I REFERENDUM SONO INTOCCABILI?
Le reazioni alla tesi che troppi quesiti non giovano alla democrazia
Di Lucio Villari
Emma Bonino e Gianfranco Pasquino hanno dissentito (Pasquino addirittura "radicalmente") dal mio articolo sul "popolo sovrano" apparso su l'Unità del 15 aprile, nel quale si accennava non alla eliminazione ma al valore e ai limiti che, in un sistema democratico che voglia rimanere tale, devono essere dati all'istituto del referendum.
Emma Bonino ha nella sua storia personale e politica l'esperienza positiva delle prime battaglie referendarie radicali, ma nel suo intervento si è richiamata alla preocuppazione per lo strapotere dei partiti che, comunque, solo i referendum sono, a suo parere, in grado di arginare e controllare. Non so se la cura sia veramente adeguata alla malattia, ma comprendo il rifiuto di Emma Bonino di ogni critica della ragion pratica dei referendum. D'altro canto sono previsti nell'articolo 75 della nostra costituzione. Mi sorprende però che Bonino definisca la discussione sulla "opportunità" democratica dei referendum così come sono (cioè, numerosi e continui) "apparentemente di filosofia del diritto", ma nella sostanza come "una operazione di politica spicciola".
Così scrivendo Bonino rinunzia al gusto della riflessione culturale sul futuro della nostra democrazia e si costringe a pensare che chi si occupa di questioni del genere obbedisca a fini di basso profilo.
Ora, non essendo io impegnato nella vita politica e non avendo alcun rapporto con partiti e movimenti politici, sono forse nelle condizioni migliori per seguire un profilo diverso di meditazione sulla realtà e l'incidenza politica e culturale dei referendum. Al contrario di quanto pensa Bonino temo infatti che l'esagerata pratica dei referendum esponga la democrazia italiana e la sua "cultura politica" alò rischio del congelamento e del rimpicciolimento. Emma Bonino, meglio di altri, dovrebbe sapere che la quasi totalità dei paesi europei sono da tempo convinti di pericoli del genere. Per le ragioni che cercherò di dire replicando al dissenso di Pasquino.
Rispondo a Pasquino commentando semplicemente, anzitutto, il suo linguaggio, le cifre e i dati che egli porta in difesa dei referendum. Quanti e quali siano. Dunque, il suo articolo comincia così: "Il referendum è uno strumento legittimo del repertorio democratico". Sono d'accordo sulla legittimità, ma il termine "repertorio" avrà fatto certamente sobbalzare più di un lettore. Repertorio significa programma teatrale, oppure elenco, catalogo bibliografico e archivistico. La democrazia non ha repertori; ha istituti, forme, metodi, strumenti amministrativi, giuridici, sociali, eccetera. Collochiamo meglio, dunque, l'istituto del referendum all'interno di queste definizioni e vedrà, Pasquino, che il discorso sarà più chiaro.
Scrive Pasquino che i referendum "esistono praticamente in tutte le democrazie contemporanee" e non sono affatto, come io avevo detto, "molto rari e inesistenti". Ebbene, insisto: i referendum sono molto rari o inesistenti. Anzi, in due paesi europei sono stati addirittura cancellati dalla Costituzione. La Germania lo ha fatto fin dal 1949, la Spagna nel 1978. Negli Stati Uniti, altro paese democratico, i referendum nazionali non sono mai esistiti e non esistono. Ma restiamo in Europa. Pasquino dice che dal 1970 al 1995 vi sono stati in Europa 75 referendum. Vero: ma facciamo il conto di quanti sono i paesi democratici (e, in quegli anni, restituiti alla democrazia) e scopriamo che il 50% dei 75 referendum sono stati tenuti in Italia. E risparmiamo al lettore l'elenco dei referendum, proposti e accettati per il 1996, che gli italiani voteranno nel mese di giugno. Insomma, in venticinque anni, in tutti i paesi democratici europei (esclusa la Svizzera) vi sono stati 37 referendum; in Italia ve ne sono stati 38
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E' un argomento questo, sul quale discutere, oppure è meglio dissentire radicalmente da chi invita a discuterlo? Ma vorrei commentare le parole che chiudono l'intervento di Pasquino: "L'eventuale eccesso di referendum non è la causa del cattivo funzionamento della democrazia e delle sue istituzioni. Al contrario, ne è l'effetto che non elimina una realtà". In altre parole il referendum sarebbe "utile, forse essenziale, completamento della democrazia rappresentativa". Ebbene, l'Europa democratica teme proprio quello che piace a Pasquino: cioè che la democrazia rappresentativa abbia bisogno di "completamenti essenziali" che, in linea di principio e di fatto contraddicono il valore storico e politico della rappresentatività. Infatti, è di questi giorni la notizia che sta per iniziare in Italia la campagna 1997 per il lancio di quarantatrè referendum. Saranno certamente utili, essenziali. Intanto l'Europa ci osserva, stupita.