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Segreteria Rinascimento - 14 gennaio 1997
FISCO INSAZIABILE, DEFICIT DRAMMATICO

di Benedetto Della Vedova

(L'Opinione delle Libertà, 14 gennaio 1997)

Il buco nel bilancio '96, di circa 30.000 miliardi rispetto alle previsioni iniziali e di oltre 15.000 rispetto alle previsioni di ottobre del Governo, non lascia dubbi sulla necessità di nuovi e significativi interventi di correzione dell'andamento del conti pubblici '97 gi nei primi mesi dell'anno: tra i 20 e i 40 mila miliardi, a seconda anche dell'andamento dei tassi di interesse, perché l'obiettivo del rapporto deficit/Pil al 3% resti credibile.

Già così come è oggi, però, la manovra finanziaria produrrà un significativo aumento della pressione fiscale (imposte e contributi), che passerà dal 42,5% rispetto al PIL del '96 al 44,2% del '97 (Dati IRS). La crescita, che sembrava essersi arrestata nel biennio 9495, riprenderà quindi la sua progressione: 30% nel 1980, 34% nel 1985, 39% nel 1990. Quando si sostiene che la pressione fiscale italiana non si discosta significativamente dalla media dei paesi dell'Unione Europea (42,8% nel '96), ci si dimentica di ricordare che il valore europeo era gi del 39,4 nel 1980, e che il suo contenuto aumento negli ultimi quindici anni è probabilmente imputabile alla sola crescita avutasi nel nostro paese. Questa dinamica così accentuata, che come ben sappiamo non ha avuto riscontro in aumento della qualità e della produttività della spesa pubblica, sta stringendo in una morsa asfissiante l'economia, almeno quella legale. Infatti, l'aumento della imposizione, sulle aziende e sul lavoro, avrà come effetto inevitabile

quello di accentuare ancor di pi- il fenomeno dell'economia sommersa, alimentando il circolo vizioso che lega aumento delle imposte e diminuzione della base imponibile: mentre il computo del PIL contiene una stima dell'economia sommersa di gran lunga maggiore che negli altri paesi la riscossione si concentra quasi esclusivamente sull'economia regolare. Ciò spiega, almeno in parte, il netto divario tra il carico fiscale cui sono sottoposte le imprese italiane rispetto a quelle degli altri partner europei: l'aliquota ufficiale sul reddito di impresa è in Italia del 53,2%, contro il 45 della Germania, il 33 della Spagna e il 30 del Regno Unito. Stando alle elaborazioni di Confindustria, poi, l'aliquota effettiva (considerate ICI, patrimoniale etc.) sale al 57%, contro, ad esempio il 34 del Regno Unito. Analogo ragionamento vale per i contributi che gravano sul lavoro.

Il principale effetto di questo inasprimento fiscale sarà, secondo le previsioni pi- accreditate (a cominciare da quelle di Bankitalia), una crescita dell'economia ben al di sotto del 2% previsto dal Governo e quindi anche di quella degli altri principali paesi (USA 2,4, Germania 2,2, Regno Unito 3,3).

Per quanto riguarda il lavoro, poi, la disoccupazione italiana sembra destinata a rimanere anche per il prossimo anno su di un valore complessivo prossimo al 12%; analogamente, la disoccupazione resterà sostanzialmente invariata in Francia (12,5%) e Germania (10,3%). In Europa l'unico paese che otterrà risultati significativi nella creazione di nuova occupazione sarà il Regno Unito, dove il tasso di disoccupazione dovrebbe scendere al di sotto del 7%, mentre gli Stati Uniti dovrebbero confermare una percentuale di disoccupati del 5,4%. Dovrebbe indurre a qualche riflessione, in Italia specialmente ma non solo, che i due paesi anglosassoni siano proprio quelli in cui la pressione fiscale è quella drasticamente più bassa, sia per quanto riguarda quella generale che quella sulle aziende.

 
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