LA CONSULTA PANNELLA NON POTEVA CONTESTARE LA LEGGE SUI PARTITI
ROMA I promotori di un referendum abrogativo perdono ogni potere nel momento in cui la consultazione popolare si è conclusa. E' in base a questo principio che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile, la settimana scorsa, il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato da Marco Pannella dopo l'approvazione della legge sul finanziamento volontario al sistema politico. Pannella si riteneva legittimato a contestare la nuova normativa in quanto promotore del referendum che nel '93 aveva portato all'abrogazione della vecchia. Le motivazioni (estensore il giudice Cesare Ruperto) sono state rese note ieri, mentre la Consulta sta valutando l'ammissibilità o meno delle richieste referendarie avanzate da radicali (18) e da regioni (12). I giudici non sono entrati nel merito della questione, se cioè c'è una differenza sostanziale tra i contributi predeterminati dello Stato e la scelta dei cittadini di destinare il 4 per mille dell'Irpef al finanziamento della politica.
I promotori
La Corte si è limitata ad affermare che "la funzione costituzionalmente rilevante e garantita" dei promotori di un referendum "non si traduce affatto nella costituzione di un organo permanente di controllo, come tale in grado di interferire direttamente sulla volontà del Parlamento a garanzia di un corretto rapporto tra i risultati del referendum e gli ulteriori sviluppi legislativi, bensì trova il suo naturale limite nella conclusione del procedimento referendario".
Una porta aperta
La Corte lascia tuttavia aperta a Pannella un'altra porta, quella tradizionale. "La normativa successivamente emanata dal legislatore ricorda la Corte è pur sempre soggetta all'ordinario sindacato di legittimità costituzionale, e quindi permane comunque la possibilità di un controllo della Corte in merito all'osservanza da parte dello stesso legislatore dei limiti relativi al divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa approvata dalla volontà popolare". Come dire a Pannella: se vuoi contestare la nuova legge, fai una nuova richiesta di referendum, e noi ne valuteremo l'ammissibilità. Ma è una strada lunga. E infatti Pannella, appena saputo del "no" della Corte, ha provato intanto ad imboccare una scorciatoia tanto a Roma quanto a Milano ha presentato un espostodenuncia alla magistratura sulle nuove norme sperando di trovare un giudice disponibile a porre davanti alla Corte la
questione della "non manifesta infondatezza" della denuncia radicale che le nuove norme configurerebbero un attentato alla Costituzione e ai diritti politici dei cittadini Ma la Corte costituzionale intanto ha altro da fare: decidere appunto sull'ammissibilità delle richieste referendarie pendenti. Esame più laborioso del previsto, e che probabilmente sposterà ancora (ai primi giorni della prossima settimana, si dice) il momento dell'annuncio, contemporaneo, delle trenta decisioni.
I giudici rispettano il ruolo, e sono ancora alle prese con le proposte delle regioni. In
coda, o quasi, le decisioni più attese: quelle riguardanti l'abolizione di quel 25% di quota proporzionale nell'elezione di Camera e Senato. Un'indiscrezione vorrebbe che si possa delineare una maggioranza favorevole ai due referendum (e che ribal
terebbe quindi la decisione di inammissibilità di identici quesiti presa due anni fa); ma altre voci non in contraddizione con le prime vorrebbero che la difficoltà
ancora insuperata sia rappresentata da una consolidata giurisprudenza, di principio e non di merito, con cui la stessa Corte ha affermato che le leggi elettorali possono essere sottoposte a referendum (e da noi esiste solo quello abrogativo) se le norme residue consentono l'immediata rielezione delle Camere. Il che non sarebbe possibile dal momento che l'eliminazione della quota proporzionale costringerebbe a ridisegnare, rimpicciolendoli, tutti gli attuali collegi uninominali.