articolo di Domenico Settembrini
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In qualunque modo vada a finire quella che "La Repubblica" ha definito la Pannelleide - scenda il leader radicale nell'arena elettorale quale cavaliere solo, sia contro il Polo che contro il centro-sinistra; o si lasci all'ultimo coinvolgere dai suoi alleati di ieri in una sorta di cobelligeranza contro l'Ulivo, riccorrendo ad una forma più o meno lambiccata di desistenza - una cosa emerge da tutta la tormentata vicenda dei rapporti dei riformatori con il Polo con grande evidenza: quanto maggioritario e bipartitismo stiano stretti a Pannella e, più in generale, a quei movimenti trasversali di opinione, di cui egli è stato l'infaticabile - e molte volte meritorio - suscitatore.
Non a caso la filosofia che sta alle spalle del Pannella delle epiche battaglie per il divorzio e per l'aborto o del Pannella che porta Tortora, vittima della mala giustizia, dalla ignominia delle manette e del carcere alla luce della purtroppo tardiva assoluzione, è una filosofia radicalmente antipartitica. Essa risale ad un esule liberale russo, Moisei Ostrogorski. Questi nel 1903 pubblica un libro: "La democrazia e i partiti politici", in cui denuncia il partito omnibus, il partito che si occupa di tutto, che su tutto deve avere una sua posizione, ed è quindi obbligatorio a costruirsi un vasto apparato dagli altissimi costi, per fronteggiare i quali si trasforma in agente di corruzione di tutto il corpo sociale. La democrazia cui pensa Ostrogorski è quindi una democrazia senza partiti, al cui posto egli immagina, troppo semplicisticamente, leghe tematiche e temporanee di cittadini che si battono per determinare obiettivi e si sciolgono dopo averli raggiunti.
Attraverso Gaetano Salvemini, che conobbe l'opera di Ostrogorski durante l'esilio romano, ed Ernesto Rossi, al quale si deve una denuncia del costo dei partiti e della inevitabile corruzione (che a leggerla a trent'anni di distanza appare la previsione "scientifica" di Tangentopoli), queste idee sono arrivate a Marco Pannella, discepolo di entrambi e animatore del partito radicale, partito senz'altro sui generis, inconfondibile rispetto a tutti gli altri.
In un certo senso, anzi, partito antipartito. La doppia tessera, per cui era ammesso a far parte del Pr anche chi era iscritto ad altro partito; la formazione nel 1966 della Lega Italiana del divorzio, che sembrava uscita pari pari dalle pagine di Ostrogorski; l'animazione di innumerevoli gruppi di pressione a favore dell'obiezione di coscienza, dell'emancipazione femminile, contro la discriminazione omosessuale, solo per citare i più significativi; il divieto di assumere funzionari: tutto contribuisce a fare del partito di pannelliano una sorta di centro di raccordo e di promozioni di associazioni di battaglie su singoli problemi. Vale a dire qualcosa di costituzionalmente diverso non solo da una Dc o da un Pci, ma anche da un partito repubblicano che si oppone a quello democratico, da un partito Tory che si oppone a quello laburista, e quindi anche da un partito come Forza Italia che si oppone al Pds.
Se è vero che le leghe tematiche non possono sostituirsi integralmente ai partiti, la loro funzione, tuttavia, non viene affatto meno quando si passa da un regime partitocratico al più impeccabile dei regimi bipartitici. Anzi, si può dire che in un sistema bipartitico - con entrambi i partiti protesi alla conquista dell'elettorato moderato ed intermedio, e quindi portati a presentarsi con programmi per forza di cose non radicalmente difformi - cresca il bisogno di forze, di movimenti, di partiti, di leghe (poco importa come li si voglia chiamare) che agitino nell'opinione pubblica quei problemi vitali, che, nella storia, sono sempre avvertiti per la prima volta dalla coscienza di ristrette minoranze.
Alla base delle attuali difficoltà di Pannella sta il non aver capito che la caduta della partitocrazia gli offriva due diverse possibilità, che però si escludevano a vicenda: aspirare a far parte della leadership di uno dei due poli dell'edificanda democrazia dell'alternanza, oppure prepararsi ad assolvere, in una situazione profondamente mutata, la sua funzione di sempre di bastian contrario, di coscienza critica, di pungolatore del potere, ma soprattutto delle coscienze dei cittadini. Il suo passato, anche se non privo di errori imperdonabili - come, tra gli altri, l'aver portato alla Camera Toni Negri e Cicciolina -, lo abilitava ad entrambi i ruoli: per portare alla vittoria il divorzio, sensibilità morale, determinazione inflessibile, generosità non sarebbero bastate, occorreva anche quella stoffa politica di cui sono fatti i leader.
L'insieme delle sue doti e dei suoi difetti, nonché la lunga esperienza avrebbero però dovuto additare a Pannella la strada di sempre, sia pure con le necessarie innovazioni. Come può Pannella pretendere, infatti, di imporre al Polo un programma in cui molti punti - dalla legalizzazione delle droghe leggere al riconoscimento delle coppie gay - non sono condivisi da tantissimi cittadini anche non cattolici? Sono questioni per le quali il ricorso al referendum appare assai più appropriato che per molti referendum che Pannella, negli ultimi tempi, ha promosso a valanga. Incurante dell'usura cui in questo modo sottoponeva l'istituto nelle coscienze dei cittadini. E senza riuscire ad imporsi come leader.
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