Di Benedetto Della VedovaREFERENDUM: LETTERA APERTA ALLA CONFINDUSTRIA
I limiti fino ad oggi posti da Confindustria al proprio appoggio all'iniziativa referendaria predisposta dal Movimento dei Club Pannella Riformatori, rischiano di determinare, rebus sic stantibus, la rinunzia da parte nostra all'avvio della campagna di raccolta firme. La lettera inviataci dal Vicepresidente Guidalberto Guidi, i cui contenuti sono stati confermati nell'incontro avuto con una delegazione di Confindustria guidata dal Direttore generale Innocenzo Cipolletta, infatti, delimitano entro un ambito ancora troppo angusto l'apporto che la Confederazione prevede di assicurare all'iniziativa referendaria.
Abbiamo ripetutamente e con puntualità informato Confindustria, a tutti i livelli, del carattere di straordinarietà di questa eventuale iniziativa referendaria, non solo per i temi oggetto dei quesiti su cui verremo ma innanzitutto per i tempi ridotti: al massimo due mesi utili di raccolta firme (giugno e luglio) per avere i referendum nella primavera '98. In queste condizioni, due soli mesi e per di più semiestivi, la mobilitazione necessaria a consentire un successo anziché un fallimento non può che essere straordinaria, per tutti. Da parte nostra vi è la piena disponibilità, lo abbiamo ripetuto; da parte di Confindustria una "condivisione generale degli obiettivi", un "auspicio che tali obiettivi vengano raccolti dal parlamento", il "sostegno ad alcuni referendum come strumento di pressione ed ultima ratio", l'"impegno a far conoscere al sistema associativo" le finalità del progetto. Un passo assolutamente inconsueto, già di per sé straordinario per Confindustria, che mai aveva preventivamente ed espli
citamente espresso il proprio "favore" nei confronti di una iniziativa referendaria. Ma ancora inequivocabilmente poco rispetto a ciò che sarebbe necessario, qui ed ora, per assicurare il successo nella raccolta firme. In queste condizioni, quindi, la campagna referendaria non potrebbe essere responsabilmente avviata e non tanto il nostro Movimento, ma gli imprenditori, il Parlamento, il Governo, i disoccupati verrebbero privati di una spinta formidabile e probabilmente risolutiva per l'avvio di quelle riforme liberali dell'economia e del lavoro la cui mancanza sta condannando l'Italia ad un destino ogni giorno più lontano da quello dell'Europa.
Non si tratta, sia chiaro, di addossare arbitrariamente su altri che noi la responsabilità della decisione sull'avvio o no della campagna: si tratta di capire, semplicemente, se la principale organizzazione degli imprenditori italiani voglia fissare come obiettivo prioritario per il raggiungimento dei propri generali obiettivi di crescita della competitività delle aziende associate, l'incardinamento entro due mesi di un appuntamento referendario sulla liberalizzazione del mercato del lavoro e sulla riforma dello stato sociale, destinato ad essere dirompente positivamente dirompente per il solo fatto di essere credibilmente annunciato.
Insomma, di fronte alla più volte denunciata incapacità da parte di Parlamento e Governo a compiere quelle scelte riformatrici necessarie ad arrestare il declino della competitività delle proprie aziende e del sistema nel suo complesso , la massima espressione del mondo industriale, ha o no la volontà, il coraggio, l'intelligenza di affidare al secondo voto costituzionalmente garantito agli italiani la responsabilità storica di rompere il fronte conservatore delle oligarchie burocratiche partitiche e sindacali? Ritiene o no che, qui ed ora, questo pacchetto di referendum liberisti possano rappresentare la chiave di volta della liberalizzazione dell'economia italiana? Che possano costringere le forze politiche di maggioranza ed opposizione a rompere ogni indugio e ad affrontare con il necassario rigore e la necessaria durezza la riforma del mercato del lavoro e dello Stato sociale? In definitiva, Confindustra decide o no che la riuscita della campagna di raccolta firme diventi per dieci settimane la propria
priorità "politica"? Cosa è più saggio e prudente, per gli imprenditori italiani, attendere il miracolo parlamentare e governativo o puntare con fiducia su di un opinione pubblica molto più pronta dei propri rappresentati istituzionali ad intraprendere il cammino delle riforme?
La nostra richiesta è "eccessiva", "impropria", non pertiene al ruolo istituzionale di Confindustria? Legittimo, ovviamente, pensarlo, ma il giudizio definitivo potrà aversi solo a luglio quando, in assenza della bomba ad orologeria referendaria, si potrà valutare quali passi avanti avranno fatto le riforme invocate, quali aspettative saranno andate deluse, quali nuovi "tradimenti" dovranno essere denunciati.
Se i referendum liberisti che abbiamo depositato in Corte di Cassazione sono, come ci è stato detto, una delle mille vie che Confindustria intende esplorare (quella della lobby parlamentare, della concertazione sociale, del "ricatto" occupazionale, delle compensazioni assistenziali .), allora non sono "nessuna via". Se invece possono essere per un tempo preciso e limitato una delle vie principali magari la principale , di pressione prima di tutto e di intervento diretto solo in seconda istanza, allora questi referendum diventano immediatamente e senza equivoci la vostra priorità, prima che la nostra.
Non è il gioco del cerino, ma una valutazione rigorosa e responsabile delle condizioni storiche dell'Italia di oggi, della sua paralisi istituzionale, della esasperazione sociale e, soprattutto, della opportunità di "catapultare" le aspirazioni e le convinzioni di milioni di cittadini, direttamente sulla scena politica e "legislativa". E, in aggiunta, la convinzione suffragata da una decennale esperienza, che in queste condizioni le nostre sole energie non potrebbero assicurare il successo della raccolta firme.
A voi, quindi, alla capacità di creare con il vostro impegno e coinvolgimento un grande "fatto politico", una notizia che nessuno avrà la forza di occultare o minimizzare, un dibattito coinvolgente ed appassionante per tutti, favorevoli e contrari, la responsabilità di assicurare al paese l'appuntamento referendario o, in alternativa, la sua assenza e la routine che ben conosciamo.
Come? Se esistesse questa convinzione, se l'assunzione di responsabilità fosse piena e consapevole, le modalità e la tempificazione dell'impegno rappresenterebbero l'ultimo dei problemi. Così come il pur necessario apporto di risorse finanziarie.
Come ben sa chi guida un'azienda, la tempestività è fondamento di ogni decisione: la medesima scelta compiuta oggi o tra due anni è destinata a produrre effetti del tutto diversi, a volte opposti; i tempi tecnici per l'avvio della raccolta firme all'inizio di giugno impongono una decisione definitiva entro il 7 maggio. Noi siamo determinati a non fare questi referendum e ad accantonare quella che sarebbe con tutta probabilità l'ultima occasione referendaria per il paese: lo siamo per consapevolezza e responsabilità, non certo per capriccio. A voi la scelta di rianimare questa via, questa speranza per l'Italia, la sua politica, la sua società e la sua economia. Può darsi che non sia questa l'ultima speranza, ma forse sarebbe comunque prudente non lasciarla morire.
Con i migliori saluti
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