili di ferro che li portano a zonzo. Penserei, anche a costo di non chiamarmi più Pannella, due cose. La prima è che da un bel po' di tempo a questa parte, i referendum hanno cessato di essere fine a se stessi e sono diventati strumenti ciechi d'occhiuta rapina, come si diceva nella poesia civile dell'Ottocento: cioè dichiarano un fine ma vogliono conseguirne un altro. A maggio scorso per esempio abbiamo votato per referendum che in nome della lotta al monopoli

o volevano smantellare il sistema Fininvest. La lotta al monopolio (se il monopolio non è inevitabile o "naturale") è sempre sacrosanta: ma quando il monopolio è quello dell'avversario politico, il referendum promosso da una parte diventa strumento contro l'altra, mira non tanto a dare la libertà d'antenna a tutti quanto ad indebolire l'avversario. Accadde già con i referendum antinucleari: promossi per abrogare incentivi ai Comuni che ospitavano le centrali, finirono con la fuoriuscita dell'Italia dal nucleare, con grande gioia dei petrolieri, che alimentano le nostre centrali termoelettriche, e dei nostri cugini francesi, che ci mandano a caro prezzo l'energia prodotta nelle loro centrali elettronucleari a ridosso della frontiera italiana. Non vorrei dunque che anche i miei ultimi 18 referendum venissero manipolati come strumenti di altri progetti che non sono quelli dichiarati nei quesiti (legalizzazione delle droghe leggere, uninominale secca, abolizione dei tre maestri per cattedra, eccetera.): venisser

o invece considerati come il programma "riformatore" di un nuovo Governo da mettere a Palazzo Chigi al posto di Dini. Un governo presieduto da me stesso. In verità sono stato proprio io ad accreditare quest'uso strumentale dei miei 18 referendum. Ho detto, infatti, che invece di seguire Fini, Berlusconi e D'Alema nelle loro pretese di votare dopo la Finanziaria, conviene fare un grande Governo che prenda come base, appunto, le mie diciotto proposte. Per fare che cosa, mi chiedete? Non tanto le riforme referendarie, ma il bipartitismo perfetto. Voi mi direte: che ci azzecca? Ci azzecca, perché i favorevoli ed i contrari ai miei referendum riformatori stanno sia nel calderone di destra sia in quello di sinistra. E allora io metto i miei 18 referendum nei due calderoni e la gente che vi sta dentro si spacca: i riformatori vanno con i riformatori, i conservatori con i conservatori. Avremo così anche in Italia il bipartitismo all'americana: il partito dei riformatori ed il partito dei conservatori. Altro che Polo

della libertà e Polo dei progressisti. Sì, fossi Pannella farei questo sogno, ma poi mi sveglierei e penserei un'altra cosa: che questi sogni sono i ritorni inconsci del mio radicalismo; cioè di quel radicalismo illuminista che non fa mai i conti con la storia, la quale ci insegna che la ciambelle non escono col buco a Washington (vedi presidenzialismo) possono uscire male a Brasilia o magari a Roma. Eppure me l'avevano detto i maestri liberali di rileggere il "Saggio Storico" sulla Rivoluzione Napoletana di Vincenzo Cuoco: dove si narra come gli illuministi meridionali, volendo ripetere a Napoli la Rivoluzione francese quasi fossero a Parigi, si trovarono anziché alla testa del popolo contro il popolo che giocò con le loro teste sulle forche del re Borbone ( e dell'ammiraglio inglese Nelson, suo alleato). Insomma, se fossi Pannella cercherei di convincermi che l'idea di "cambiamento" prima di tutto non è patrimonio di qualcuno che se ne autoinveste; in secondo luogo che non sempre il "cambiamento" indicato

è un progresso rispetto alla situazione esistente o ad altri cambiamenti possibili. Dove è scritto per esempio che il presidenzialismo USA sia meglio del cancellierato tedesco e del parlamentarismo britannico? Ecco perché ci andrei piano con gli sprezzanti giudizi alla Tagettoff sugli "uomini di legno" sconfitti a Lissa, anche perché pochi decenni dopo gli "uomini di ferro" furono disfatti per sempre a Vittorio Veneto.

 
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