Ecc.ma
CORTE COSTITUZIONALE
Giudizio ai sensi dell'art. 2, 1^ comma della L.cost. 1131953, n.1 sull'ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 16, 2^ e 3^ comma del RD 3011941, n.12
Udienza di discussione in data 911997
MEMORIA
del COMITATO PROMOTORE DEL REFERENDUM PER L'ABOLIZIONE DEGLI INCARICHI EXTRAGIUDIZIARI DEI MAGISTRATI, in persona dei signori Raffaella Fiori, Mauro Sabatano, Rita Bernardini, con l'avv. Stefano Nespor del foro di Milano
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PREMESSA.
Con la presente richiesta di referendum il Comitato promotore chiede l'abrogazione dell'art. 16, 2^ e 3^ comma del RD 121941.
L'art. 16, 1^ comma del RD 121941 prevede che "I magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, di deputato o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, né qualsiasi libera professione": in questo senso l'art. 16, 1^ comma individua attività che sono vietate in modo assoluto e quindi la loro esplicazione determina una incompatibilità con lo status di magistrato.
L'art. 16, 2^ comma prevede che i magistrati "Salvo quanto disposto dal 1^ comma dell'art. 61 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con DPR 1011957, n.3, non possono, inoltre, accettare incarichi di qualsiasi specie n, possono assumere le funzioni di arbitro, senza l'autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura".
Il 3^ comma dell'art. 16 del RD 121941 prevede inoltre che "In tal caso possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei quali è parte un'Amministrazione dello Stato ovvero Aziende od Enti pubblici, salvo quanto previsto dal capitolato generale per le opere di competenza del Ministero per i lavori pubblici, approvato con DPR 1671962, n.1063".
La materia degli incarichi extragiudiziari dei magistrati e le categorie equiparate, sotto il profilo della compatibilità con i doveri dell'istituto e dell'attribuzione dei relativi compensi, è oggetto di ampio dibattito anche nella magistratura associata nella prospettiva di una regolamentazione organica della materia.
La situazione che sé è ormai creata rende attuale e non differibile una riforma che elimini ogni occasione di sospetto sul sistema delle designazioni ed ogni fonte di critica sulla distribuzione degli introiti, coordinando l'espletamento degli incarichi extragiudiziari con lo svolgimento delle funzioni di ufficio, in prospettiva di una reciproca utilità.
Il quesito oggetto di referendum intende eliminare le disposizioni di cui al 16, 2^ e 3^ comma del RD 121941 generalizzando il divieto per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari.
Il privilegio che l'art. 16 attribuisce ai magistrati è stato oggetto di critiche: in questo senso l'assunzione di incarichi extragiudiziari:
> interferisce con le attività extraistituzionali ed i compiti di ufficio, sia sotto il profilo del contenuto e dei tempi richiesti dalle prime sia sotto il profilo dei vantaggi economici conseguenti;
> favorisce la sperequazioni fra appartenenti alla categoria, sia nel carico di lavoro sia nella distribuzione degli incarichi e dei compensi;
> altera il diritto di chi lavora a ricevere la proporzionata controprestazione.
In questo senso il quesito da sottoporre al corpo elettorale intende generalizzare il divieto di assunzione di incarichi e, riflette, alle soglie del 2000, il comune nuovo modo di sentire il valore i principi di razionalità e equità della funzione giudicante esercitata dalla magistratura.
A ciò va aggiunto che, se da un lato negli ultimi dieci anni il fenomeno degli incarichi extragiudiziari si è decuplicato, dall'altro il filtro esercitato dal CSM è tenuissimo e spesso arbitrario.
Infatti gli unici criteri a disposizione del CSM per il rilascio dell'autorizzazione sono costituiti da:
> "gravi esigenze di servizio dell'ufficio di appartenenza del richiedente" desunto dall'art. 15 della L. 2531958, n.195;
> dall'art. 97 della Costituzione nella parte in cui assicura e quindi affida anche ai magistrati <>;> dal principio di tutela dell'indipendenza e dell'immagine del magistrato ricavabile dalla collocazione dell'art. 16 del RD 121941 (inserito nel Capo II relativo alle "Incompatibilità") e dalla sua lettura combinata con l'art. 2 del RD 3151946 n.511 che prevede il trasferimento d'ufficio o di funzioni in capo al magistrato quando tra l'altro si trovi "in uno dei casi di incompatibilità previsti dagli artt. 16, 18, 19 ord. giud.".
Il risultato dell'attuale disciplina attuativa della possibilità per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari è il nocumento alla credibilità della magistratura con riferimento ai possibili condizionamenti, al legame che si crea con l'ente conferente l'incarico o con il mondo con il quale il magistrato viene ad operare.
1. QUANTO ALL'AMMISSIBILITA' DEL PRESENTE QUESITO IN RELAZIONE ALL'ART. 75 COST.
La richiesta oggetto di referendum deve essere dichiarata ammissibile.
I. Il quesito.
Con diretto riferimento ai caratteri che il quesito sottoposto a referendum deve ritenersi la sua ammissibilità alla luce dei criteri posti da questa Ecc.ma Corte.
Infatti il quesito avendo ad oggetto due commi della stessa disposizione fra loro omogenei si presenta "chiaro, univoco e omogeneo; tale quindi da consentire all'elettore di esprimere la sua volontà con piena consapevolezza..".
Il quesito sottoposto a referendum soddisfa certamente "l'esigenza di semplicità, di chiarezza, di non contraddittorietà" che questa Corte a posto a base del giudizio di ammissibilità anche perché riguarda l'abrogazione di una singola disposizione del RD 1941, di struttura semplice e di oggetto determinato e specifico (sentenza n.631990).
Infatti, il quesito riguarda l'assunzione di incarichi extragiudiziali da parte dei soli magistrati facenti parte dell'Autorità giurisdizionale ordinaria: infatti, i magistrati amministrativi sono autorizzati allo svolgimento di incarichi extragiudiziali in base ad una diversa disciplina legislativa e la sottoposizione a referendum anche di queste ultime disposizioni avrebbe comportato il rischio di una inammissibilità del quesito per disomogeneità dello stesso (ben potendosi ipotizzare che taluno sia contrario alla possibilità di incarichi extragiudiziari per l'Autorità giurisdizionale ordinaria e non per la magistratura amministrativa, o viceversa).
Si osservi, in particolare, che la disciplina degli incarichi ai magistrati amministrativi è ormai contenuta nel D.P.R. 6 ottobre 1993, n. 418, regolamento autorizzato, ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, dall'art. 58, d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.
Lo stesso art. 58 prevedeva la possibilità che sempre con regolamento ai sensi dell'art. 17, comma 2, legge n. 400 si provvedesse anche alla disciplina degli incarichi per i magistrati ordinari; non essendosi provveduto, sono da ritenere in vigore le norme citate e sottoposte ad abrogazione referendaria.
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Secondo una regola da cui pare di non potersi e doversi distaccare, cadute le previsioni generali riguardanti gli incarichi extragiudiziari ai magistrati, cadono con esse tutte le altre disposizioni, particolari, di dettaglio e, per solito, di rango secondario, che di volta in volta tale normativa generale presuppongono e a cui fanno riferimento (tanto vale, in primo luogo, per il Capitolato generale OO.PP., a prescindere dalla perdurante incertezza sulla sua abrogazione da parte della più recente disciplina sui lavori pubblici).
II. La disposizione legislativa di cui si propone l'abrogazione.
A ciò va aggiunto che la disposizione legislativa di cui si propone l'abrogazione e la conseguente generalizzazione del divieto di assumere incarichi extragiudiziari:
> non è sussumibile in alcuna delle categorie contemplate nell'art. 75 della Costituzione;
> non comporta una modifica sostanziale nella normativa applicabile in quanto la regola e, quindi il conseguente divieto per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziali trova il suo fondamento nell'art. 104 della Costituzione secondo cui "La magistratura costituisce un organo autonomo e indipendente da ogni altro potere";
> non implica violazione di alcuna convenzione o direttiva CEE;
> non invade i limiti enucleati, in ordine all'ammissibilità delle richieste referendarie, dalla sentenza di questa Corte n. 161978: Infatti:
>> non invade il limite conseguente alla < essendo l'art. 16, 2^ e 3^ comma caratterizzato da una matrice razionalmente unitaria;>> non invade il limite relativo alle : il diritto di assumere incarichi extragiudiziali non può certo dirsi costituzionalmente protetto;>> non si risolve in una limitazione della funzione giudicante della magistratura ma, anzi, in una sua esaltazione.
Nella sentenza n. 161978 questa Corte ha enunciato con chiarezza il principio secondo cui sono preclusi i referendum aventi ad oggetto "disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa" mentre ha affermato ancora la Corte non sono sottratte al referendum "tutte le leggi ordinarie comunque costitutive od attuative di istituti, di organi di procedure, di principi stabiliti dalla Costituzione", che realizzano solo "una fra le tante soluzioni astrattamente possibili per attuare la Costituzione". Altrimenti si darebbe inammissibilmente adito ha avvertito la Corte a "limitazioni estremamente ampie e mal determinate" del referendum.
Questo insegnamento è stato ribadito e ulteriormente chiarito nelle sentenze pronunciate sui referendum proposti nel 1980.
Così nella sentenza n. 26 del 1981 questa Corte ha affermato che "perché sia dato impedire lo svolgimento di referendum, occorre che il voto popolare coinvolga la Costituzione stessa (ovvero altre fonti normative equiparate ai sensi dell'art. 75 Cost.), anziché incidere sulle sole disposizioni legislative ordinarie formalmente indicate nel quesito"; occorre, precisamente, "che la legge ordinaria da abrogare incorpori determinati principi o disposti costituzionali riproducendone i contenuti o concretandoli nel solo modo costituzionalmente consentito"; sicché la richiesta di referendum "attraverso la proposta mirante a privare di efficacia quella legge, tenda in effetti ad investire la corrispondente parte della Costituzione stessa".
A ciò va aggiunto che questa Corte ha chiarito che "per negare che determinate richieste referendarie siano ammissibili, non rileva che l'approvazione di esse darebbe luogo ad effetti incostituzionali: sia nel senso di determinarne vuoti, suscettibili di ripercuotersi sull'operatività di qualche parte della Costituzione; sia nel senso di privare della necessaria garanzia situazioni costituzionalmente protette" .
Ciò ha aggiunto questa Corte "è tanto meno vero in quanto il legislatore ordinario potrebbe intervenire, dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, anche prima del prodursi dell'effetto abrogativo" in forza del "differimento dell'entrata in vigore dell'abrogazione" ai sensi dell'art. 37, 3^ comma legge n. 3521970.
In sede di giudizio di ammissibilità, infatti "non viene di per sé in rilievo l'eventuale effetto abrogativo del referendum: tanto pi- che la conseguente situazione normativa potrebbe dar luogo, se e quando si realizzi, ad un giudizio di legittimità costituzionale, nelle forme, alle condizioni e nei limiti prescritti"; in tale sede la Corte "porta il suo esame su taluni profili (omogeneità e univocità) inerenti alla struttura del quesito e sulla natura delle disposizioni che del quesito medesimo formano oggetto" (sent. n. 241981).
La preoccupazione del "vuoto normativo" è del tutto estranea alla disciplina costituzionale e legislativa del referendum, il quale, essendo configurato in termini meramente abrogativi, è precisamente uno strumento per togliere di mezzo normative in vigore, restando riservato agli organi legislativi ordinari il compito ed eventualmente l'obbligo di sostituire la disciplina abrogata.
Del resto, come ha notato questa Corte, la legge 3521970 ha inteso precisamente ovviare ai possibili inconvenienti pratici discendenti dal carattere meramente abrogativo della pronuncia referendaria, prevedendo la possibilità di un differimento della decorrenza dell'effetto abrogativo proprio al fine di consentire il tempestivo intervento degli organi legislativi.
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Alla luce di quanto il Comitato Promotore, rappresentato e difeso come indicato in epigrafe, rassegna le seguenti
CONCLUSIONI
Voglia l'Ecc.ma Corte,
disattesa ogni contraria istanza domanda eccezione,
dichiarare ammissibile il quesito relativo all'abrogazione dell'art. 16, 2^ e 3^ comma del RD 3011941, n. 12.
Milano, 3 gennaio 1997
(avv. Stefano Nespor)