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Partito Radicale Rinascimento - 14 aprile 1997
Da Il Foglio del 14/4/97 pg. 2

ARRIVA IL FINANZIAMENTO PUBBLICO

Di Vittorio Zucconi

La Repubblica, venerdì 11 aprile

Sconvolta e umiliata per il continuo scandalo dei finanziamenti elettorali, l'America del "bisogna fare qualcosa" sta prendendo in seria considerazione l'ipotesi del finanziamento pubblico dei candidati. Una forte lobby civica, che si fa chiamare "Public Campaign", ha preso di mira alcuni Statichiave, come Massachusetts, Michigan, Arizona, Missouri, e sta mietendo consensi, dicono i sondaggi. La direttrice Ellen Miller, una donna come sono quasi sempre donne coloro che guidano queste campagne riformiste di cittadini indignati in America (donna fu la leader del partito della Temperanza che portò il Proibizionismo), informa che l'operazione ha grande successo.

Entro i prossimi quattro anni, dunque in tempo per le storiche presidenziali del Duemila, la lobby conta di vedere almeno cinque Stati americani approvare il finanziamento pubblico dei partiti come ha già deciso di fare, con un referendum, il Maine. E poi, la nazione tutta. "Non c'è dubbio - ha conmmentato il pollster di Gallup - che prima della fine del secolo vedremo passare qualche forma di legge sul finanziamento pubblico dei partiti".

Quattrini a parte, che dovrebbero venire tutti dai contribuenti e non più principalmente da "benefattori" privati o dalle tasche del candidato come accade ora, il perno della riforma dovrebbe essere la tv. E' ben noto a tutti ed evidente che la causa principale di scandali e di corruzione contributiva è la televisione. Fu per rimontare la sua depressa popolarità e per fronteggiare i costi astronomici della pubblicità in tv che Bill Clinton decise di trasformarsi nel "Primo Albergatore" d'America affittando ai contribuenti più generosi le camere da letto della casa del popolo, della White House. E altrettanto fanno a modo loro i repubblicani di estrema destra, i democratici di sinistra, i moderati, gli indipendenti, i cani sciolti, chiunque voglia concorrere a una carica elettiva pubblica. Senza spot televisivi - che a Dole e Clinton sono costati 250 miliardi di lire nella campagna del 1996 - non si viene letti.

Tolta la causa, si eliminerà anche l'effetto, ragionano i riformisti di "Public Campaign" che intendono imporre per legge "free time", tempo gratutito in tv destinanto ai candidati durante le campagne elettorali. Poiché le reti e le stazioni tv trasmettono grazie a una "licenza", noi diremmo una concessione, dello Statom, pare giusto che lo Stato imponga loro di svolgere un servizio pubblico donando minuti al dibattito politico.

La proposta di legge sembra perfettamente ragionevole, e anche nobile, ai bravi "burgers", ai bravi cittadini dell'Arizona o del Missouri o del Michigan, ma se per una volta è consentito girare il tavolo e metteri noi italiani nelle vesti di chi dà consigli agli zii americani, essa sembra perfettamente catastrofica, quando è letta da Roma. Se la generosa signora riformista facesse quel che un americano non fa mai e guardasse alle esperienze fatte in altre nazioni, vedrebbe in fretta quali sciagure comporterebbe la sua legge.

Non soltanto il finanziamento pubblico non mettte di per se stesso una nazione al riparo della corruttela individuale e dal mercato della cosa pubblica (un nome per tutti, signora direttrice: scriva al dottor Di Pietro Antonio, Montenero di Bisaccia, Italy, basta così, gli arriva). Non soltanto la tv messa a completa, totale, supina disposizione dei politici non garantisce l'onestà, né la serietà del dibattito politico, ma al contrario lo tritura e lo rende ferino. In più, la signora non sa, e non può sapere, in quale vergognoso ginepraio di regole, di par condicio, di scenate, di pressioni per avere un minuto in più, di manovre per avere il presentatore, il direttore, l'intervistatore su misura sta per cacciare l'America con la sua riforma.

Non capita spesso, anzi quasi mai, di poter fare gli americani con gli americani e impartire a loro quelle lezioni di buone maniere civiche e di democrazia che loro da mezzo secolo ci impartiscono. Ma questa volta, con piena cognizione dei fatti e con la certezza che la natura umana, specialmente quando si tratta di natura dei politici, non cambia in India, in Germania o in America, possiamo dire alla signora Miller con assoluta, fervida sempatia: signora, dia retta, non lo faccia.

 
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