LE NOSTRE RUBRICHEREFERENDUM?
NON SONO TROPPI
di Giampaolo Boccaccini
Ci sia consentito di esprimere un'opinione controcorrente in materia di referendum.
L'articolo 75 della costituzione, come noto, è stato il frutto di uno dei tanti compromessi raggiunti in assemblea costituente tra impostazioni politiche e ideologiche contrapposte: ne è uscito un istituto assai più "debole" di come alcuni avrebbero voluto e caratterizzato da vari limiti e cautele; non è nemmeno di poco conto rilevare che ne è stata data attuazione con decenni di ritardo rispetto all'entrata in vigore della costituzione, e nel modo curioso se non bizzarro che sappiamo (oggetto di scambio, in sostanza, con la legge introduttiva del divorzio)
Ma il dibattito in tema di referendum abrogativo si è fatto particolarmente vivace quando le richieste sono diventate assai numerose, quando il corpo elettorale è stato chiamato a pronunciarsi sempre più spesso, quando le dimensioni quantitative dei quesiti e talvolta la loro complessità tecnica hanno creato problemi di comprensibilità da parte dell'utente dell'istituto. Chi scrive nutrì dubbi in occasione dell'ultima tornata referendaria e si chiese, con vari altri, se non fosse opportuno proporre delle limitazioni. A ragion veduta, mentre quei dubbi permangono nella generalità dei commentatori, ci sembra invece che possano essere almeno in parte fugati.
Il referendum abrogativo, di per sé, pur non tipico di un regime parlamentare (ma il nostro, lo si sa, è un sistema consapevolmente "atipico") tende a rafforzare il pacchetto degli istituti di democrazia diretta senza peraltro cedere al corpo elettorale il potere di sconfessare incondizionatamente l'operato del potere legislativo. In primo luogo non è tanto scontato riuscire comunque a raggiungere la soglia delle cinquecentomila firme per ogni richiesta referendaria; oltre il secondo comma dell'articolo 75 esclude (peraltro comprensibilmente) una serie non irrilevante di materie dalla sottoponibilità a referendum; in terzo luogo, ai sensi del quarto comma del medesimo articolo, occorre - come condizione preliminare perché la proposta soggetta a referendum sia approvata - la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto.
Si aggiunga che le richieste referendarie sono sottoposte al controllo dell'apposito Ufficio presso la Corte di Cassazione e quindi al giudizio di ammissibilità presso la Corte Costituzionale (la quale, come vedremo a suo tempo esaminando criticamente le sue pronunce in materia) si è data una filosofia comportamentale non certo permissiva). Non si può sostenere che la Consulta rischi la paralisi dei suoi lavori perchè sovraccaricata da tali giudizi, in quanto le viene assegnato, per esprimerli, un tempo contingentato e relativamente brevi.
Ciò posto, un dubbio non di poco può e deve residuare: il comune cittadino, trovandosi con sempre maggior frequenza ad esprimere un giudizio su questioni non sempre facilmente comprensibili, si sente partecipe di una sorte di rapporto dialettico nei confronti degli organi rappresentativi che ha contribuito ad eleggere, ovvero piuttosto infastidito per quello che può ritenere un abuso di un diritto peraltro costituzionalmente garantito?
Una risposta sorge spontanea: nel caso del referendum abrogativo la non partecipazione al voto non suona come disaffezione e contestazione nei confronti dell'uso dell'istituto, come precisa manifestazione di volontà; in altre parole, non partecipare alla votazione significa esprimersi pur sempre sulle questioni referendarie in gioco.
In ogni caso, proprio nell'ultima tornata, in presenza di una massa di quesiti mai così corposa, non si possono non rilevare due dati di fatto incontestabili: in primo luogo qualcosa è stato finalmente realizzato in tema di spiegazione in termini accessibili di ciò che obiettivamente non risultava facilmente intellegibile; in secondo luogo il corpo elettorale, lungi dal votare sistematicamente in senso affermativo o negativo a seconda delle indicazioni delle forze politiche, si è espresso in modo assai variegato e articolato. Ha capito ciò che andava a votare e ha deciso secondo scienza e coscienza. i referendum costano? Si ha un'idea di quanto beneficerebbero le casse dello stato di una finanziaria che fosse veramente "equa"? Andare alle urne resta il sistema meno peggiore che si sia ancora trovato per garantire la partecipazione popolare: non si abbia paura del suo concreto esercizio.