PAOLO MIELI, UN DIRETTORE CHE VARCA LA LINEA D'OMBRAMilano. Paolo Mieli lascia la direzione del Corriere della Sera dopo cinque anni. Vent'anni fa, nel '77, Piero Ottone cedeva il campo a Franco Di Bella dopo un analogo periodo di cinque anni esatti a via Solferino. Ottone lasciò ai successori (Di Bella, poi Alberto Cavallari, Piero Ostellino e Ugo Stille) un giornale vitale, controverso, per certi aspetti leggendario (gli scritti corsari di Pier Paolo Pasolini fecero epoca), ma ferito dalla scissione di Indro Montanelli e già sprofondato in una crisi di identità che esploderà di li a poco, con le drammatiche vicissitudini editorialgiudiziarie della P2. Quello della fine degli anni Settanta era un Corriere già potenzialmente in declino, un pastiche liberalprogressista un po' frivolo e un po' tragico destinato a essere sballottato per almeno un decennio nell'eterna crisi italiana, senza ancoraggi sicuri ed esposto alla corrosione del Giornale montanelliano come alla spietata concorrenza di Repubblica, che presto si mise in posizione di agguato per quel sorpass
o infine realizzato nel 1986. Il nuovo direttore Ferruccio De Bortoli,
un quarantenne di lunga e buona esperienza professionale, soprattutto nel settore delicatissimo del giornalismo economico, riceve da Mieli un Corriere della Sera formidabile, primo quotidiano nazionale, senza rivali, per peso politico e autorevolezza culturale, una corazzata che fa centoventi miliardi di utili, che ha distanziato il diretto concorrente di una misura superiore alle centomila copie e ha portato il fatturato pubblicitario, con l'ultima escogitazione del magazine femminile, a vette mai raggiunte e mai anche solo immaginate. Il Corriere di Mieli ha oggi quel che ogni editore sogna e che i lettori apprezzano in un grande quotidiano d'informazione: una linea di intervento civile visibile, imperniata sulla battaglia per le riforme costituzionali e su una autorevolezza istituzionale che ostenta però indipendenza rigorosa dal potere politico (il Corriere, che parla con tutti, compresi coloro cui fa pervenire avvisi di garanzia a mezzo stampa, fu strumento decisivo nella corrosione del primo esperiment
o di governo di centrodestra, dopo il 27 marzo del '94, ed è considerato dall'Economist il più intelligente e fantasioso centro propulsore dell'opposizione al governo dell'Ulivo); al tempo stesso, il quotidiano e la tribuna che esprime al meglio i periclitanti valori liberali della borghesia industriale, finanziaria e professionale che e sopravvissuta, sotto l'occhio discreto ma vivo del vecchio di Mediobanca e la vigilanza della Fiat di Gianni Agnelli e di Cesare Romiti, alla burrasca delle inchieste sulla corruzione e ai rivolgimenti della transizione incerta dell'Italia verso l'Europa monetaria unificata. Mieli con il suo Corriere ha superato miracolosamente indenne il crollo nel grottesco giudiziario di progetti strategici come Supergemina, la grande crisi debitoria della Rizzoli, l'ira antisistema di una piccola borghesia radicalizzata dalla Lega, dal fenomeno Berlusconi e dall'aggressiva rinascita feltriana del giornalismo d'opposizione; ha fronteggiato il declino dei poteri forti, costretti a firmare
appelli per farsi sentire in procura, e un referendum sindacale che bocciò un anno fa il suo "modello di giornale nonchè un caso di molestie erotiche lasciato scivolare con sapienza fuori dall'attualità e ridimensionato con humour nei limiti di un banale "marivaudage". Mieli se ne va ma non lascia. Agli amici comunica che, per evitare equivoci di stile, non intende più mettere piede in via Solferino nemmeno per isbaglio, ma è stato nominato direttore editoriale del gruppo Rizzoli, dal Corriere stesso ai periodi. Ha u progetto da editore: accerchiare Reppubblica con nuove iniziative editoriali, a partire da Napoli, e svellere il suo radicamento nazionale portando una concorrenza aggressiva nel campo dei suoi vecchi maestri, compagni e amici del gruppo Esplesso in cui si formò e lavorò per vent'anni. Questo direttore che ha diretto (quasi) tutto prima dei cinquant'anni, che ha talento di storico e una sottile vocazione politica, varca la linea d'ombra fissata da Joseph Conrad quale limite tra la giovinezza e
la maturità. Eugenio Scalfari, suo alter ego, gli farà gli auguri e si domanderà quali saranno le conceguenze.