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Segreteria Rinascimento - 23 aprile 1997
Da "L'Opinione" del 23 aprile 1997 - pag. 3

LIBERALI DA CONSERVATORI A RIVOLUZIONARI

Mutano gli orizzonti. Ed è arrivato il momento di rivedere alcune certezze del passato. Il partito? : "E' morto e sepolto".

Di Michele Fierotti

Essere liberali oggi. E' ancor più difficile di ieri. Lo sarà ancora di più nel prossimo futuro, perché essere liberali significa dover tracciare un disegno rivoluzionario della società. Soprattutto in Italia. Per lungo tempo ci siamo omologati nella quieta ed estatica contemplazione, propria dei conservatori, di alcune certezze, l'ordine, la democrazia, lo Stato come punti di riferimento e salvaguardia di conquiste liberali e libertà individuali. Non ci siamo resi conto che, nel grande mutamento culturale e socioeconomico in corso, dominato dall'informatica, dalla telematica, dall'automazione, dalla genetica, dalla bioetica. dalle conquiste spaziali, dalla ricerca di nuovi orizzonti energetici, tutte le certezze vengono scalfite e scricchiolano mentre si combinano nuove situazioni futuribili di vastissima portata appena immaginabili e non sempre prevedibili. Sono in atto profondi cambiamenti nei processi economici, finanziari e sociali; nuovi meccanismi di formazione del reddito e delle professionalità evol

uzioni profonde nei settori chiave culturali, intellettuali e conoscitivi; mutamenti nel concetto di classe, della funzione dello Stato, della sovranità, dei partiti, della formazione del consenso. Si aprono pertanto per i liberali nuovi orizzonti che non possono trovare alcun limite nel relativismo scettico delle semplificazioni facili ed appaganti buone per tutte le stagioni. Infatti la società moderna diventa sempre più complessa e non si può ricorrere alla semplificazione, male antico oltre tutto delle tirannidi per rimuovere le complessità delle problematiche emergenti. Noi liberali, per esempio, abbiamo avuto il torto, velato dal nobile principio del "senso dello Stato", di subire il fascino statalista di un sistema che pone al suo centro lo Stato che fatalmente, per forti spinte integraliste, da Stato laico e liberale si andava trasformando in Stato etico, blindato e chiuso, posto a supremo regolatore di tutto, con regole minuziose e paletti vessatori che frenano le iniziative economiche e si fanno ga

ranti nello stesso tempo delle coscienze e della morale individuali. Si rendeva e si rende ancor più necessaria invece una profonda riflessione su quel che incombe nella realtà contemporanea sottoposta a processi di radicale trasformazione sempre più avanzati sotto la spinta della globalizzazione rispetto ai quali lo Stato pachiderma si trova in ritardo e in difficoltà. Ma ora non si può non prendere atto, per tentare di correre ai ripari, della caduta di certezze, ammortizzatori, garanzie privilegi corporativi. aspettative sociali ed individuali che erano il risultato della contemperazione possibile attorno alla quale ruotavano e si comminavano le aspirazioni del liberalismo e le rivendicazioni del socialismo che hanno dato vita al nostro sistema politico irresponsabilmente troppo sbilanciato verso lo statalismo. I1 nostro sistema politico e statuale è stato un inno alla semplificazione perché ha tentato di fornire a tutti risposte facili e semplici e alcune certezze appaganti per cloroformizzare i conflitt

i. Ora dinanzi alla complessità delle nuove emergenze cadono le illusioni e ci troviamo drammaticamente esposti a rivedere concetti che sembravano solidamente recepiti da ciascuno di noi come Stato, giustizia, solidarietà, libertà, classi sociali, democrazia, formazione del consenso. Essere liberali oggi significa prendere coscienza di ciò e spogliarsi di tutte le aggettivazioni (democratico, sociale. solidale, nazionale) che hanno inquinato il percorso del liberalismo originariamente più libertario e poco propenso ad accettare la moderazione come virtù ed il principio democratico, sostanzialmente semplicistico, della mediazione per risolvere i problemi sotto l'usbergo consociativo e compromissorio. Il percorso da intraprendere per cambiare sistema è certamente difficile, sicuramente rivoluzionario, maledettamente affascinante ed irto di pericoli. I1 primo pericolo è quello di non essere capiti perché è più semplice omologarsi al quieto andazzo delle cose anziché puntare alto per prevedere, prevenire e premu

nirsi. Smantellare il sistema statuale, ormai totalmente inadeguato e in ritardo rispetto ai mutamenti che incombono e che dall'esterno piombano su di noi, costretti a subirli, può essere considerata una bestemmia. Eppure nulla può questo Stato dinanzi alle vicende finanziarie internazionali che influenzano la vita di ciascuno, alle contrattazioni mercantili mondiali che pesano sulle nostre aziende e sul mondo produttivo, agricolo e industriale, ai modelli culturali, ai cambiamenti di gusti e costumi che si formano altrove. Anzi con le sue regole è un impedimento, un ostacolo, un macigno che intralcia il cammino, un freno alle iniziative private ed individuali che potrebbero essere, senza vincoli inutili, più mattiniere nel confronto col mercato globale o comunque tanto dinamiche da cogliere al volo le opportunità che si presentano. Altra mitica costruzione liberale che scricchiola ma occorre riportare alle sue origini di presidio di libertà è quella della divisione dei poteri che si è trasformata in separat

ezza tra poteri, senza alcuna armonizzazione tra essi per scongiurare distorsioni e prevaricazioni a danno delle libertà, non esercizio di un potere, sia pure nei limiti della legge, ma semplicemente applicazione della legge. E' un campo nel quale i liberali devono incidere per garantire il cittadino e i diritti di cittadinanza anche smantellando antiche e consolidate convinzioni. Essere liberali oggi è pertanto scomodo. Ed è per questo che il liberale trova difficoltà ad inserirsi nel processo politico in corso teoricamente più congeniale alla sua cultura svincolata dalla camicia di Nesso della appartenenza e dalle costruzioni massificanti della nostra società, ancora permeata da socialismo reale ed incapace di scrollarsi di dosso certi pregiudizi. La caduta dei partiti, costruiti sul modello leninista fatto proprio anche dai liberali italiani a partire da Malagodi, non è stata colta come una opportunità dai liberali, ancora oggi in disputa tra loro per la costruzione di una casa comune. Anziché rivisitare

il concetto crociano del prepartito essi si attardano a ricercare una loro collocazione perdendo di vista quello che è il loro ruolo nella realtà del momento e cioè una presenza costante per dare un'anima liberale alla rivoluzione in corso. E l'anima liberale nella realtà che ci circonda non può che essere rivoluzionaria. Se di collocazione dovesse essere necessario discettare non potrebbero esserci dubbi sulla scelta perché non c'è posto tra i conservatori comunisti o postcomunisti e loro satelliti e surrogati socialdemocratici e cattocomunisti. Ma non è questo il punto. Quel che occorre è una grande capacità di investimento culturale, oltre gli schieramenti, che faccia sprigionare tutta la vitalità del liberalismo e consenta la formazione di una classe dirigente politica liberale affrancata da qualsiasi condizionamento e pronta a realizzare una "politica liberale". Non una casa comune, dunque, non un partito, ma un laboratorio politico e culturale che realizzi quel poco di buono che riuscivano a compiere i

partiti con la selezione al meglio del personale politico. Perché la politica non può essere surrogata da altro. Perché liberalismo è pratica politica. Non è sufficiente, tra l'altro arroccarsi sul tecnicismo e sull'efficientismo o anche sul liberismo, che è un concetto economico, per praticare una politica liberale o gestire una rivoluzione liberale. E' proprio per questo che si rende necessaria una incisiva presenza liberale oggi in Italia per dare all'ansia e alla speranza di cambiamento più volte espresse dagli elettori italiani, dal referendum dell'aprile 1993 alle elezioni del marzo 1994, contenuti chiaramente liberali ed alternativi al conservatorismo statalista della sinistra italiana. Dire e volere meno Stato con la riserva mentale di togliere qualcosa allo Stato nazionale per delegare tutto ad una struttura sovranazionale non è la soluzione dei problemi in senso liberale. Va fatta una profonda riflessione sulle autonomie locali e sulla autonomia individuale e posto l'accento sul concetto di partec

ipazione responsabile. Dire che si è garantisti non è più sufficiente perché affacciano nuove libertà e nuovi strumenti che palesemente o in modo occulto minacciano le libertà individuali e sarà quindi necessario discutere sulle "regole" della convivenza che siano poche e mirate a scongiurare nuove forme autoritarie. E potremmo continuare, perché tutto può essere messo in discussione, dallo Stato al concetto di democrazia, dalla formazione del consenso al concetto di giustizia. Ecco perché essere liberali oggi è più scomodo che mai. Dobbiamo avere il coraggio di una revisione critica di nostre consolidate convinzioni perché emerga il liberalismo delle opportunità che ingloba il concetto eiunaudiano dell'uguaglianza nei punti di partenza ma va oltre, oltre lo stesso solidarismo sociale e cattolico, e da al liberalismo la forza penetrativa tra la gente, sconosciuta in passato. Un liberalismo che deve liberare la sua anima rivoluzionaria per sconfiggere le tentazioni dorotee ed italiane di omologazione e restau

razione, in un sistema nel quale c'è poco da conservare o ripristinare e moltissimo da cambiare.

 
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