LORENZO STRIK LIEVERS E GIULIO PEPPINI RISPONDONO ALLE SEGUENTI 5 DOMANDE:
1) PARTITO RADICALE, UN PARTITO DA RICORDARE, DA AIUTARE O DA REINVENTARE?
2) I RADICALI HANNO RETTO L'IMPATTO COL SITEMA MAGGIORITARIO, DEL QUALE SONO STATI I PROMOTORI?
3) COME E' POSSIBILE SALVARE IL PATRIMONIO DELLE BATTAGLIE RADICALI?
4) ESISTE ANCORA L'ITALIA LAICA?
5) VIRTU' E LIMITI DELLA POLITICA DI PANNELLA, DAL SUPERAMENTO DEL PR ALLA LISTA PANNELLA.
"OBIETTIVO: OLTRE LA LISTA PANNELLA"
LORENZO STRIK LIEVERS: " E' DA SUPERARE, MI PARE, LA FORMA DEL MOVIMENTO PERSONALE"
1. Rivela un nodo fondamentale della vicenda radicale il fatto che molti dei suoi protagonisti, nel rievocare su "L'Opinione" la "propria" storia del PR, carica delle speranze e delle urgenze diverse con cui ciascuno l'ha vissuta, quasi trascurino come un fastidioso, marginale accidente quella che a mio avviso è stata la sfida più ambiziosa, difficile e alta del Partito Radicale: il tentativo di dar vita, trasformando se stesso, a una forza politica trasnazionale. Il PR è stato sì il partito della modernizzazione laica e liberale della vita italiana: ma, altrettanto, dall'inizio degli anni sessanta, con le scelte antimilitariste, ambientaliste, antiproibizioniste, federaliste europee, contro lo sterminio per fame, ha posto e si è posto - con chiarezza via via maggiore - il problema di una politica capace di "governare" processi che, lasciati a se stessi, portano il mondo verso sconosciute catastrofi. La "diversità" radicale è consistita in tanta parte anche e proprio nella ricerca di una via che collegass
e la politica dell'alternativa liberale e socialista in Italia alla conquista di questa nuova dimensione della politica; conquista cui la trasformazione in partito trasnazionale ambiva a dar forma compiuta, corpo e strumenti. In questa tensione, da questa tensione sono nati e sono stati possibili il rigore, le intuizioni, le alterità - di metodi, di obiettivi, di costume - di Marco Pannella e con lui dei radicali; i fattori cioè che hanno reso possibili tanti straordinari risultati delle loro battaglie italiane. A questa stregua, la metamorfosi trasnazionale appare non un'escrescenza o una bizzarria della storia radicale, ma un suo capitolo decisivo che in qualche modo l'illumina tutta. Come è stato a sua volta un fattore determinante di quella stessa storia il fatto che tanti e fondamentali protagonisti della vicenda radicale non abbiano condiviso questa interpretazione.
Certo, tanto più seriamente allora ci si deve misurare con la realtà innegabile: un'organizzazione trasnazionale è nata, fa cose importanti, ma non è, non è riuscita a diventare il partito che volevamo. L'impresa era ardua? Indubbio. Troppo superiore alle nostre forze? Pu· darsi. Ma forse non son mancati errori e incongruenze: l'aver azzerato il partito "italiano" invece di mantenerlo e farne il promotore di un'organizzazione trasnazionale, l'aver così aiutato non una moltiplicazione ma una dispersione sterile di energie radicali in Italia; l'aver privilegiato una transpartiticità "ecumenica", dando così vita a un partito marginale nelle priorità politiche di tanti suoi iscritti, in Italia e fuori; l'aver separato rigidamente il momento trasnazionale da quello italiano, e per contro non aver avuto la forza di fare dell'invenzione di questa nuova politica, delle battaglie trasnazionali e internazionaliste, la centralità effettiva nell'impegno del gruppo dirigente radicale, soprattutto e in primo luogo di Ma
rco Pannella... Occorre discuterne, facendo tutt'uno con la ricerca delle ragioni per cui, nel crollo della prima repubblica, dalle tante battaglie e vittorie radicali contro la partitocrazia non ha preso corpo una candidatura di segno radicale a rappresentare l'alternativa al regime in crisi. Discuterne non tanto per "reinventare" il PR quanto per comprendere lungo quali vie si possono perseguire oggi obiettivi pi che mai necessari.
2. Radicali e riformatori hanno voluto il maggioritario come strumento di riforma liberale, ben sapendo che, forza minoritaria, erano destinati a esserne travolti in quanto formazione autonoma. La contraddizione in cui siamo (noi radicali-riformatori? o il paese?) è che la società italiana, in cui il liberalismo è stato sempre un fatto di minoranze, ha espresso grandi partiti "da maggioritario" che, per le loro caratteristiche sociali e culturali, sono o estranei a un'impostazione liberale, liberalsocialista e "trasnazionalista", o comunque ben poco disponibili ad accettare come parte autorevole e determinante della propria direzione politica una componente che voglia continuare con rigore a perseguire nella sua interezza la "scelta di civiltà" radicale, nei metodi e negli obiettivi; che cioè non rinunci a parti fondamentali del proprio essere e non voglia ridursi a marginale compagno di viaggio in una direzione che non è la sua.
3. Non ci sono ricette facili. Certo, nel momento in cui i problemi italiani sono in così ampia misura quelli della crisi dello stato nazionale, del rapporto con l'Europa, della riforma istituzionale, della certezza del diritto l'attualità delle impostazioni radicali è evidente. Occorre rilanciarle, incalzando sia la sinistra partitocratico-corporativa di governo che la Lega; ma non "da destra", bensì in una logica di sinistra radicalmente liberale e federalista europea, con un'ottica trasnazionale. E sviluppando dialogo e crescita comune con le forze liberali, a partire da quelle presenti nel Polo. Il problema è quello degli strumenti. E' da superare, mi pare, la forma del movimento "personale" intorno a Pannella, che ostacola aggregazione e crescita; e va rimeditata a fondo, nel nuovo contesto, l'esperienza del PR degli anni sessanta e settanta che fuori del parlamento impose la propria attualità, quella del divorzio e dei diritti civili.
4. Mi riconosco pienamente nell'analisi svolta da Spadaccia su questo punto.
5. Non so sintetizzare in poche battute un'analisi molto complessa. A Pannella, comunque, si deve preliminarmente il riconoscimento, la riconoscenza e la gratitudine per essere egli stato l'ideatore, l'anima, la mente, la coscienza e l'educatore di un fenomeno straordinario come quello radicale; di cui è _ l'altro dato certo - rimane l'unico possibile leader e punto di riferimento. Solo dopo si può discutere della sua non attitudine a essere federatore di gruppi dirigenti e grandi forze politiche, o dell'errore di valutazione compiuto nel '92-'93 scegliendo come interlocutore un ceto politico in crisi irrimediabile; o ci si pu· chiedere se negli ultimi due anni avrebbe potuto puntare su altro che sull'alleanza con un Polo per tanti aspetti così "alieno" rispetto a lui; ovvero si può lamentare che, nell'alternativa fra condizioni di marginalità nell'alleanza con il Polo e difesa della dignità e degli obiettivi nostri, sia risultato incomprensibile agli elettori. Ma, appunto, solo dopo.
QUELLE LEZIONI DI POLITICA ALLA SCUOLA DEI RADICALI
di Giulio Peppini
1) Il Partito radicale, quello spento da Pannella nell'89, ma già oscurato da anni dalla banda nera sulla rosa nel pugno, è impossibile dimenticarlo. Lo è per me, almeno, che mi ero iscritto nel '61 in quello col simbolo della Marianna e che, da militante, sono stato partecipe a quella fase straordinaria delle lotte per i diritti civili che hanno cambiato il volto del nostro Paese. Le marce antimilitariste, il referendum sul divorzio (a Mantova, Pannella interviene in un comizio di Gabrio Lombardi, e notabili democristiani se ne vanno, lasciando il professore solo a confrontarsi per la prima volta con lui), l'aborto clandestino (e le donne comuniste a convegno che, sdegnate per l'interruzione, gridano che non le riguarda, che è un problema delle donne borghesi), i sit-in alla Rai-tv in un febbraio piovosissimo, a Caorso contro il nucleare a sfilare nella polvere sotto il solleone, le prime sedi del partito piene di matti slegati e i primi digiuni che oggi a sentir l'odor di cappuccino mi vien la nausea, i co
mpagni del Pci (non ancora post-comunisti e non ancora arcigay) che, passando di corsa in bicicletta ci gridavano "radiculi!", i nostri comizi a Borgotaro (su e giù per le montagne ad attacchinare e dar di stomaco ogni tornante) e a Cavriago dove più rossi non si può (piazza deserta e i compagni nascosti dietro le piante). L'orgoglio di aver partecipato ad una stagione irripetibile nella storia dei partiti politici italiani. Grazie a Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia, Mauro Mellini, Adele faccio, Massimo Teodori, Sergio Stanzani, Franco De Cataldo, Enzo Tortora e i più giovani Giovanni Negri, Francesco Rutelli, Marco Taradash, Peppino Calderisi: occorre fare i nomi di un formidabile gruppo dirigente di quello che proprio il leader carismatico non vorrà mai far diventare davvero un partito, condannandolo invece alla diaspora. Tu coi verdi, tu coi socialdemocratici, tu con gli antiproibizionisti. Il Partito Radicale poteva rinascere e reinventarsi attorno alla Lista Referendum, forse. Potrà ricostituirsi ne
lla parte laica, liberale e libertaria di Forza Italia, magari.
2) Non è stato solo il sistema maggioritario, con le sue necessità di schierarsi da una parte o dall'altra, a far fuori definitivamente, credo, con queste ultime elezioni, il Pannella-partito. Si farebbe un torto all'intelligenza politica di Pannella ritenere la sconfitta una conseguenza delle sue incertezze: come Socrate, marco voleva berla, la cicuta, per restare così definitivamente solo. Ci si sente piccoli, a confrontarsi con lui, ma molto meno masochisti.
3) Lo Statuto (quello del '67, senza preamboli) è il vero patrimonio del Partito radicale, è la "regola" dei diritti civili: quel soggetto politico che voglia davvero porsi al servizio dei cittadini e farsi interprete della loro libera espressione non può non raccoglierne l'eredità.
4) Nel paese degli intellettuali felloni, dei chierici traditori, i laici hanno fatto la parte del leone. Sono con L'Olivo, con l'apparato burocratico post-comunista e parasindacalista, con Padre Sorge e Don Dossetti, con Saddam e i fondamentalisti verdi, con i giustizialisti alla Santoro, con Scalfari e Scalfaro, con Cuccia e Agnelli, tranne qualche lodevole eccezione. Per fortuna che c'è Marcello Pera.
5) Oggi Pannella, chiusi i Club e senza yes-men, se riesce a convincere se stesso che si può essere primus inter pares, deve passare il testimone delle battaglie parlamentari a quei numerosi liberali libertari che sono stati eletti in Forza Italia. Fuori, può ritornare a prendere la leadership di un diffuso movimento dei diritti del cittadino-consumatore, alla Ralph Nader, su un forte progetto anticentralista e antiburocratico che può essere lasciato in mano a Bossi al nord (ha ragione De Marchi) e, al sud, senza una guida. Che so, costituire una lega per le primarie per attivare un meccanismo di selezione di un personale politico non più cooptato ma scelto liberamente dal cittadino-elettore in un compiuto sistema uninominale maggioritario. O un club per l'elezione diretta del Presidente dell'esecutivo, come negli Stati Uniti. Ma forse faccio i costi senza l'oste.