Ecc.ma
CORTE COSTITUZIONALE
Giudizio ai sensi dell'art. 2, 1^ comma della L.cost. 1131953, n.1 sull'ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 842, 1^ e 2^ comma del c.c. r.d. 1631942 n. 262
Camera di consiglio del 911997
MEMORIA
del COMITATO PROMOTORE DEL REFERENDUM SULLA CACCIA, l'avv. Stefano Nespor del foro di Milano
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PREMESSA.
Con la presente richiesta di referendum il Comitato promotore chiede l'abrogazione dell'art. 842, 1^ e 2^ comma del c.c..
L'art. 842 , 1^ comma c.c. prevede "Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per lo esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano culture in atto suscettibili di danno."
Il 2^ comma dell'art. 842 prevede inoltre che "Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall'autorità".
Nella relazione al Codice si precisa che con l'art. 842 c.c. si sono "determinati i limiti del potere inibitorio del proprietario del fondo nei riguardi di chi intenda esercitare la caccia o la pesca...".
Pertanto il proprietario del fondo che, secondo gli artt. 832 e 841 del c.c., ha il diritto di goderne e disporne "in modo pieno ed esclusivo" e di chiuderlo "in qualunque tempo ", in base alla disposizione dell'art. 842 c.c., non ha il diritto di opporsi all'ingresso dei cacciatori nel fondo: si tratta di una disposizione che innova quanto previsto dal c.c. del 1865 che all'art. 712 stabiliva che "Non è tuttavia lecito introdursi nel fondo altrui per l'esercizio della caccia contro il divieto del possessore".
Il quesito oggetto di referendum intende eliminare la disposizione eccezionale posta dall'art. 842 c.c. estendendo il generale divieto di accesso al fondo altrui senza il consenso del proprietario anche a chi voglia praticare la caccia.
Il privilegio che l'art. 842 c.c. attribuisce al cacciatore è stato oggetto di critiche: da un lato perché la norma prevede un limite penetrante ai poteri del proprietario, non giustificato come richiesto dall'art. 42 della Cost. da ragioni di utilità sociale, non potendosi riconoscere un valore sociale alla caccia. Dall'altro, per l'ingiustificata disparità di trattamento tra il cacciatore, e chi per esempio intenda accedere al fondo per svolgervi attività connesse la godimento della natura: solo il secondo deve infatti chiedere il consenso al proprietario.
In questo senso il quesito da sottoporre al corpo elettorale intende generalizzare il divieto di accesso nei fondi privati e riflette, alle soglie del 2000, il comune nuovo modo di "sentire" il valore della caccia e della proprietà privata.
Come ha precisato codesta Ecc.ma Corte "il termine <> contenuto nella carta fondamentale non può essere inteso secondo un'accezione fissa e immutabile, bensì con criteri evolutivi, ciò che del resto vale per ogni disposizione costituzionale e particolarmente nella definizione delle materie attribuite alle competenze regionali. In proposito va in particolare ricordato come, secondo una moderna e sempre più ampia concezione, per <> non possa intendersi soltanto l'attività concernente l'abbattimento di animali selvatici, bensì anche quella congiuntamente diretta alla protezione dell'ambiente naturale e di ogni forma di vita, a cui viene subordinata qualsiasi attività sportiva".***
L'art. 842 c.c., unitamente ad alcune norme della L. 9681977 è stato sottoposto a referendum abrogativo nel giugno del 1990, dopo che una prima richiesta di pronuncia, sempre relativa all'art. 842 c.c., era gi stata ritenuta inammissibile da codesta Ecc.ma Corte con la decisione n. 281987.
Soltanto il mancato raggiungimento del quorum previsto dall'art. 75, 4^ comma della Costituzione ha reso impossibile l'approvazione della proposta di referendum.
1. LA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE PER QUANTO RIGUARDA IL REFERENDUM ABROGATIVO IN TEMA DI CACCIA.
Il tema ha costituito oggetto di un ampio dibattito nel paese: infatti per ben tre volte codesta Ecc.ma Corte si è pronunciata rispettivamente sulla L. 9681977 recante "Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia" e per due volte sull'art. 842 c.c..E' appena opportuno richiamare, brevemente, le precedenti decisioni.
I. Sentenza n.271981 n.27. Inammissibilità.
La prima richiesta di referendum in tema di caccia risale a quindici anni fa, avendo ad oggetto la richiesta di abrogazione della L. n. 9681977. Con la sentenza n. 21 in data 1981 codesta Corte dichiarò inammissibile la richiesta di referendum per l'abrogazione parziale della L.27121977, n.968, precisando che "il referendum consiste essenzialmente in una scelta ed il concetto di scelta è intimamente legato a quello di possibilità: se non c'è possibilità non c'è scelta e senza scelta non c'è referendum...".
Secondo codesta Corte, componendosi la legge 9681977 di 37 articoli distribuiti in 11 titoli, "se il quesito fosse stato limitato all'abrogazione dei predetti tre titoli (III, VI, XI), con l'aggiunta tutt'al pi- del comma 2 dell'art.11, indubbiamente sarebbe risultato coerente (scomparendo dalla vigente disciplina la licenza di caccia, la polizza di assicurazione, il tesserino, l'abilitazione all'esercizio venatorio ed il relativo esame, le associazioni venatorie ed i loro compiti). Ma la tecnica usata di colpire altri articoli e commi e singole parole ha reso nebuloso il quesito, perché non si è proceduto con coerenza nell'espungere tutti i riferimenti agli istituti che venivano meno, sì da fare apparire significanti le parti residue...".
L'inammissibilità risultò fondata sull'eterogeneità e sull'incoerenza dei quesiti referendari proposti con l'abrogazione delle norme indicate.
Secondo codesta Ecc.ma Corte l'incoerenza sarebbe risultata dal confronto tra la parte di legge coinvolta dal referendum e la restante parte di legge estranea al medesimo giudizio.
II. Sentenza n. 281987. Inammissibilità.
Nel 1987 furono presentate due richieste di referendum sulla caccia aventi ad oggetto rispettivamente l'abrogazione di alcuni articoli della L. 9681977 (escludendo oltre l'art. 1 <>, l'intero Titolo III <>, il Titolo VI <> e il Titolo XI <>) e l'art. 842, 1^, 2^ e 3^ comma del c.c.Con la sentenza n. 28 in data 321987 codesta Ecc.ma Corte dichiar nuovamente inammissibili entrambe le richieste referendarie.
Con riguardo alla richiesta relativa alla L.9681977 codesta Corte ritenne che "il quesito, creando disorientamento, risulta privo di quella chiarezza, che assicura l'espressione di un voto consapevole" e che "si verrebbero a produrre nell'ordinamento, in caso di approvazione, innovazioni non consentite al referendum abrogativo". Il disorientamento sarebbe dipeso dal fatto che la richiesta di abrogazione di alcuni articoli (3, 10, 11, 1^ comma, 20 e 31) "sembra volta a limitare, non gi l'attività venatoria, ma la protezione e la tutela della fauna", mentre con l'abrogazione dell'art. 8 secondo cui "l'esercizio della caccia è consentito" "sembrerebbe mirarsi al divieto di caccia", obiettivo a sua volta contraddetto dalla esclusione dal quesito referendario degli articoli relativi alla "licenza di porto d'armi per uso di caccia" (art. 21) e alla "abilitazione all'esercizio venatorio" (art.22).
Con la decisione n. 28 in data 321987 codesta Ecc.ma Corte dichiar inoltre inammissibile il referendum diretto all'abrogazione dell'art. 842 c.c.nella sua interezza.
Al riguardo, la Corte precisò che "...Comprendendo tale articolo due materie distinte (caccia e pesca), la richiesta preclude all'elettore che sia favorevole all'abrogazione di una sola fra le due ipotesi normative di operare una scelta fra esse, e di conseguenza incidendo sulla libertà del diritto di voto".
III. Sentenza n. 631990. Ammissibilità.
Nel 1990 furono presentate a codesta Corte due ulteriori richieste di referendum sulla caccia aventi ad oggetto rispettivamente la L. 9681977 (esclusi gli artt. 1,2,3 comma 1, 11 comma, 18 commi 1,3 5, 19, 26 in parte e 35) e i commi 1^ e 2^ dell'art. 842 c.c..
Con la sentenza n.631990 codesta Corte dichiarò finalmente ammissibili entrambe le richieste. Al riguardo codesta Corte ritenne la ammissibilità del quesito relativo all'abrogazione dei primi due commi dell'art. 842 c.c., argomentando che esso "...manifesta inequivocabilmente l'intento di generalizzare il divieto di accedere nel fondo altrui per l'esercizio della caccia, anche se non ricorrano le due condizioni attualmente previste dalla disposizione in discussione (recinzione del fondo o esistenza di colture suscettibili di danno)..."
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2. QUANTO ALL'AMMISSIBILITA' DEL PRESENTE QUESITO IN RELAZIONE ALL'ART. 75 COST.
Così come nel 1990, la richiesta oggetto di referendum deve essere dichiarata ammissibile.
I. Il quesito.
Con diretto riferimento ai caratteri che il quesito sottoposto a referendum deve rivestire, codesta Ecc.ma Corte nel 1990 ha già riconosciuto la sua ammissibilità.
Infatti il quesito, avendo ad oggetto due commi della stessa disposizione fra loro omogenei, si presenta "chiaro, univoco e omogeneo; tale quindi da consentire all'elettore di esprimere la sua volontà con piena consapevolezza..".
Il quesito sottoposto a referendum soddisfa certamente "l'esigenza di semplicità, di chiarezza, di non contraddittorietà" che codesta Corte a posto a base del giudizio di ammissibilità anche perché riguarda l'abrogazione di una singola disposizione del codice civile, di struttura semplice e di oggetto determinato e specifico.
Inoltre esso investe, così come richiesto da codesta Ecc.ma Corte, solo il 1^ e il 2^ comma dell'art. 842 c.c..
II. La disposizione legislativa di cui si propone l'abrogazione.
A ci va aggiunto che la disposizione legislativa di cui si propone l'abrogazione e la conseguente generalizzazione del divieto di accesso nell'altrui fondo:
> non è sussumibile in alcuna delle categorie contemplate nell'art. 75 della Costituzione;
> non comporta una modifica sostanziale nella normativa applicabile in quanto la regola e, quindi il conseguente divieto di accesso nel fondo altrui trova il suo fondamento nell'art. 832 c.c. che stabilisce il potere pieno ed esclusivo del proprietario del bene e nell'art. 841 c.c. che stabilisce il potere del proprietario di chiudere in qualunque tempo il fondo;
> non implica violazione di alcuna convenzione o direttiva CEE;
> non invade i limiti enucleati, in ordine all'ammissibilità delle richieste referendarie, dalla sentenza di codesta Corte n. 161978: Infatti:
>> non invade il limite conseguente alla < essendo l'art. 842, 1^ e 2^ comma caratterizzato da una matrice razionalmente unitaria;>> non invade il limite relativo alle . Infatti il diritto di caccia non può dirsi costituzionalmente protetto in quanto l'art. 117 della Costituzione non stabilisce una garanzia costituzionale della permanente liceità delle attività medesime. In questo senso l'abrogazione dei primi due commi dell'art. 842 c.c. non invade le disposizioni dettate dalla L. 1121992, n.157 "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio" che all'art. 1, 2^ comma espressamente prevede "L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole";>> non si risolve in una limitazione della funzione sociale della proprietà intesa secondo quanto prevede l'art. 42 della Cost. come peraltro ha gi riconosciuto codesta Corte con la sentenza n. 631990 in quanto "regolando i rapporti tra proprietario e cacciatore, appronta una regolamentazione mediatrice tra le due posizioni individuali...";
>> non si risolve in una limitazione della competenza legislativa concorrente delle regioni a statuto ordinario che la conserverebbe, oltre che in ordine alla disciplina del regime conseguente al divieto, anche per quanto concerne i numerosi altri aspetti della protezione della fauna (art. 117 cost.). ;
>> non invade la competenza legislativa primaria delle regioni a statuto speciale.
Il corpo elettorale, secondo la richiesta dei firmatari della richiesta di referendum, dovrà essere chiamato a deliberare l'abrogazione o meno di questa disposizione, e quindi a modernizzare una scelta legislativa risalente al 1942.
Attraverso l'abrogazione dell'art. 842 c.c. si tende a cancellare il principio che fa prevalere sul diritto di proprietà dei fondi la facoltà dei (soli) cacciatori, rinviando alla legislazione sulla caccia la determinazione delle modalità esclusive attraverso cui il proprietario può impedire l'accesso ai fondi ed ai relativi effetti.
La materia oggetto della disciplina dell'art. 842 c.c. è priva di diretta rilevanza costituzionale; in questo senso la norma esprime una composizione largamente discrezionale fra un diritto costituzionalmente garantito, quale è il diritto di proprietà, e un interesse non sorretto di garanzia costituzionale, ma liberamente preso in considerazione dal legislatore ordinario al fine di prevedere un limite al diritto di proprietà.
Non esiste alcun vincolo costituzionale a riconoscere o a garantire un diritto o una libertà di cacciare, tanto meno nei fondi altrui e contro la volontà dei proprietari.
Nel merito deve sottolinearsi che i modi per comporre i contrastanti interessi dei cacciatori e dei possessori dei fondi possono essere molti e diversi: quella prescelta dal legislatore del 1942 è solo una di queste discipline possibili, per nulla vincolata costituzionalmente.
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3. IN ORDINE AI RAPPORTI DELL'ART. 842 C.C. CON LA LEGGE N. 157 DEL 1992.
I. L'Ufficio centrale per il referendum, nell'ambito dei poteri ad esso attribuiti dagli articoli 32, terzo comma, e 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, di regolarizzazione e riformulazione dei quesiti referendari, nella fase di controllo immediatamente precedente quella ora in corso, ha fatto rilevare ai presentatori della richiesta concernente la caccia (ord. 31 ottobre 1996) che, nella formulazione del quesito, non si è tenuto conto della legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", soprattutto in riferimento agli artt. 10, 14, 15 e 37, 1 comma.
Giova osservare che la legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", ha espressamente abrogato la legge 27 dicembre 1977, n. 968 ed ha integrato la disciplina del regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, modificato con legge 2 agosto 1967, n. 799.
Il rinvio alla "legge sulla caccia", contenuto nel primo comma dell'art. 842 c.c. (oggetto di referendum), va riferito dunque alla nuova disciplina della materia e, solo in quanto compatibile e non espressamente abrogata, alla disciplina pregressa. Le disposizioni in oggetto di cui è richiesta l'abrogazione referendaria non sono d'altronde state abrogate, modificate o integrate dalla nuova disciplina, contenuta nella legge n. 157 del 1992.
E' però ovvio che, secondo i normali canoni interpretativi, l'art. 842 c.c. va ora letto nel nuovo contesto ordinamentale in cui è attualmente chiamato ad operare, nel significato proprio che esso assume come norma rinviante o rinviata all'interno del sistema normativo vigente al momento dell'iniziativa referendaria: si deve dunque ritenere che nella formulazione del quesito si S tenuto conto della legge 157 del 1992, nel senso che è ad essa che si deve intendere faccia attualmente riferimento il primo comma dell'art. 842 c.c., l dove rinvia alle leggi sulla caccia.
II. Sulla questione si é già pronunciato l'Ufficio centrale. Può essere comunque opportuno riprodurre alcune delle argomentazioni esposte dinanzi all'UCR, relativamente a quelle disposizioni della legge sulla caccia di maggior interesse per la disciplina dell'art. 842 c.c.
L'articolo 10 disciplina la pianificazione faunisticovenatoria che deve concernere "tutto il territorio agrosilvopastorale nazionale", sia esso di natura privata o demaniale, "mediante la destinazione differenziata del territorio" e avendo come obiettivi, tra l'altro, la protezione della fauna selvatica ed il miglioramento ambientale.
L'oggetto del referendum non deve, né può includere la disposizione richiamata, la quale anzi è perfettamente in grado di svolgere un'autonoma funzione ordinamentale nella disciplina di una pianificazione faunisticovenatoria che non riguarda l'oggetto del referendum. Ovviamente questa disposizione andrà letta, secondo i normali canoni interpretativi, alla luce della eventualmente nuova situazione normativa risultante dalla dichiarazione dell'avvenuta abrogazione referendaria.
III. L'articolo 14 della legge 157/92 disciplina la gestione programmata della caccia: anche per questo articolo valgono le medesime considerazioni relative all'articolo 10.
Nell'intenzione dei promotori non si intende incidere sulle norme che prevedono la ripartizione del territorio agrosilvopastorale in ambiti territoriali di caccia e la fissazione degli indici di densità venatoria, né le altre disposizioni connesse; sicché, anche per questo caso, successivamente all'abrogazione referendaria, esse dovranno venir lette nell'ambito del nuovo contesto normativo.
Nel contesto dell'art. 14, l'unico frammento normativo che può aver rapporti con il quesito referendario è quello del comma 12 laddove questo dispone che "per gli appostamenti che importino preparazione del sito con modificazione e occupazione stabile del terreno, è necessario il consenso del proprietario o del conduttore del fondo".
E' evidente tuttavia che non si tratta di disposizione contrastante con l'intenzione referendaria, limitandosi essa ad esprimere il medesimo principio (consenso del proprietario) che costituisce l'obiettivo del referendum, soltanto con una portata normativa pi- limitata. Essa non è quindi da includere nel quesito definitivo, ma è disposizione che, ad abrogazione referendaria avvenuta, andrà letta alla luce di questo fatto normativo che la ricomprenderebbe in una più ampia norma risultante da un esito referendario, che richiederebbe, in ogni caso, il consenso del proprietario del fondo.
IV. L'articolo 15 della legge 157/92 disciplina l'utilizzazione dei fondi ai fini della gestione programmata della caccia. Pur se le disposizioni in esso contenute sono parzialmente attinenti alla volontà referendaria, pare ai promotori che l'eventuale abrogazione dei primi due commi dell'art. 842 c.c. renderebbe inapplicabili quelle disposizioni che ad essi, espressamente, si richiamano. E' pur vero che la nuova legge sull'attività venatoria ha ridimensionato l'inopponibilità del titolo di proprietà al cacciatore che, in conformità con le leggi vigenti, intenda esercitare l'attività di caccia su fondi privati, offrendo al proprietario nuovi e più flessibili strumenti per opporsi all'ingresso; tuttavia è chiaro che l'intenzione referendaria mira a consentire l'ulteriore, e più ampio, risultato che, in ogni caso, il proprietario di un fondo possa impedire che altri vi entrino per l'esercizio della caccia.
In particolare i commi 3, 4 e 5 dell'art. 15 subordinano la possibilità del proprietario o conduttore di un fondo di vietare sullo stesso l'esercizio dell'attività venatoria alla decisione della Giunta regionale, disciplinando le modalità della richiesta, della decisione e degli effetti di quest'ultima.
Il comma 8, attuando il disposto del primo comma dell'articolo 842 del codice civile, disciplina l'onere posto da tale norma a carico del proprietario o conduttore di "chiudere il fondo" in tutti i casi in cui egli voglia impedire su di esso l'esercizio dell'attività venatoria.
Se interpretate sistematicamente, tali disposizioni paiono essere l'attuazione (più articolata di quella precedentemente in vigore) del rinvio alla legge sulla caccia compiuto dall'art. 842 c.c.: cosicché, così come nella vicenda referendaria del 198990, l'Ufficio centrale non ritenne di dover ricomprendere nel quesito le disposizioni allora vigenti che costituivano la modalità di chiusura del fondo (v. decisione n. 63 del 1990), in modo eguale pare ci si debba regolare oggi, limitandosi ad abrogare la norma di principio e lasciando fuori le disposizioni che costituiscono attuazione di essa.
V. L'art. 37, 1 comma della legge 157/92, infine, abroga la precedente legge sulla caccia 27 dicembre 1977, n. 968, ed ogni altra disposizione in contrasto con detta legge. Non pare ai promotori che tale disposizione abrogatrice avrebbe dovuto essere ricompresa nel quesito, giacché la legge n. 157 del 1992 come gi rilevato non ha abrogato, modificato o sostituito in nessuna parte il testo del citato articolo del codice civile, né può con esso considerarsi in contrasto dato che l'art. 842 c.c. è stato anzi espressamente richiamato dall'art. 15, comma 11, venendone, in tal modo, esplicitamente riconosciuta la vigenza, sia pur evidentemente nel contesto delle innovazioni ordinamentali prodotte dalla legge medesima, che come già rilevato hanno prodotto una disciplina più restrittiva dell'esercizio dell'attività di caccia sui fondi privati in assenza del consenso del proprietario, pur tuttavia senza escludere del tutto una siffatta possibilità come nelle attuali intenzioni dei promotori del referendum in o
ggetto.
Dispone infatti l'art. 15, comma 11, di detta legge che "le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 842 del codice civile si applicano esclusivamente nei territori sottoposti al regime di gestione programmata della caccia ai sensi degli articoli 10 e 14". E' precisamente, allora, l'art. 842, 1 e 2 comma, c.c., nel suo attuale significato che si S inteso porre ad oggetto di codesto referendum abrogativo. Si tratta infatti di disposizioni pienamente vigenti di cui gli artt. 10, 14 e 15 della legge 157/92 hanno, a voler tutto concedere, modificato la portata applicativa. Oggetto della richiesta abrogativa S da intendersi, dunque, la operatività, nell'attuale ordinamento della norma derogatoria ad un principio generale del diritto di proprietà: lo jus excludendi alios.
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L'Ufficio centrale per il referendum, nella sua ordinanza dell'1113 dicembre 1996, ha riconosciuto la bontà di tali argomentazioni ed ha concluso nel senso che l'art. 15, comma 11, della legge n. 157 del 1992, nel far riferimento all'art. 842, comma 1, c.c., "testualmente dimostra la perdurante vigenza dell'art. 842, comma 1, c.c., sia pure in un pi- ristretto ambito di applicazione"; n, risulta abrogato il comma 2 dell'art. 842 c.c.
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Alla luce di quanto suesposto il Comitato Promotore, come sopra rappresentato e difeso, rassegna le seguenti
CONCLUSIONI
Voglia l'Ecc.ma Corte, disattesa ogni contraria istanza domanda eccezione, dichiarare ammissibile il quesito relativo all'abrogazione dell'art. 842 1^ e 2^ comma del c.c..
Milano Roma 30121996
Avv. Stefano Nespor