Lira a picco / parla un Commissario europeoIl presidente del Consiglio è un ottimo leader. Ma l'Italia, agli occhi dei nostri partner, ha un handicap: il governo tecnico. Ecco perché, a metterci in crisi, basta la battuta di un ministro tedesco.
L'ESPRESSO - 1 ottobre 1995
colloquio con Emma Bonino - di Maurizio Valentini
La lira? "Non entrerà nell'Unione monetaria europea" (Theo Waigel, ministro delle Finanze tedesco). L'Italia? "E' il più leale cagnolino d'Europa" ("Times", mercoledì 20 settembre). I politici italiani? "Non riescono ad andare oltre un orizzonte temporale di qualche giorno" ("Frankfurter Allgemeine Zeitung", giovedì 21 settembre).
Tre colpi sparati in 48 ore. E andati a segno. Venerdì 22 settembre, ore 8.40: la lira apre a 1.122,50 sul marco tedesco. Quaranta minuti dopo, alle 9.20, la moneta tedesca balza a 1.133,50: undici lire bruciate in meno di un'ora. Alle 9.39 i cambisti della Banca d'Italia ricevono l'ordine più temuto: vendere marchi per comprare lire. Ed è solo l'inizio di una giornata campale. I mercati internazionali mettono sotto accusa non solo la drammatica situazione della finanza pubblica italiana. A essere guardato con preoccupazione è l'intero sistema italiano che, a giudizio dei detrattori, minaccia di infettare i partner europei con i suoi malanni. Ma è proprio vero che le cose stanno così? Lo chiediamo a Emma Bonino, radicale da sempre, entrata in Parlamento con i Riformatori di Marco Pannella nelle file del Polo delle Libertà alle elezioni del 27 marzo 1994. Dal 29 ottobre del 1994 è Commissario europeo per la tutela dei consumatori, gli aiuti umanitari e la pesca. Vive e lavora a Bruxelles.
D. Commissario Bonino, il suo è un punto di osservazione privilegiato: quanto pesa l'anomalia italiana a Bruxelles?
R. La mia impressione è che la critiche maggiori al nostro Paese vengano svolte soprattutto nelle diverse capitali europee. Tra i miei colleghi, tra i dirigenti dell'Unione europea mi sembra che non ci sia alcun pregiudizio: i problemi italiani sono un po' i problemi di tutti. Anzi mi sembra che negli ultimi anni sia molto cresciuta la stima e la considerazione con cui tutti si accostano al caso Italia.
D. Da più parti però vengono avanzate perplessità: l'esclusione dell'Italia dall'Unione monetaria ipotizzata da Theo Waigel sembra la prova più concreta di questa sfiducia...
R. A ma sembra che oggi come oggi, cioè a tre anni da queste scadenze monetarie, nessuno può dire o prevedere quale paese potrà o non potrà entrare in Europa. Credo che il nostro destino sia nelle mani del governo italiano e non in quelle di questo o quel ministro tedesco, o francese o inglese.
D. Ma è proprio questo il punto: i tedeschi che forse sono un po' sgarbati, ma hanno il pregio di dire le cose chiaramente , sembrano contestare questa capacità di governo. Non le sembra?
R. Credo che i tedeschi, e qui a Bruxelles ho molti contatti sia con i politici che con i tecnici, facciano fatica a capire per quale motivo il risanamento italiano vada tanto a rilento. Per loro, avere il bilancio dello Stato in ordine è una questione prepolitica: tutti i partiti in altre parole, dovrebbero condividere lo stesso obiettivo in materia di finanza.
D. Si sa i tedeschi in materia sono rigorosissimi: ricordano ancora l'inflazione astronomica della Repubblica di Weimar. Francesi ed Inglesi invece come ci considerano?
R. I francesi ci sentono davvero molto vicini. In un primo tempo Tangentopoli è stata vista come una sorta di peste italica. Poi però si sono resi conto che il morbo era presente anche nel territorio nazionale. Oggi mi sembra siano molto cauti nel tranciare giudizi. La presidenza Chirac, inoltre, è più tiepida sull'unificazione europea: teme che la Francia possa rimanere stritolata da un abbraccio tedesco. Chirac ci tiene molto che nell'Europa di Maastricht entri anche l'Italia. Sarà per ragioni di egoismo, ma certe volte va bene anche l'egoismo.
D. E gli Inglesi?
R. Mi sembrano molto ripiegati sui propri problemi. Lì lo scontro tra euroscettici ed eurottimisti è una cosa seria : taglia a metà i partiti, determina vittorie o sconfitte elettorali. Per esempio io che pur segue da vicino queste cose, non ho ancora ben capito se Tony Blair (il leader dell'opposizione labourista) sia o meno un europeista. Né se Blair sia più a favore dell'Unione di quanto lo sia John Major. In ogni caso la sterlina è fuori dallo Sme come la Lira: non credo che gli inglesi abbiano voglia o interesse a tenere l'Italia fuori dell'Europa. Semmai sono loro che vogliono rimanere al margine.
D. Malgrado questo atteggiamento nessuno sembra ostile all'entrata della Gran Bretagna nell'Unione Europea. Perché solo l'Italia è sotto accusa?
R. Potrei rispondere banalmente che la questione è esclusivamente finanziaria . La Gran Bretagna ha conti pubblici più in ordine dell'Italia. Ma in realtà non è questa la vera ragione. Il problema italiano è la politica italiana. O meglio la mancanza della politica. Qui a Bruxelles fa molto effetto questa storia del Governo tecnico. Dini è molto bravo: il suo rigore è apprezzato da tutti , la sua capacità di governare l'economia è indiscussa.
D. E allora qual è il problema?
R. E' molto semplice, si riassume con una domanda che mi sento fare sempre più spesso: quand'è che Dini se ne va? Perché mai i Italia non c'è un governo come quelli di tutti gli altri Paesi europei? Io rispondo, provo a spiegare: ma tutti, dopo aver annuito comprensivi, tornano alla carica. Perché il Parlamento non vota la fiducia ad un Governo politico? E perché mai, se ciò è impossibile, il presidente Scalfaro non scioglie le Camere e indice nuove elezioni? Guardi che a Bruxelles l'anomalia italiana è soprattutto questa: che ne sarà del paese quando finalmente tornerà alla politica?
D. Poche settimane fa, però, il cancelliere Helmut Kohl ha espresso pieno appoggio a Dini. I tedeschi hanno cambiato idea?
R. No, non credo sia questo il punto. Credo che Dini sia un ottimo capo di governo e credo che goda ancora di tutta la stima ed il sostegno possibile. Il punto è che il suo governo è un governo tecnico che per definizione può stare in piedi per un periodo di tempo limitato. Questo periodo sta finendo. E non si capisce che cosa avverrà dopo. E' questa incertezza che rende l'Italia un Paese anomalo agli occhi dei nostri partner europei.
D. Eppure, ogni volta che il governo Dini vacilla la lira soffre. I mercati internazionali sembrano contrari alle elezioni.
R. I mercati soffrono sempre in vista delle elezioni. Il punto è che la comunità internazionale sia quella politica che quella degli affari, vuole sapere cosa c'è dopo il governo tecnico.
D. L'unico modo per superare questa incertezza per lei è andare alle elezioni?
R. Ritengo che debba concludersi l'esperienza del governo tecnico. Ritengo però in modo assai forte che arrivati a questo punto si debba evitare a tutti i costi di andare alle elezioni durante il semestre italiano di presidenza europea. Quella sarebbe davvero una follia: dobbiamo utilizzare questo periodo per rimettere in moto una strategia politica per l'Europa, e dobbiamo migliorare anche l'immagine e la considerazione che abbiamo fra i partners comunitari. Far gestire l'Europa ad un governo dimissionario mi sembrerebbe davvero l'ultima follia italiana.