CONSULTA, LE PROPOSTE DI RIFORMA RIDUCONO IL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITA
I timori di Ferri e Spagnoli
Il cammino della Bicamerale
Di Donatella Stasio
ROMA Bisogna stare attenti a non ridurre il controllo di legalità costituzionale. E questo rischio c'è se la Bicamerale deciderà di tipizzare gli strumenti di intervento della Corte costituzionale, costringendola a pronunciare soltanto sentenze di rigetto, di accoglimento o di inammisslbilità". Ugo Spagnoli, ex vicepresidente della Corte costituzionale e prima ancora avvocato nonchè deputato comunista, non vuole essere "sospettoso" a tutti i costi, ma guarda con preoccupazione ad alcune delle numerose proposte di riforma della Consulta allo studio del Comitato garanzie della Bicamerale, tra cui quella di tipizzare le sentenze della Corte per impedirle di svolgere un improprio ruolo di supplenza del legislatore. Nel mirino ci sono soprattutto le cosiddette sentenze "additive" che, di fatto, introducono nuove disposizioni di legge (perchè dichiarano incostituzionale una norma "nella parte in cui non prevede che...") e che spesso hanno prodotto effetti dirompenti per le casse dello Stato. "Le "additive" sono n
ate perchè il rapporto tra Corte e Parlamento non ha funzionato" spiega Spagnoli, ricordando che spessissimo queste pronunce (soprattutto in materia previdenziale) sono state precedute da moniti o inviti al legislatore ad intervenire, rimasti, purtroppo, tutti inascoltati. Vietarle, dunque. avrebbe un "significato punitivo" e di fatto "taglierebbe le mani alla Corte". Timori condivisi da un altro ex, Mauro Ferri, presidente della Consulta fino allo scorso autunno, convinto che "la collaborazione del Parlamento sia fondamentale". E che hanno trovato voce anche nel Comitato garanzie, dove mercoledì scorso Leopoldo Elia (Ppi), anch'egli ex presidente della Consulta, ha messo in guardia i suoi colleghi dal rischio di "un eccessivo irrigidimento degli strumenti di intervento della Corte, che invece dovrebbero mantenere un sufficiente margine di flessibilità in relazione alla complessa attività di ponderazione tra valori costituzionali, spesso espressa nelle sue pronunce". La Corte costituzionale nacque nel '56, c
on otto anni di ritardo dal suo concepimento perchè tutti i partiti, racconta Piero Calamandrei diffidavano di questo nuovo organismo che avrebbe dovuto controllare il loro operato. Una diffidenza che è rimasta negli anni, insieme a una cena indifferenza per le pronunce della Corte, rimaste molto spesso lettera morta o eseguite solo a distanza di tanto tempo (in materia previdenziale e radiotelevisiva, ad esempio). Per non parlare del cronico ritardo con cui, oramai, le Camere provvedono alla sostituzione dei giudici laici di nomina parlamentare (da un anno e mezzo un record assoluto è scoperto il posto di Vincenzo Caianiello). Alla Corte si rimprovera di aver accentuato sempre più il suo ruolo politico (rispetto a quello giurisdizionale); eppure, in passato, più volte le è stato chiesto di farsi carico delle "compatibilità economiche" delle sue pronunce o di tener conto della situazione politica del momento. In questo contesto nasce il timore che alcune proposte di riforma possano diventare l'occasione "
per imbrigliare la Corte" (Ferri) o per far "arretrare il controllo di costituzionalità" (Spagnoli). Piuttosto che limitare i poteri della Consulta, sia Ferri che Spagnoli propongono di aumentarli. Ben venga, dunque, la proposta di consentire alla Corte, sul modello tedesco, di dichiarare incostituzionale una legge ma di rinviarne l'annullamento a un momento successivo, in modo da lasciare al legislatore il tempo per intervenire. Si tratta, in sostanza, di sospendere gli effetti di sentenze che, se avessero efficacia dal giorno successivo alla loro pubblicazione, produrrebbero conseguenze dirompenti (soprattutto sul bilancio statale). Secondo un altro ex giudice costituzionale, Enzo Cheli, dare alla Corte il potere di "dosare" gli effetti delle sue sentenze e, al tempo stesso, introdurre la cosiddetta dissenting opinion (anch'essa allo studio dei neocostituenti), avrebbe un duplice vantaggio. "Potrebbe ridurre i rischi di una parziale deresponsabilizzazione degli organi politici si legge in suo recente scri
tto sulla Consulta , evidenziandone, al contrario, la responsabilità soprattutto nei casi di "inadempimento" conseguente a decisioni di annullamento della legge". Inoltre, ci sarebbe "una maggiore riconoscibilità (e quindi controllabilità)" dei comportamenti della Corte nell'ambito della dialettica con gli altri poteri dello Stato, e dunque "una sorta di responsabilità politica "diffusa"".