PARLA ANTONIO BALDASSARRE, EX PRESIDENTE DELLA CONSULTA: "BICAMERALE? ATTENTI AI PASTICCI".
Di Giovanni Negri
ROMA - "Sulle riforme costituzionali il Parlamento va messo alla prova. Se la Bicamerale dovesse però fallire, non decidere o produrre risultati di scarso rilievo, allora non resterà che l'Assemblea Costituente. Perché il Paese della Riforma ha necessità: il nuovo assetto non e un lusso bensì un problema di fondo, è la struttura costituzionale che va cambiata. Quanto ai referendum, voglio sperare e non credo siano corrette le previsioni negative: se si volessero estendere i già ampi limiti all'istituto referendario che sono stati giurisdizionalmente determinati si andrebbe contro lo spirito del Costituente". Tempi agitati per un mondo politico in preda ai dibattiti sulle modifiche della Costituzione e i trenta quesiti pendenti davanti al giudizio della Consulta, diviso tra fautori della Bicamerale e partigiani del voto popolare con l'Assemblea Costituente e i referendum. Meglio allora guardare la grande agitazione attraverso un osservatore autorevole come Antonio Baldassarre, già presidente della Corte Costi
tuzionale ed ora anche componente del gruppo di Liberal, che è insieme pensatoio e rivista.
E' ottimista sugli esiti della Commissione Bicamerale?
"Diciamo che devo esserlo, uso il verbo dovere perché sarebbe molto grave un fallimento del Parlamento. Certo mi rendo conto che la classe politica di questi anni non dimostra un grande livello. Tuttavia alcune cose, per tornare al verbo dovere, devono proprio essere fatte".
Quali le priorità e quali i prezzi se non andranno in porto?
"L'intero meccanismo decisionale va rifondato, il rapporto ParlamentoEsecutivo è antiquato, non basta la riforma dei regolamenti parlamentari ma occorre mutare la forma di governo. Serve un esecutivo responsabile e dotato degli strumenti di attuazione del suo programma. Un presidente della Repubblica eletto dal popolo o un primo ministro che, se nominato in Parlamento, lo sia come in Gran Bretagna, dove quando si va alle urne si sa già per quale premier si vota. I costi della non riforma sono evidenti: già oggi paghiamo i nostri ritardi con leggi finanziarie che sistematicamente sforano le previsioni".
Con una maggioranza divisa sulle riforme e un'opposizione lacerata sui percorsi per ottenerle, crede davvero che una svolta del genere sia a portata di mano?
"Devo crederci, il rinnovamento non è un optional. Anche se c'è il rischio di improvvisazioni da parte di questa classe politica, di compromessi al livello più basso, o di soluzioni cervellotiche come alcune che circolano".
Perché cosa circola?
"L'idea di un capo dello Stato garante della magistratura non ha né capo né coda, anzi un capo ce l'ha perché è proprio autoritaria. In regime di monarchia il Re era capo della magistratura. Ecco, la giustizia e un'altra priorità".
Ma anche li i contenuti delle intese sono un mistero e la tensione fra politici e magistrati non si allenta.
"Vero, la riforma sta fra Scilla e Cariddi. Da Un lato la magistratura che non ragiona sulle proposte e pone le sue pregiudiziali, dall'altro una classe politica sovente ambigua, che non capisce se miri a riforme autentiche o a coprire interessi del tutto estranei alla crisi. Certo è che il nostro sistema giudiziario e processuale è il fanalino di coda dei paesi occidentali. Né aiutano a fare passi avanti rigidità come quelle di un magistrato che ascoltavo in questi giorni in tv. No alla separazione delle carriere, diceva, cioè no alla subordinazione al potere politico. Mostrava di non sapere neppure che in quasi tutto l'Occidente separazione delle carriere e non subordinazione al potere politico convivono perfettamente, e che le due cose non coincidono affatto".
E del mitico federalismo la Bicamerale cosa ne fara?
"lo la sfera di cristallo non ce l'ho. So però per certo che attorno al federalismo si è
condotta una logomachia, un'aspra guerra delle parole. Ne ha parlato sin qui seriamente solo Gianfranco Miglio, ma con contenuti che non condivido. Dopo c'è stata molta aria fritta. Penso che il nodo stia nel concedere alle regioni effettivi poteri di governo, omogenei per materie, competenze e interessi. Finora non ci si è mai provato, almeno sul serio".
Professore, è tempo di sentenza sui referendum. Spira aria di grande mannaia, pare ne sopravvivano solo tra i cinque e gli otto .
"Senta, io non credo alle previsioni, nessuno sa cosa accade là dentro. Certo il referendum non è mai entrato nella cultura dei giuristi italiani, è un'anomalia che non è mai stata ben metabolizzata. Tuttavia credo che la Corte giudicherà cercando di salvare la sostanza della Costituzione, e la sostanza non sta in un sistema arroccato dove a decidere è solo il Parlamento, non a caso il Costituente volle il referendum".
Però la Consulta ha posto vari limiti.
"Appunto, se si volessero allargare i già ampi limiti credo si andrebbe contro lo spirito del Costituente. Pensi che già oggi, volendo, la Corte ha lo strumento giuridico per escludere qualsiasi referendum. Già questo pone la Corte in una condizione difficile, sulla quale essa stessa dovrebbe riflettere. Né il grande numero dei quesiti può fare da alibi. Stiamo a vedere, e lasciamo da parte le voci".