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Agora' Agora - 7 settembre 1996
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IL GIORNALE 7 SETTEMBRE 1996

Lo stile sudamericano dell'inquilino del Quirinale

Fondo di prima pagina di Vittorio Feltri

Certe cose le sapevamo prima che Umberto Bossi le rivelasse nel suo libro ('Il mio progetto' Sperling & Kupfer editori). Quindi non siamo stupiti, ma ci sentiamo confortati: adesso anche i più scettici si convinceranno che attacchiamo da anni Oscar Luigi Scalfaro non per faziosità, bensì perché un presidente come lui non è una garanzia per la nazione, ma una sciagura. L'inverno scorso, se lo ricorderanno i nostri lettori, raccogliemmo migliaia di firme (insieme con Marco Pannella ed il suo drappello di valorosi collaboratori) contro il capo dello Stato, e molti ci presero per matti. Ora la verità viene a galla quasi per sbaglio e conferma che, nonostante le smentite, i nostri sospetti non erano campati in aria. Se poi penso che la Procura di Roma avviò le procedure per verificare se fosse possibile processarci per vilipendio del presidente della Repubblica, e questo soltanto perché avevamo scritto che Scalfaro si era aumentato lo stipendio, mi viene l'orticaria. A rendere credibili le rivelazioni del capata

z della Lega sono vari elementi. Tanto per cominciare il candore che egli mostra nel raccontare episodi gravissimi, non rendendosi conto che lui e il Quirinale, nel sottoscrivere il patto per congelare le elezioni, facevano strame della Costituzione. Bossi è addirittura disarmante: presume di essersi comportato correttamente, di aver tutelato, oltre al proprio interesse, anche quello del Paese. E nel rammentare i suoi incontri con il capo dello Stato tradisce una punta d'orgoglio: io e Oscar, dice giulivo, abbiamo salvato il Paese dal teledittatore e dai fascisti. La Lega dopo il ribaltone era spacciata e se avesse affrontato le urne l'avrebbero fatta a pezzi. Per il Senatùr era dunque indispensabile prendere tempo per ricostruire il movimento e ritrovare la fiducia popolare, che se ne era andata con la caduta del governo. Prendere tempo, però, era utile anche per Scalfaro: piuttosto che rischiare una nuova vittoria del Polo (all'epoca inevitabile), preferiva scongiurare la mobilitazione dell'elettorato e pr

omuovere un nuovo governo. Ma quale governo se, dopo l'abbandono leghista della coalizione di centrodestra, non c'era più una maggioranza? Semplice. Si trattava di trasferire la Lega sull'altro versante politico, e così la sinistra avrebbe avuto il 51 per cento necessario a varare un esecutivo di proprio gradimento magari infarcito di tecnici e finti tecnici per confondere le acque e farle bere agli italiani. Bossi aveva già tramato in questo senso con Buttiglione e D'Alema, ma voleva che il suo passaggio al nemico fosse retribuito. Poca roba: era sufficiente che Scalfaro gli desse la sicurezza che non si sarebbe votato prima di un anno. E il presidente gliela diede. Ovvio, gli conveniva. Eventuali votazioni ed eventuale affermazione bis del Polo avrebbero comportato la decapitazione del capo dello Stato, per altro miracolosamente sopravvissuto allo scandalo dei fondi neri dei servizi segreti, finiti (nella misura di 100 milioni al mese) anche nelle sue tasche. Il patto fra Oscar Luigi e Umberto fu presto ra

ggiunto e con reciproca soddisfazione. Lo confessa lo stesso Bossi, convinto che Scalfaro dandogli retta abbia agito da statista anziché da briccone. Una manovra stile latino-americano. Un surrogato di colpo di Stato. Una cosa vergognosa che in un Paese normale porterebbe il presidente davanti al Parlamento con l'accusa di alto tradimento. Ma qui non succederà niente, come non accadde nulla mentre i fattacci si svolgevano e noi li denunciavamo. Un altro elemento che conferisce credibilità alle tardive ammissioni di Bossi, è il fatto che la Lega, fino al ribaltone violentemente polemica con Scalfaro, soprannominato dai leghisti campanaro e sacrestano, all'improvviso divenne rispettosa, ossequiosa e ossequiente. Ricambiata. Quando l'Umberto - l'anno scorso intorno a Ferragosto - iniziò a predicare la secessione e il ministro Mancuso minacciò di mandargli i carabinieri, a difendere il Senatùr si levò la voce proprio di Scalfaro, lui, custode dell'Unità nazionale. Mancuso, guarda caso, qualche mese dopo fu silur

ato. Quando poi rese noto che alcune sedute del Consiglio dei ministri erano state segretate per impedire che le critiche alla lega espresse dal governo arrivassero all'orecchio di Bossi, e questi per ripicca ritirasse l'appoggio all'esecutivo, fu fatto passare per scemo. E noi con lui, colpevoli di averlo ascoltato. Non c'era bisogno di quest'ultima puntata per capire chi è Scalfaro. Non dimentichiamo che egli promise a Berlusconi che a giugno (l'11, per l'esattezza) si sarebbe votato, poi però si rimangiò tutto. E non dimentichiamo che fu proprio Scalfaro il destinatario della telefonata di Borrelli il giorno in cui partì dalla Procura di Milano l'avviso per il Cavaliere, mentre a Napoli c'era il vertice internazionale (pensa tu) sulla criminalità. Impeachment, altro che storie: questo sarebbe il destino di Oscar Luigi. Anche se Giuliano Ferrara ha ragione nel sottolineare che sarebbe come mandare via il re dopo la restaurazione. D'accordo, ma è meglio tardi che mai.

 
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