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Segreteria Rinascimento - 16 aprile 1997
Da "IL GIORNALE" del 16 aprile 1997, pag.3

LE TOGHE DIFENDONO I LORO PRIVILEGI

Di Iuri Maria Prado

Se sia dovuto a ignoranza (come suggerisce Nicola Matteucci) o ad altro, io non so: ma vedo che molti magistrati continuano a frequentare i soliti luoghi comuni in cui, agghindata di democraticita" e "senso civile", risiede piuttosto e scalcia la pretesa di certa magistratura di essere autonoma e indipendente, sì, ma dallo Stato. Pretesa non attenuata dall'innocua precisazione, degradata a mera clausola di stile, secondo cui i magistrati parlano, discutono, si oppongono, interferiscono, ma "nel pieno rispetto delle istituzioni parlamentari" (così il dottor Gian Carlo Caselli, ancora qualche giorno fa, su Repubblica). Giacchè il rispetto starebbe semmai nel riconoscimento della potestà

esclusiva di quelle istituzioni a far le leggi che ritengono opportune, e ancor nell'obbedienza assoluta, finche' si è chiamati ad applicarle, a quelle leggi. Mentre l'impressione per cosi dire,

e che il rispetto delle istituzioni sia inteso come dovuto, da parte di certi magistrati, se e nella misura in cui esse facciano ciò che i magistrati medesimi hanno in cuore. Di modo che il presunto "rispetto" è subordinato a una specie di esame coi magistrati che accendono il rosso o il verde del loro "parere", il quale, guarda caso, è sempre e pregiudizialmente rosso ogni qual volta si tratti di riformare quest'ambito dell'organizzazione statale che è la giustizia: il "loro" ambito. Parere, quello dei magistrati che essi non si limitano a pretendere di poter esprimere in libertà assoluta che già è indebito ma che addirittura pretendono vincolante. Il guaio, però, è tale pretesa è assolutamente illegittima, perchè si fonda unicamente sulla posizione di rilievo istituzionale che la magistratura corporata ha potuto usurpare, e in definitiva su questo potere enorme che è la possibilità di spedire in galera le persone. A chi mai d'altra parte, a quale altra categoria è consentito di porsi, nel modo in cui la

magistratura si pone, come interlocutore o meglio vero e proprio direttore dell'attività legislativa e di governo? Forse unicamente ai sindacalisti, altra categoria impropriamente giunta a "rappresentarsi", ma alla quale non spetta la delicata funzione di applicare la legge: funzione ammissibile, armonica, legittimamente esercitata, sotto premessa che alla legge il magistrato sia, a sua volta e per primo, soggetto. Mentre questa premessa, questa necessita dello Stato di diritto che è la soggezione del magistrato alla legge, pare sempre più intendersi come soggezione non alla legge quale è e sarà per criterio indiscutibile del legislatore, ma alla legge quale "deve essere per volontà dei magistrati. E se ora qualcuno (e sempre il dottor Caselli) argomenta che i magistrati manifesterebbero le loro "preoccupazioni" (verso una possibile riforma del Csm, verso l'ipotizzata separazione delle carriere eccetera), solo "per contribuire alla definizione di uno Stato che sia la casa comune di tutti i cittadini, si ha

solo conferma di come in certi ambienti non sia per nulla chiaro che lo Stato cui i magistrati dovrebbero essere soggetti è questo, e non l'"altro" che hanno in testa come modello. E in questo Stato, fino a prova contraria, la "definizione" dei nuovi ordinamenti, anche giudiziari, compete a chi rappresenta il corpo elettorale: non ai magistrati.

 
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