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Partito Radicale Rinascimento - 21 aprile 1997
DA "LA STAMPA" PG. 1 DEL 21/4/97

GOVERNO ALL'ULTIMO APPELLO

Di Gad Lerner

E' dunque trascorso un anno dacché il Polo deprivato dell'alleanza con la Lega pur risultata decisiva nel '94 fu sconfitto alle elezioni politiche anticipate. Naturalmente a sinistra non mancarono le manifestazioni di giubilo per la vittoria dell'Ulivo, in piazza si celebrò lo storico ingresso dei postcomunisti nel governo nazionale del Paese, ma l'entusiasmo non poteva coprire un dato di fatto numerico evidente: che era stato per l'appunto il Polo a perdere le elezioni, non l'Ulivo a vincerle. Ieri è stato "il Manifesto" a ripubblicare i dati inoppugnabili elaborati da Nino Magna, il defunto esperto elettorale del pds. Rivelano che Berlusconi e Fini, in vantaggio sull'Ulivo di circa 200 mila voti nel proporzionale, subirono un crollo di ben l milione e 400milavoti (3,5%) nel maggioritario. Come dire che, pur disponendo sulla carta della maggioranza dell'elettorato, in numerosi collegi non furono in grado di presentare candidature sufficientemente credibili. Un deficit di personale politico confermato dai 9

1 collegi conquistati dall'Ulivo nonostante il centrodestra vi prevalesse nel proporzionale. Ben si capisce dunque che gli uomini più accorti del pds zittissero subito, la sera del 21 aprile, quel Luigi Berlinguer che per televisione si era lasciato scappare: << Erano cinquant'anni che aspettavamo questo momento>>. Anzitutto perché stavolta il pds (e non il pci) vinceva sol perché alleato con almeno la metà degli avversari democristiani di mezzo secolo prima. In secondo luogo perchè il pds per vincere aveva dovuto prima sopportare una dieta ferrea: scendere di molto al di sotto di quel 34% cui Berlinguer aveva condotto il pci nel '75'76, suscitando allora sì gli entusiasmi e le speranze del popolo di sinistra; digerire il rospo rappresentato dal governo Dini, sottraendo così al Polo l'egemonia sul centro moderato; candidare a capo del governo un esponente direttamente collegato ai Popolari, cioè un erede della sinistra democristiana. In tale quadro è evidente che la vittoria del centrosinistra non potess

e essere altro che una vittoria tattica. Perché è vero quel che sottolineano sempre Prodi e Veltroni, cioè l'autenticità popolare delle radici cattocomuniste delI'Ulivo grazie alle quali quest'ultimo ha ottenuto nel maggioritario 600 mila voti in più della somma dei partiti che lo componevano. Ma ciò non di meno quelle culture tendenti al reciproco incontro, restano pur sempre minoritarie nell'Italia di fine Anni Novanta. Complimenti dunque alla sapienza tattica degli artefici di questa operazione basata sul patto di desistenza con Rifondazione comunista, da D'Alema a Prodi e Veltroni fino a Dini. Complimenti, ma purché sia chiaro che in definitiva il governo dell'Ulivo si è configurato già in partenza come un governo minoritario, al quale neanche la provvisoria cooptazione di Antonio Di Pietro poteva regalare una maggioranza di centrosinistra inesistente nel Paese. Ciò significa forse che si trattasse di un governo abusivo, antidemocratico? Naturalmente no, il mondo e pieno di governi legittimi benché mino

ritari. In particolare si conoscono esiti diversissimi tra loro di governi minoritari di sinistra o centrosinistra. Per fortuna siamo lontani, ad esempio, dall'accesa reazione di destra (appoggiata dagli Usa) con cui fu rovesciato in Cile il governo di Allende. Ma siamo anche molto lontani possiamo dirlo, un anno dopo dall'energico esercizio della leadership con cui Mitterrand in Francia non solo impose la sua rotta di governo, ma realizzò la marginalizzazione di un alleato ingombrante come i comunisti di Marchais. In definitiva un premier minoritario può se ne ha l'intenzione e la capacita precorrere i tempi imponendo il suo stile e le sue linee di riforma. Ovvero può galleggiare tra i flutti contando sull'assenza di alternative immediate al proprio sistema di alleanze. Dire che Prodi si e limitato a galleggiare sarebbe forse ingeneroso, vista la reiterata dichiarazione compromettente con cui ha subordinato la sua permanenza a Palazzo Chigi all'ingresso italiano nella moneta unica europea. Ma di certo è pa

rso comportarsi più da matematico che da politico nel dare per scontata la propria inamovibilità attuale dal medesimo Palazzo Chigi. Perché è vero perfino l'incredibile zig zag della crisi albanese l'ha dimostrato oggi nessuno può veramente estromettere dal governo il leader de]l'Ulivo, benché in molti perfino tra i suoi stessi alleati usino prenderne le distanze. Ma pur ammettendo che sull'asse di equilibrio della politica italiana Prodi resti indispensabile magari ancora per più tempo di quanto non si immagini, e lecito chiedersi quale segno lascerà la sua leadership, oltre il tradizionale galleggiamento tipico di tanti governi della Prima Repubblica? La risposta a questa domanda, in verità, l'avremo prestissimo. Diciamo a partire da lunedì 12 maggio quando, venuto meno anche l'alibi delle elezioni amministrative di Milano e Torino, il governo dell'Ulivo ha promesso di scoprire le carte riguardo alla riforma dello Stato sociale senza più trincerarsi dietro a pur pregevoli documenti di commissioni di espe

rti. Questa e davvero l'ultima deroga che l'opinione pubblica può verosimilmente concedere al governo dell'Ulivo dopo un tragitto del quale si potranno ricordare tre manovre finanziarie ma ancora nessuna riforma strutturale divenuta operante. Che altro dovremmo ricordare di quest'anno, a parte i lodevoli benché confusi sforzi finalizzati al rispetto di un deficit non superiore al 3% del Pil? Forse la riforma Bassanini del pubblico impiego non ancora entrata in vigore? Forse la riforma della scuola di Berlinguer, lungi dall'essere approvata? Forse la nuova Irep voluta da Visco, tuttora avvolta in una nebbia minacciosa? O il decreto Treu per l'occupazione, snaturato al Senato? Finirà che di questi dodici mesi oltre all'eurotassa ricorderemo solo il biglietto pomeridiano del cinema a 7 mila lire voluto da Veltroni, ottima cosa ma un po' pochino. Consideriamo dunque che il vero anniversario dell'Ulivo debba celebrarsi tra quaranta giorni, in corrispondenza cioè del giuramento del governo Prodi. Se per quella dat

a sarà davvero aperta la trattativa per la riforma dello Stato sociale, allora si potrà cominciare a dire che l'Ulivo si cimenta con una ragione fondativa della sua esistenza. Il governo minoritario esibirebbe cosi quel colpo di reni che invano finora abbiamo atteso.

 
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