L'OPINIONE Martedì 30 aprile 1996
articolo di Giovanni Negri
La prima pubblicazione radicale la vidi da ragazzo. C'era scritto: "Liberazione - Il NO ha vinto". Un giornale stampato il giorno prima del referendum sul divorzio: se andava bene eran soldi, se andava male si chiudeva tutto, giornale e partito. L'ultima pubblicazione radicale l'ho invece vista qualche giorno fa. Pioveva, ero per strada a Milano e un ragazzo mi ha dato un volantino. C'era scritto: "Vota Stanzani, un professionista di successo".
In mezzo è successo tutto quel che ancor oggi mi spinge, diciamo tre volte l'anno, a tavolate di reduci orgogliosi e consapevoli, dove si respira un'atmosfera tipo ex-compagni del '68, con la differenza che a noi non è crollato addosso nessun muro, nessuna ideologia, nessuna sconfitta della storia. Sta di fatto che è così: Liberazione ormai è diventato il giornale di Rifondazione comunista, la Rosa nel pugno all'ombra della quale tirammo invereconde picconate contro il regime se ne è andata al tramonto della Prima Repubblica, Pannella ha fatto la lista Pannella e ha invitato i torinesi residenti nel vecchio quartiere dove trovai la prima sede del Partito Radicale a votare per il senatore Franco
De Benedetti, che mi spiegano essere diventato buono perché ha firmato il referendum sul registro automobilistico. Così, in almeno un centinaio, oltre a rivederci in pranzi e cene potremmo scrivere - noi sì, senza timore di ondate sarcastiche - un "Formidabili quegli anni" che formidabili lo furono davvero. Lasciamo stare la modernizzazione, i diritti civili e tutte quelle cose che ormai formano il rosario di ogni messa radicale. E' dentro l'esperienza politica del P.R. che nascono tutte le sfide al regime: non dentro il Pci, non dentro il Msi, ben prima che la Lega andasse a predicare nel Nord quel poco o tanto di etica protestante che è nella sua crociata, mischiata con molto d'altro e assai meno raccomandabile. tutte le sfide "terzaforziste" (in senso nobile), le scosse inflitte al sistema Dc-Pci oggi riavanzate vestito d'Ulivo - dalle contradizioni libertarie del Psi ai referendum per il maggioritario di Segni - sono nate o si sono nutrite dell'esperienza del metodo radicali. Perciò vi è intanto un aspet
to sul quale, retrospettivamente, è davvero straordinario indagare: la sindrome di Stoccolma che fece del partito anti-Prima Repubblica dapprima un ostaggio e poi una vittima. Di ciò è necessario esser testimone: sino alla vigilia del grande crollo, ai primi anni novanta, il gruppo dirigente radicale non è affatto convinto che il Palazzo stia per crollare. Anzi è rassegnato alla sua micidiale capacità di autoperpetuazione. Solo dopo, e con affanno, cercherà di recuperare: ma lo strumento non è più soggetto politico ed elettorale, la logistica si è indebolita, anche l'organizzazione patisce. Poi, ad agognato sistema maggioritario in auge, subentra la fase delle contorsioni. Pannella non sceglie di fare né l'ala democratico-libertaria dei progressisti, né il cuore rivoluzionario-liberale del Polo, dal Parlamento escono gli Spadaccia e rientrano i De Mita. Nell'era del maggioritario è un Ulisse tra i Polifemi, si fa chiamare Nessuno per scappare verso un'Itaca che non c'è, e ritrovarsi alla fine con quasi nessu
n parlamentare e strani compagni di viaggio provenienti da tutti i partiti tranne quello radicale. E tuttavia, nella lunga notte di una transizione italiana che forse è solo a metà, mentre ci spiegano che ormai bisogna fare dei non-partiti, che i valori laici sono minoritari, che la cultura delle regole e del Diritto è pericolosa e utopistica, riflettere sul Partito Radicale può essere utile per capire meglio, non necessariamente solo il passato.