Lettera 'MondOperaio' di Angiolo Bandinelli
(maggio 1997)
Caro direttore,
con gli amici Giovanni Negri e Gianfranco Spadaccia ho chiacchierato un po' della nuova serie di "Mondoperaio", di cui ho acquistato naturalmente i primi due numeri, con l'interesse che si deve per un serio progetto di impegno politico democratico.
Dunque, torna in edicola "Mondoperaio". Con il gioco della scomposizione/ricomposizione della gloriosa testata (ne conservo ancora esemplari tipograficamente bellissimi, degli anni '50) avete tentato di rinnovarla, di attualizzarla, come si dice; guardando però sempre (diciamolo francamente) prima che al mutamento, alla ricostruzione, al riaccozzamento di qualcosa che c'era e che eventi drammatici avevano frammentato e disperso: quel corpo socialista che in varie denominazioni è stato per lungo tempo elemento decisivo della vita politica italiana.
Tutto, nei due numeri, richiama a tale ambizione: temi, titoli, linguaggio, collaboratori. Persino l'innesto di alcune firme mi ricorda una stagione passata, quando, a cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, il filone socialista e il radicale sembrarono realizzare una inedita solidarietà riformatrice, non solo nella campagna ma anche nell'organizzazione (ricordi la "doppia tessera"?). Quel disegno, allora, fu anticipatore: purtroppo è fallito, e mi lascia ora perplesso vederlo riproposto pari pari, principale, se non unica innovazione rispetto al tronco primigenio (non sono in grado di valutare la portata di un apporto di tipo liberale, se c'è; ma non mi pare che, se c'è, abbia moltissimo peso). In piemontese, questo si chiamerebbe un "revenant", un fantasma.
Mi sbaglio, nell'analisi, nel giudizio? Se sì, butta via questa lettera, non tenerne conto. Se invece analisi e giudizio colgono in qualche modo un aspetto del vostro progetto, allora avanti: forse queste righe saranno utili anche a te, a voi. Io mi sforzo che lo siano per me. Io provengo dalla matrice radicale appena evocata. Provengo, nel senso che vi sono sempre invischiato anche se in forme defilate. Ed è da questo specifico, condizionato e condizionante punto di vista che mi domando quanto potrà servire, alla battaglia che nei suoi tratti essenziali ci è sempre comune, il nuovo "Mondoperaio": un progetto pubblicistico, giornalistico, nutrito di analisi, di giudizi, di commenti, di ricostruzioni, di interventi culturali provenienti da un'unica, ben percepibile, matrice. Può questo tentativo; oggettivamente ambire a restituire valenza e potenza politica - in misura adeguata alle terribilità del momento che attraversiamo - alle speranze, energie, risorse che vuole invocare e convocare? O non sarebbe più d
esiderabile, necessario, urgente, un modello più sciolto dal passato, più aperto ai rischi del presente, più proiettato al fondo delle società, più aggressivo e dirompente?
E' sufficiente rivolgersi a uno zoccolo di lettori staticamente considerato, tenuto compatto fino al possibile e evitando distorsioni e emorragie, per questo rinunciando a nuove acquisizioni in territori lontani, o comunque diversi? E' importante - diciamolo che i socialisti dialoghino con i socialisti e liberali con liberali, esattamente come D'Alema quando esige che i (post)comunisti scambino il segno di riconoscimento convenuto solo con i loro, rifiutando di confondersi con i volgari ulivisti? Non c'è qui il rischio - o il desiderio, diciamo anche questo - di ripristinare una stagione proporzionalista fatta di identità chiuse a claustrofobiche, di gelosie di appartenenza assolutamente inservibili in un mondo in cui, sempre più, le identità sono nello scambio, l'imprevisto, la mescolanza, il rinnovamento e l'invenzione: di tutto e di tutti?
Una classe, un gruppo dirigente (e, nel momento in cui avete posto mano al giornale, questo intendete essere) queste domande deve avanzarsele: se non altro, in termini costi/ricavi. Il vostro sforzo non può ignorare certi conti, per non rischiare un rapido quanto inevitabile collasso. Sento da tempo franare intorno a me (a noi), analoghi tentativi nei quali si sono prodigati persino alcuni dei vostri attuali collaboratori. Periodici più o meno liberal, liberaldemocratici, democratici, riformatori, progressisti, ecc., hanno riempito in questi anni le nostre biblioteche (la mia, almeno) e svenato le nostre tasche (le mie, almeno). Risultati? Zero via zero, ammetterai.
Nei primi due numeri di "Mondoperaio" vedo aprirsi una polemica - diciamo un dibattito - tra due espertissimi studiosi, su come "riformare la politica". Confesso non esserne entusiasmato. Qualche lustro di esperienza "sul campo" mi avvertono ineluttabilmente che, oggi, il livello reale dello scontro non è su temi, e soprattutto sul metodo dei dibattiti come questi. E' altrove: sul campo, appunto, lì dove occorre porsi ormai, se si vuol davvero essere utili e creativi. Lì occorre verificare le indicazioni e le scelte, con gli strumenti propri e le responsabilità necessarie. Ogni altro livello, discussione, dibattito, confronto, ecc., può finire col portare a un nobilissimo ma sterile deragliamento. E i tempi sono stretti, chiedono di scegliere subito se chiudersi in retroguardia o avanzare sulla linea di fronte, affrontando difficili solitudini e qualche battaglia perduta.
Allora se il livello della politica è questo, come attrezzare un giornale, la dimensione pubblicistica, per confrontarsi davvero? Bastano le caute mediazioni, le sottili rievocazioni, i passi accorti e prudenti, quelli propri all'amministrazione dei beni ereditari? Il rischio per quanto vi sforziate, vi insidia
Una risorsa (anche di energie, oltreché finanziaria) come quella che avete attivato va sfruttata fino in fondo, affidando alla generosità intellettuale degli interlocutori, dei lettori, la scommessa della sfida. La maggior parte di costoro ha sicuramente l'orgoglio di sentirsi appartenente ancora a quella forza politica, che alla metà degli anni '70 ebbe il coraggio di avviare una revisione profonda del patrimonio ideale, culturale e politico della sinistra. Occorre persuaderli, sollecitarli a portare oltre la revisione che la politica politicante non consentì di determinare e anzi bloccò rovinosamente. Non c'è altro da salvare, del patrimonio ereditato, se non il collante della fiducia nel metodo riformatore, attorno al quale attrarre energie e forze oggi disperse e smarrite (nell'uno e nell'altro dei due poli che inadeguatamente si fronteggiano).
Proseguire e sviluppare la revisione: ma come? Le strade si avviluppano, occorrerà scegliere qualche filone. E allora, per portare solo un esempio (ma macroscopico), come ignorare che lì, sul campo, comincia a delinearsi come incombente, forse per la prima volta nella nostra storia recente del paese, lo scontro sociale, nel sociale? Sì nel sociale, dove è necessario (se già non avviene) che si aprano fratture e lacerazioni, conflitti e dunque politica, nel senso pieno e ricco del termine. Il tempo è maturo, e le urgenze sono drammatiche: occorre che si realizzi, non solo sul piano economico ma anche politico-istituzionale, il blocco (brutto termine, ma tant'è) dei "soggetti" economici concorrenziali (concorrenziali sul metro dei processi reali in atto, non a Roma o a Milano ma in mezzo mondo). C'è il rischio che questo blocco di "soggetti" (e il vero problema è come realizzarlo, non sociologicamente ma politicamente) venga impedito, frantumato dalle forze conservatrici, con l'immenso rischio di separare defi
nitivamente il paese dall'Europa e dal mercato, dal resto del mondo.
A questo punto una forza di rinnovamento dovrà, sganciandosi dai suoi stessi riflessi, avviare senza indugi un "agonizing reappraisal", una "revisione lacerante" sui problemi relativi alla cultura del mercato, quel mercato cui la sinistra storica pervicacemente nega legittimità e valore precludendogli autonomia e soggettività, costringendolo nel reticolo delle mediazioni parassitarie, in una continuità che affonda le sue radici nel fascismo (il vero fascismo, non la caricatura creata da uno sciagurato antifascismo e da un flebile revisionismo).
In termini pubblicistici (visto che voi operate su tale terreno), questo richiede il coraggio di affrontare analisi spietate di concetti che appaiono invece scontati. Cosa è il mercato? Può essere, nel mondo attuale, il lavoro una variabile indipendente, "valore" che in quanto tale (come pretende Amato) si contrappone al mercato che è nonvalore? Il conflitto sociale deve essere necessariamente evitato o è anch'esso elemento utile allo sviluppo democratico di una società? La logica nazionale è adeguata a concepire il concetto di libertà per l'uomo del duemila? Quale è la dimensione della politica da sviluppare per dare seguito al progetto rivoluzionario dell'internazionalismo di classe? Questi sono alcuni corollari della domanda prioritaria che bisogna porsi ed esplorare, con strumenti di analisi concettualmente liberi, capaci di revisioni anche drastiche.
E, uscendo dal piano meramente pubblicistico e giornalistico, perché non tentare di fare di "Mondoperaio" il punto di congiunzione, il baricentro di informazione e di coabitazione di quel tanto che c'è di associazionismo, di club, di centri di iniziativa, promuovendo magari "convenzioni" cui affidare la promozione di quell'uno o due progetti che si ritengono validi a far crescere le forze riformatrici? Perché non dare adesione ad una parte dei referendum che i pannelliani si apprestano a definire e a lanciare, dando fiducia al loro metodo, quando non se ne accetti del tutto i contenuti? Perché non farsi carico di una ipotesi di (con)federazione per l'alternativa, di cui le vicende politiche a livello istituzionale mostrano la necessità e l'urgenza ogni giorno più drammatica?
Per queste vie, penso, voi farete innanzitutto onore alle vostre matrici, alla vostra storia, facendola crescere nell'oggi e per il domani.
Cordialmente, e con molti sinceri auguri di lunga vita.
Angiolo Bandinelli