IL GIORNALE 7 SETTEMBRE 1996
Il leader dei Riformatori, che raccolse le firme contro Oscar: se un partito ci appoggia, torniamo alla carica.
Pannella: l'uomo del Colle sa perfettamente di essere incriminabile.
Intervista a Marco Pannella di Goffredo De Marchis
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D. Onorevole Pannella, se il patto Bossi-Scalfaro non fosse grave, farebbe quasi sorridere: l'acquasanta che stringe la mano al diavolo...
R. A essere franchi mi fa un po' sorridere l'importanza che si sta dando a quattro parole stampate di Bossi. Per due ottimi motivi: il primo è perché Bossi per primo ha sempre detto che le sue parole pubbliche sono inaffidabili e strumentali, menzogna o verità, a seconda della convenienza, il secondo è che l'alto tradimento da parte del Presidente Scalfaro ha ben altre prove eclatanti, da manuale, continuate, senza precedenti non solamente in Italia. Ma torniamo pure a quest'episodio, e che sia il benvenuto se servisse a riaprire la questione forse più esplosiva per dei liberali e dei democratici.
D. Ci sono gli estremi per chiedere l'impeachment del presidente della Repubblica, aggiungendo la vicenda raccontata da Bossi alla vostra precedente denuncia?
R. Quando grazie al solo 'Giornale' e a Radio Radicale, informammo i cittadini della nostra volontà di chiedere la messa sotto accusa del Presidente Scalfaro, secondo le norme previste dalla Costituzione, in pochi giorni, centinaia di migliaia di persone, malgrado un clima poliziesco e intimidatorio, sottoscrissero la nostra richiesta. Ma AN e Forza Italia, malgrado l'entusiasmo dello loro basi e dei loro elettori di allora, non si mossero. Scalfaro, che bene ci conosce, ebbe un momento di grande paura. D'un tratto tacque.
D. Ora siete pronti a ricominciare daccapo?
R. Il Presidente della Repubblica sa perfettamente di essere incriminabile e condannabile, solo che non si negassero in radice Costituzione e principio di legalità. Noi, per nostro conto, siamo pronti a riprendere l'iniziativa politica non appena una pur modesta forza, anche parlamentare, accettasse di sostenerla.
D. Quindi, non solo brutta, bruttissima politica quell'intrigo, ma anche un fatto fuori da ogni regola costituzionale?
R. Soprattutto un marchés des dupes, il mercato dei furbastri, come direbbero i francesi, dove l'uno imbroglia l'altro, nel comune gioco di imbrogliare il Paese e di violare ogni legalità. Il problema, per Bossi, era quello di continuare a distruggere tutto e tutti, poiché solamente nel deserto gli è possibile sopravvivere o regnare tra i suoi. Per Scalfaro, era quello di rilanciare il regime partitocratico, depurato da ogni altro suo leader, e di battere qualsiasi minaccia di una radicale riforma liberale, anti-partitocratica. Una riforma a cui Berlusconi aveva dato credibilità e forza. Scalfaro ha quotidianamente sequestrato ogni altra funzione costituzionale, in primo luogo quella dell'esecutivo e del legislativo, in alleanza con il blocco ormai formatosi attorno all'ex-Pci e con il partito dei giudici politici e giustizialisti. Li ha uniti il terrore del nuovo, della riforma, dello Stato di diritto.
D. Se il racconto è vero, si può parlare di paradossale intesa tra il garante dell'unità nazionale Scalfaro e il secessionista Bossi?
R. Il ministro Mancuso sostiene che proprio sul piano tecnico-giuridico un tradimento ed un attentato alla Costituzione sono in corso da almeno due anni. Vi sono molti altri elementi e documenti, sicuramente ancor più forti e indiscutibili del patto. Lo stesso Scalfaro ha fatto ammissioni. Parla di 'rientro' nella legalità che ne presume la fuoriuscita. La secessione del 15 settembre è stata voluta, convocata dalla stampa e da tutte le televisioni di regime. Il regime ha vissuto l'unità nazionale e i suoi crimini grazie al lancio dell'alternativa terrorismo-antiterrorismo. Poi di quella mafiosi-antimafiosi, onesti e corrotti. Ora ha bisogno dello scontro secessionisti-antisecessionisti... Tra l'altro incalzano venti referendum, dei quali non si deve parlare, nè far parlare. L'Italia all'olio d'Ulivo dell'estrema unzione del diritto e della libertà non la vogliono nemmeno tanti ulivisti e tanti loro elettori.
D. Abbiamo una capo dello Stato fuori della Costituzione?
R. Il presidente non osa inviare un solo messaggio al parlamento, che tratta con un disprezzo sostanziale senza precedenti, perché teme anche un solo minuto di dibattito ufficiale sulle sue responsabilità. Anche se l'eliminazione dal parlamento dei soli che poteva temere - conoscendoli bene e avendo fatto insieme, allora, le battaglie di difesa della Costituzione - noi radical-riformatori, dovrebbe tranquillizzarlo.