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Agora' Agora - 7 aprile 1996
EPOCA 7 APRILE 1996

MUCCHE PAZZE

Vi spiego perché il governo europeo ha sbagliato

Per paura i commissari di Bruxelles hanno trascurato l'aspetto più urgente ed importante: salvaguardare la salute di tutti. Diario segreto di una settimana di fuoco. Scritto da una protagonista.

Articolo di Emma Bonino

Attualità p.46

Uno dei principali appuntamenti dell'Unione Europea, la Conferenza Intergovernativa di Torino, quasi oscurato dalla vicenda della "mucca pazza". Un vertice attesissimo, convocato per avviare il travagliato processo di riforme istituzionali che dovrà "ridisegnare" la Comunità, dominato dall'ombra di una moltitudine di bovini britannici in attesa della pena capitale e dallo spettro di una malattia del cervello rara e letale che le bestie ammalate sono sospettate di trasmettere (ma nessuno sa bene come) agli uomini. Un destino beffardo sembra guidare lo svolgersi di questa imponderabile calamità naturale che, abbattendosi sulla famiglia europea, ha preso di mira proprio il Regno Unito, il parente più riluttante del gruppo; e per di più alla vigilia della Conferenza di Torino, ideata per rilanciare il processo di integrazione politica continentale e preparare l'allargamento ai nuovi Stati membri. fra tanti dubbi e paure che questa iattura sta provocando ho una sola certezza. Che il modo migliore per uscirne è ch

e l'Unione Europea faccia tutto quello che è in suo potere per aiutare la società britannica ad affrontare le conseguenze materiali e psicologiche della sventura che subisce. Nella speranza che tutto questo spinga anche i più euroscettici fra i sudditi britannici ad arrendersi all'evidenza, capire quanto utile può essere l'appartenenza alla nostra comunità e riconoscersi cittadini a pieno titolo dell'Unione. E' questa purtroppo l'unica nota ottimistica registrata sul mio diario da quando, fra il 19 e il 20 marzo, è esplosa questa crisi alla cui origine sta l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Quasi tutto il resto induce allo scoraggiamento. Nella generale confusione delle prime ore, mentre le autorità nazionali e quelle comunitarie ancora stentavano ad afferrare la portata della faccenda e ad assumersi le proprie responsabilità, mi sono affidata al mio mandato di Commissaria per i Consumatori come un naufrago si affida alla bussola. Mi sembrava ovvio che la salvaguardia della salute dei cittadini europe

i fosse di gran lunga l'aspetto più urgente della questione, con diritto di precedenza rispetto alla salvaguardia dei mercati, comunque non secondario rispetto alla dimensione economica del problema. Altrettanto ovvio mi sembrava che tutte le istituzioni coinvolte fornissero ai cittadini-consumatori un'informazione tempestiva e chiara sui rischi per la loro salute. Fosse anche per dire con franchezza, come fanno i medici onesti con i pazienti adulti, che ci si trova di fronte ad un rischio grave, ma privi di certezze scientifiche per scongiurarlo. Decida così anche il paziente, per la sua parte, come affrontare il rischio. Mi sono sbagliata. Dal 20 al 27 marzo, per una settimana che mi è sembrata eterna, la preoccupazione di proteggere i mercati ha monopolizzato la scena, non solo nel Regno Unito e negli altri Paesi dell'Unione, com'era forse prevedibile, ma anche a Bruxelles, dove l'intera Commissione (l'organo esecutivo comunitario) è apparsa come prigioniera di molteplici paure: di irritare gli inglesi, d

i creare il panico in seno all'opinione pubblica, di assumere impegni finanziari troppo gravosi e dissestare il mercato comunitario della carne. Dopo una settimana si è approdati a decisioni ispirate al semplice buon senso: ammettere ad alta voce le dimensioni del rischio; eliminare drasticamente tutti i possibili focolai; valutare i danni e indennizzare nella misura del possibile chi li subisce. C'è una lezione da trarre. Forse anche noi, l'esecutivo dell'Unione Europea, dovremo dotarci, come hanno già fatto tanti governi nazionali, di una "cellula di crisi" specializzata, addestrata a gestire le emergenze, a lavorare durante il week-end ed affrontare il puntuale assedio dei media non come un'impertinenza da tollerare ma come un'occasione preziosa per comunicare. Magari, come facciamo scrivere nelle nostre brochure, per "avvicinare le istituzioni europee alla gente". E le associazioni dei consumatori? Non tutte hanno brillato per prontezza di riflessi e saldezza di nervi. E' vero che la britannica Consumers

Association lanciava l'allarme sulla carne bovina già il 20 marzo, denunciando il silenzio autorità. Peccato che nei giorni successivi, nella foga di mettere alle strette il governo conservatore (le malalingue ricordano le spiccate simpatie laburiste dell'organizzazione), i portavoce dell'associazione hanno finito per alimentare l'isteria dei cittadini, includendo nella lista dei prodotti a rischio di tutto, anche pollame, carni ovine, caprine e suine. Alcune associazioni locali, come quelle francesi e tedesche, hanno dato l'impressione di voler rendere in primo luogo un servizio alla patria e difendere i "prodotti nazionali". Quanto al giusto appello del Beuc (Bureau Européen des Consommateurs, che raggruppa 29 associazioni nazionali di difesa dei consumatori) alla Commissione Europea perché decretasse l'embargo totale sulle esportazioni di carne bovina britannica e prodotti derivati, esso è giunto il martedì 26, quando la decisione era già virtualmente presa.

Nel mio diario c'è ancora una riflessione, che non posso tacere.

Lo sterminio pianificato di una quantità imprecisata di animali turba la coscienza e ricorda la battaglia intrapresa una decina di anni fa da un gruppo di filosofi anglosassoni, animalisti militanti, imperniata su una domanda: chi ha dato all'uomo il diritto di ergersi a padrone assoluto di tutti gli esseri viventi? Non è necessario essere animalisti, né vegetariani, né mettere gli animali sugli altari, come pure fanno altri popoli (in India le vacche, pazze o savie, sono sacre), per cogliere l'iniquità che caratterizza il rapporto dell'uomo con gli altri animali.

Anche in questo caso il destino è beffardo, nel costringere a pianificare lo sterminio proprio gli inglesi, noti per amare le bestie. Erano inglesi gli animalisti scesi in piazza qualche tempo fa per esigere dai mercanti di bestiame condizioni di trasporto "meno crudeli" a bordo degli autotreni.

Ed è britannico un documento circolato recentemente a Bruxelles in cui ci si spingeva fino a proporre l'inserimento dell'animal welfare (il benessere degli animali) fra gli obiettivi dell'Europa di domani.

 
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