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Segreteria Rinascimento - 5 maggio 1997
Da "CORRIERE DELLA SERA" del 5 maggio 1997, pagg. 1 e 2

DESTRA E SINISTRA A LEZIONE DA BLAIR

Errori e debolezze dei Poli italiani

di Angelo Panebianco

Ciò che più colpisce di tanti commenti italiani ma non solo italian, anche francesi e tedeschi sulla vittoria di Tonv Blair è l'implicito tributo a Margaret Thatcher che essi contengono. A quella Lady di Ferro che ha potuto, pochi giorni prima del voto, con giusta ironia, trattare da "convertito" al proprio credo il laburista Blair. Questo tributo è tanto più notevole perchè non viene, per lo più, solo da destra, dai liberisti dichiarati, ma anche da sinistra e, comunque, da ambienti e persone culturalmente lontani dal liberismo thatcheriano. Che altro se non una rivalutazione del thatcherismo è quell'invito secondo me non realistico come dirò fra breve ai leader della sinistra europeocontinentale e in primo luogo italiana a diventare un po' Blair e un po' Thatcher che, ad esempio, Giuliano Amato in una intervista a questo giornale e Barbara Spinelli su La Stampa hanno ripetuto? In quell'invito sono contenute, implicitamente, due affermazioni. La prima è che la sinistra europeocontinentale non ha più in

quanto tale nè idee nè progetti credibili e praticabili da proporre alle rispettive società e può diventare credibile solo se, come Blair, ne prende definitivamente atto e fa proprie quasi tutte le idee della fino a ieri aborrita destra liberista. La seconda è che, con tutte le sue specificità, con tutto ciò che ne fa un irripetibile fenomeno britannico, il thatcherismo è stato il più ambizioso, i1 più importante e fino ad oggi di maggior successo tentativo di fronteggiare la decadenza europea, di cercare vie nuove per ridare un futuro e un destino a una Europa sfidata dalla globalizzazione dei mercati e ingessata dalla potenza delle sue interne coalizioni "ridistributive", quelle coalizioni di forze sociali che bloccano lo sviluppo, l'accrescimento della ricchezza, a favore della distribuzione delle risorse esistenti all`esercito di garantiti che esse rappresentano. E' giusto dire che Blair è un figlio spurio di Thatcher ma bisogna sapere in che senso lo è. Lo è nel senso che un Blair non sarebbe mai potu

to emergere se il thatcherismo non avesse prima drasticamente e scientemente ridimensionato il potere delle Trade Unions, dei sindacati britannici. Quando nel 1979 Margaret Thatcher diventa primo ministro, la Gran Bretagna è una società in decadenza che nessuna ricetta politica sembra in grado di scuotere e di salvare. I sindacati sono una potenza che nessun governo, laburista o conservatore, fino a quel momento, si è potuto permettere di sfidare. Disoccupazione, ristagno degli investimenti, rigidità del mercato del lavoro, spesa pubblica insostenibile caratterizzano una società britannica alla quale la forza, apparentemente invincibile, delle coalizioni ridistributive che fanno capo alle Unions sembra non lasciare scampo nè futuro. Il liberismo thatcheriano colpirà al cuore il potere sindacale (memorabile fu lo scontro con il fino ad allora potentissimo sindacato dei minatori) e il drastico ridimensionamento del sindacato la distruzione del suo potere di veto, al di là delle privatizzazioni e di tutte le al

tre ricette economicosociali della Thatcher, saranno la, sua vera carta vincente. Ridimensionata la forza delle coalizioni ridistributive. La Gran Bretagna, smentendo tutti i pronostici, riprenderà con energia, avendo liberato gli "animal spirits", la via dello sviluppo. Major, oculato continuatore della politica thatcheriana, ma senza le durezze della Thatcher lascia così oggi a Blair una Gran Brctagna risanata e in pieno sviluppo. E Blair stesso esiste solo perchè il thatcherismo, indebolendo il potere sindacale, ha determinato cambiamenti radicali anche in quel Labour Party che, nato all'inizio del secolo come "braccio politico" dei sindacati, solo grazie all'azione del thatcherismo ha potuto, almeno in parte, emanciparsi dalla loro soffocante tutela. Ai tempi delle Unions trionfanti uno che dicesse e proponesse le cose che ha detto e proposto Blair non sarebbe diventato, non dico leader del Labour, ma nemmeno rappresentante laburista locale in qualche sperduto villaggio. Sarebbe stato trattato dai laburi

sti come un venduto all'opposizione, come una quinta colonna della destra conservatrice. Questa storia, qui sommariamente rievocata, ci dice diverse cose, quasi tutte sgradevoli per buona parte di coloro che in Europa continentale, hanno come proprio punto di riferimento le formazioni politiche di sinistra. Ci dice, soprattutto, e prima di tutto, che se la salvezza ci sarà per l'Europa essa verrà da destra e non da sinistra, che sono le idee e i progetti della destra (quella liberista, beninteso, non quella detta "sociale" che non fa altro che declinare a destra le stesse idee macinate dalla vecchia sinistra) l'unica speranza per l'Europa. E questo è a tal punto vero che anche i più lucidi fra gli uomini di sinistra sono costretti a dire, come abbiamo visto, che la sinistra ha un futuro solo se, come Blair, si fa essa stessa, almeno in parte, destra. Peccato che ciò sia irrealizzabile. Ci può ben essere lo abbiamo visto un Blair dopo la Thatcher. Ma solo dopo la Thatcher. In modi diversi, legati a ciascuna

storia e tradizione, le sinistre francesi, tedesche e italiane, restano e non può che essere così prigioniere del loro passato, vincolate culturalmente, organizzativamente e elettoralmente, a "coalizioni ridistributive" conservatrici che agiscono da freno allo sviluppo e alla innovazione, che propugnano, di fatto, il protezionismo economico, la difesa dei garantiti a scapito dei non garantiti, degli anziani a scapito dei giovani. Tutti, d'altra parte, sanno quanto sarebbero negative per il futuro dell'Europa una vittoria dei socialisti francesi (alleati ai comunisti, come agli albori dell'avventura mitterrandiana) oggi e dei socialdemocratici tedeschi domani. E tutti abbiamo potuto vedere, ad esempio, che cosa è accaduto a D'Alema dopo che ha osato, in congresso, contrapporsi a Cofferati (nè più nè meno di ciò che sarebbe accaduto a un leader laburista in rotta con le Unions nell'epoca prethatcheriana). Allo stesso modo tutti possiamo constatare come segnino il passo in Italia, con la sinistra al potere,

le privatizzazioni, come sia difficile introdurre misure liberalizzatrici di qualsiasi tipo. Semplicemente perchè al di là della propaganda e dei paragoni forzati, così cari a Veltroni, con Blair o con Clinton, la sinistra italiana (come quelle francesi e tedesche ma con aggravanti legate alla specificità della sua storia e della sua condizione presente) è vincolata a tutt'altri interessi, ha un Dna completamente diverso. Se è velleitario e irrealistico chiedere alla sinistra di farsi destra bisognerebbe invece chiedere alla destra di fare seriamente la destra. Nel caso italiano è questo il vero punto dolente. Sarà perchè nata da poco, sarà per le debolezze e i noti punti fragili della leadership di Berlusconi, sarà per la pigrizia di Fini e la sua incapacità di perseverare nell'opera di rinnovamento del proprio partito, sarà per un'infinità di ragioni, ma la destra italiana, oggi all'opposizione, come ieri nella sua breve esperienza di governo, continua a non avere una immagine credibile e convincente. E qu

esto è tanto più singolare se si considera che se pure è vero che la destra sconta in Italia, a differenza della sinistra, la debolezza del suo radicamento sociale e la difficoltà di legittimarsi presso gli ambienti che hanno fin qui sempre guardato alla sinistra, è anche vero che essa dispone, almeno in teoria, del vantaggio di potere proporsi, con più credibilità su questo piano della sinistra, come forza di innovazione e di liberalizzazione. E così, anzichè lavorare alla costruzione credibile alternativa a medio termine, anzichè pazientemente impegnare i propri cervelli migliori a elaborare proposte serie nei versi campi, continua ad oscillare fra velleità di rivincita a breve termine (irrealizzabili), mobilitazioni di piazza e continue tentazioni di accordi parlamentari sottobanco con la maggioranza. E cosi restiamo in mezzo al guado, con una sinistra (D'Alema) che aspirerebbe a fare proprie le migliori idee della destra ma non può farlo e una destra incapace di valorizzare quelle stesse idee che, in teo

ria dovrebbero appartenerle. E' questa l'unica lezione, mi pare, che possiamo ricavare dalla vittoria di Tony Blair.

 
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