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Agora' Agora - 14 ottobre 1996
I RADICALI PARLANO DA 250 ORE PER RIANIMARE I REFERENDUM

IL GIORNALE 14 OTTOBRE 1996

Pannella inventa una maratona di militanti che convinca i ricchi a finanziare i quesiti

articolo di Arturo Gismondi pag.6

Da dieci o dodici giorni, e ormai da 250 ore, i romani assistono in largo dei Lombardi, una piazza che si apre su via del Corso, a uno spettacolo che comincia a destare qualche curiosità. E' una "maratona oratoria", che si prolunga ininterrottamente, giorno e notte, senza un momento di sosta, e per la quale dirigenti, militanti e simpatizzanti radicali si alternano su di un palchetto in una gara di resistenza fra di loro, e con l'universo mondo. E che non si capisce davvero, da come si sono messe le cose come andrà a finire.

La "maratona", nella quale si alternano oratori che parlano per quattro, cinque, sette ore ciascuno, è una sfida destinata, da qual che si può capire ad essere perduta. Di quelle che piacciono a Pannella, e che però, al di là della sconfitta, possono lasciare un segno. Si intende convincere 500 persone facoltose, un numero esiguo in un paese nel quale i ricconi si contano con cifre a sei zeri, a versare 15 milioni ciascuno fino a raggiungere la cifra di sette miliardi e mezzo necessari, secondo Pannella, Vigevano, Rita Bernardini e gli altri, a sostenere i venti referendum per i quali sono stati raccolti dieci-dodici milioni complessivi di firme. Perché la sfida è rivolta a una stretta cerchia di personaggi dotati di grandi possibilità finanziarie? Perché i venti referendum tendono a riformare in senso liberale e liberista la nostra società e l'economia, e dunque corrispondono agli interessi di un ceto al quale si chiede di contribuire per difenderli, e per portarli al successo. L'impresa appare molto diffic

ile, e infatti i ricconi che si sono fatti vivi si contano sulle dita di una mano. E meraviglia che i radicali se ne meraviglino. Se la classe che nel nostro paese detiene il potere economico avesse coscienza di sé, delle sue responsabilità, della sua funzione non saremmo al punto in cui siamo. Non avremmo i giornali conformisti che abbiamo, avremmo un cinema, anziché una produzione cinematografica al limite della pornografia o della propaganda da sezione di partito unico, avremmo un'editoria, una vita culturale degne di questo nome perché da sempre la borghesia finanziaria e industriale aspira a esercitare una sua egemonia culturale, e a lasciare nella società un segno. Se questa fosse la nostra borghesia avremmo avuto meno scandali, poiché il finanziamento dei partiti politici avverrebbe, come avviene altrove, alla luce del sole e non in segreto. Perché i ceti abbienti hanno sempre finanziato la politica, ma solo per vie traverse e oscure, e servendosi di personaggi che riempiono le cronache giudiziarie. C

ome che sia, la "maratona oratoria", se rappresenta una sfida, è anche uno spettacolo e può diventare un fatto politico. Perché alle spalle di essa ci sono fatti corposi, e sono i venti referendum presentati dai radicali e firmati ognuno da 6-700 mila persone. venti referendum saranno troppi, l'accusa che si muove a Pannella è che in questo modo si indebolisce l'efficacia dell'arma referendaria. E però è un fatto che mentre il mondo politico indugia nel discutere, e talvolta a vuoto, sul modo di introdurre riforme che sono in molti a non volere, i referendum ci sono, le firme pure, e fra il 15 dicembre e il 15 gennaio dapprima la Cassazione poi la Corte Costituzionale decideranno quali e quanti siano da sottoporre al giudizio dei cittadini. E tenendo conto della lentezza de Parlamento, il quale potrà evitarli solo producendo leggi che li rendano superflui, c'è il caso concreto, che i politici si troveranno alcuni dei quesiti tra i piedi, in vista della primavera, senza sapere come trattarli. E fra i quesiti,

guarda caso, ci sono tutti quelli che i partiti dichiarano di voler affrontare: la legge elettorale, per la quale si chiede di cancellare la quota proporzionale, la Giustizia, per la quale si chiede la riforma del CSM e la riaffermazione della responsabilità civile dei magistrati; riguardano, poi, temi economici importanti come la cancellazione di norme che consentirebbero di fare le privatizzazioni lasciando inalterato il potere della nomenklatura di partito nelle aziende; e, poi la pubblicità della Rai, per la quale si chiede ai cittadini di decidere se l'azienda è un servizio pubblico o un'azienda privata che vive in un regime di privilegio; e infine l'Ordine dei Giornalisti, e altri ancora. Il mondo politico, e la stampa che ne è una proiezione, caccia la testa sotto la sabbia, e preferisce non occuparsene. Di qui il vuoto attorno all'iniziativa radicale. Si confida, probabilmente, che sarà la Corte Costituzionale a trarre le castagne dal fuoco eliminando i quesiti più imbarazzanti. Ma c'è un'altra insi

dia, a gravare sui referendum. L'Italia è sotto il profilo democratico, un Paese tutto speciale. Ci sono paesi nei quali non si vota, ci sono paesi nei quali si vota e si governa in conseguenza e poi c'è un paese, l'Italia, ove si vota e non si tiene conto del risultato. E' successo per tanti referendum: quello sulla legge elettorale, nella quale il popolo decise per il maggioritario e si ebbe il mattarellum , quello sulla Tv nel quale i cittadini scelsero per la privatizzazione della Rai e si ritrovarono Mara Venier indagata come "pubblico ufficiale". E questa è forse una delle ragioni del silenzio che i radicali lamentano attorno alla loro iniziativa. Comunque la "maratona" continua. E la curiosità di sapere come andrà a finire è forte. Dicono i radicali: stupisce che coloro i quali per professione dovrebbero essere più curiosi degli altri, i giornalisti, non lo siano affatto. In realtà, faremmo torto agli allievi di Pannella se li ritenessimo ingenui fino a questo punto.

 
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