AVVOCATI PER PANNELLA
Di Titta Mazzuca
Nel "menù" dei nuovi referendum che i riformisti di Marco Pannella hanno preparato, proponendoli alla categoria più interessata, figura, per la giustizia, anche quello sulla separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. E' il problema più spinoso che divide la magistratura associata e l'avvocatura penale, per cui quest'ultima, proprio in questi giorni, si astiene il tutta Italia dalle udienze.
Sul punto, così come su altri, la Commissione bicamerale si sta comportando come un legislatore ordinario, anziché costituente. E' una riflessione che, sia pure dal suo punto di vista (conservatore), ha espresso recentemente il procuratore della Repubblica Marcello Maddalena (Il Bolognese del 7 maggio u.s.). "Si affrontano - scrive il noto magistrato - questioni di gravissima rilevanza istituzionale come se si trattasse di una qualsiasi materia contrattuale, suscettibile, di "trattativa" tra presunte parti (Parlamento, magistrati, classe forense) alla ricerca di compromessi e mediazioni, più consone ad un qualsiasi "contratto collettivo" di lavoro che non ad un'opera di rifondazione dello Stato. Il rilevo appare esatto, ove si consideri l'arzigogolata disciplina, che è stata prefigurata per il passaggio della funzione giudicante a quella requirente e viceversa. Invece, per soddisfare il compito costituente, sarebbe bastato stabilire il principio dell'indipendenza e dell'imparzialità del giudice (negli stessi
termini dell'art.6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) e della conseguente necessità d'una sua netta separazione dai ruoli dei pubblici ministeri. La più fiera resistenza alla separazione della carriere proviene da coloro che, nella tradizione inquisitoria del nostro Paese, vedono ancora nel pubblico ministero un "organo di giustizia", una sorta di "paragiudice", immerso nella cultura della giurisdizione, quasi questa non sia patrimonio comune di tutti gli operatori giudiziari, a parte le specifiche professionalità e le particolari attitudini del giudice, dell'accusatore e del difensore! Adesso, contro il teorema dei sullodati propugnatori del Pm come "parte imparziale", è intervenuta una chiara sentenza della Corte Costituzionale (anche ad essa ogni tanto può capitare di ripercorrere antichi sentieri garantisti). La Corte ha respinto l'obiezione del Pretore di Messina, il quale ricavava la neutralità del Pm dal'art.358ccp., che prevede, oltre alle attività proprie dell'accusa, anche "accertame
nti su fatti e circostanze a favore dalle persona sottoposta ad indagini". La Corte - ritenendo evidentemente accessori e casuali tali accertamenti - ha ribadito il ruolo dell'accusatore che il processo penale assegna al Pm, mentre spetta al difensore raccogliere ed evidenziare gli elementi a favore dell'imputato. D'altra parte, la pratica forense e le stesse cronache giudiziarie dimostrano quanto sia forte per tutte le parti - e quindi anche per il Pm - la tirannia del ruolo che bisogna esercitare. Raramente il Pm rinunzia ad appellarsi o ricorrere contro le sentenze che abbiamo respinto le sue richieste, così come raramente egli applica elementi quella norma che gl'impone la richiesta di archiviazione, "quando ritiene l'infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio". Basterà la sentenza della Corte Costituzionale a far uscire i commissari della Sala della Regina dalle formule ambigue? Ne dubito fortemente. In ogni caso, più che ripercorre
re la strada alquanto logora l'astensione dalle udienze, l'Unione delle camere penali dovrebbe decidere finalmente, pur attraverso il necessario dibattito interno, di lanciarsi nella lotta referendaria, non solo in relazione ai due referendum su cui si voterà il prossimo 15 giugno (per i quali già si era espresso favorevolmente il Congresso nazionale di Catania), ma anche su quelli che riterrà opportuno far propri dei cinque che occorre fare, avvenga quel che può!