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Agora' Agora - 5 giugno 1996
CHE FARE? - LA LIBERTA' DI EDUCAZIONE INIZIA NELLA SCUOLA STATALE.

Note per l'opposizione.

IL FOGLIO 5 GIUGNO 1996

Articolo di Lorenzo Strik Lievers p.2

La questione della scuola può diventare una delle principali pietre di paragone per il governo, per la sua maggioranza e per le opposizioni. Non solo perché l'ha messa al primo posto nei suoi impegni Prodi, come già Violante nel discorso di insediamento; né solo perché il PdS, forza determinante della coalizione, così generoso nel concedere ministeri agli alleati, ha voluto concentrare nelle proprie mani il monopolio del governo proprio sul settore istruzione-ricerca-cultura. Ma perché su questo terreno saranno messi esemplarmente alla prova sia gli intendimenti del PdS quando si proclama - non lo abbiamo dimenticato - partito della rivoluzione liberale, sia la capacità effettiva delle opposizioni di avanzare esse una seria proposta liberale.

Sulla scuola, infatti, è in gioco una grande questione di libertà. Non parlo di quella relativa alla scuola privata, di cui molto si discute. Quella cui mi riferisco è più vasta e generale; e deve allarmare che sia rimasta fin qui, con pochissime eccezioni, come non avvertita, ignorata nel dibattito. Si tratta di una questione che sorge dal cuore stesso della scelta su cui Berlinguer ha dichiarato la priorità assoluta dell'impegno del governo, e verso cui da tempo, con vasto consenso, ci si sta muovendo: sorge dalla grande opzione per l'autonomia alle scuole. La quale a prima vista appare indiscutibilmente e solo una scelta di libertà. Come tale in genere è considerata e vissuta. Non si tratta forse di dare libertà alle scuole, di consentire loro di decidere secondo le diverse esigenze e vocazioni, senza dover più uniformarsi supinamente alle direttive centrali e ministeriali? Eppure basta un attimo di riflessione per rendersi conto che, a seconda di come verrà impostata, l'autonomia potrà costituire u

n fondamentale passo avanti di libertà e responsabilità, o potrà invece risolversi nel suo contrario, in una pesantissima restrizione della libertà di insegnamento.

Il fatto è che "autonomia" e "libertà" in questo caso non sono affatto sinonimi. Il discrimine sta nella natura e nella portata del "Progetto educativo d'istituto" (PEI), ossia del documento in cui ogni scuola dovrà esprimere le proprie specifiche scelte didattiche: obiettivi e progetti formativi, strumenti per la loro realizzazione. Che cosa comporta che una scuola pubblica adotti un proprio indirizzo educativo-didattico? Per definizione in una scuola pubblica possono ritrovarsi insegnanti di orientamenti didattico-pedagogici diversi (didattico-pedagogici, dico: quella delle diversità politiche o religiose è in parte altra questione). Così, è fisiologico che in un singolo istituto nella fase di elaborazione del PEI vengano avanzate proposte di scelte didattiche differenti, sia da parte degli insegnanti, sia - anche come richiesta di opzione - da parte di studenti e famiglie. La legge sull'autonomia può essere formulata in due modi opposti. In modo che sia consentito a una maggioranza degli insegnanti, o

addirittura delle "componenti", di definire e adottare gli obiettivi formativi e i metodi "della scuola", con l'obbligo per le eventuali minoranze di farli propri; ovvero, può porre con nettezza il vincolo per cui, ove richiesto, e naturalmente nei limiti delle possibilità materiali, un PEI possa essere anche "plurale", ossia presentare un arco di "proposte formative" differenti. Differenti per obiettivi e per modi di perseguirli. E in tal caso la legge dovrebbe favorire una ragionevole mobilità degli insegnanti, all'interno degli istituti o tra diversi istituti, per rendere possibile l'attuazione di tali diversi progetti; come dovrebbe parimenti consentire a studenti o famiglie di scegliere tra le diverse proposte.

Tra queste due impostazioni dell'autonomia, è evidente, la differenza è come fra il giorno e la notte. La prima - quella per cui ogni scuola avrebbe una sua linea uniforme - configura un'autonomia da soviet, una radicale restrizione della libertà di insegnamento per chi nella scuola si trovi in minoranza: è molto più pesante la pressione di una maggioranza ostile di colleghi che quella "lontana" di un provveditore o di un ministro. La seconda porrebbe finalmente il principio della libertà di insegnamento e del libero confronto tra ipotesi educative a fondamento di una scuola che diverrebbe così, per la prima volta, non "di stato" ma davvero "pubblica".

Qui, dicevo, è alla prova il grado di liberalismo della politica scolastica del governo e delle opposizioni. Prima che sul tema della scuola privata. Se certo è necessario, modificando l'art.33 della Costituzione, cambiare le cose in quel campo, è indubbio comunque che ancora a lungo la maggioranza degli italiani continuerà a rivolgersi prioritariamente alla scuola pubblica; innanzitutto lì, dunque, va promossa e tutelata la libertà di educazione, se è questa che si ha a cuore prima che le ragioni e gli interessi delle scuole cattoliche. Potrò allora esprimere la mia preoccupazione perché nessuna forza politica finora ha sollevato come centrali questi problemi, salvo noi Riformatori (che, voglio ricordarlo, contro un'analoga violazione della libertà di insegnamento abbiamo promosso il referendum sull'obbligatorietà del "modulo dei tre insegnanti" nelle elementari)? Potrò ricordare che, con bella unanimità, tutti i progetti di autonomia presentati dai ministri variamente democristiani succedutisi dal 1993

a oggi hanno ignorato il problema della tutela delle minoranze?

 
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