QUANDO LE PROTESTE DEI PM NASCONDONO PROCESSI SOMMARI
Milio: "Dalle parole di D'Ambrosio bisognerebbe dedurre che Mani Pulite incriminò senza elementi probatori concreti"
Di A.S.
"O c'è una cattiva conoscenza della norma oppure si vuole portare avanti un'interpretazione a dir poco blasfema della nuova formulazione dell'articolo 513 del codice di procedura penale". Pietro Milio non sembra avere alcun dubbio. La scorsa settimana è stato uno di quelli che, in commissione Giustizia al Senato, ha votato per la riforma del 513. E non è affatto pentito. La presa di posizione della magistratura e l'ennesimo attacco sferrato da D'Ambrosio all'autonomia parlamentare non lo stupiscono affatto. "Mi colpisce - spiega il senatore dei Riformatori e avvocato del foro di Palermo - solo il ritardo con cui il pool ha esternato. Quel voto del Senato è della scorsa settimana e le polemiche sono arrivate solo mercoledì scorso".
Che intende per "cattiva conoscenza della norma"?
Credo che la "ratio" della nuova formulazione del 513 non sia stata spiegata in modo chiaro. Non si tratta di richiamare tutti i testimoni, ma soltanto quelli che, citati dal giudice a confermare quanto detto al pm in sede predibattimentale, hanno fatto il coro a bocca chiusa. E, nel caso specifico, sono quasi tutti collaboratori di giustizia. L'obiettivo è quello di trasferire in aula i loquaci interrogatori resi in sede di indagini preliminari. La portata innovativa della riforma sta nel fatto che, se questi testimoni continuassero a fare silenzio, il giudice dovrebbe valutare le loro dichiarazioni solo alla luce di riscontri esterni. Insomma, a far condannare una persona, non sarebbero più sufficienti le accuse di persone che poi non si degnano neanche di venire in aula per il contraddittorio.
D'Ambrosio ha alzato la voce e ha gridato al "colpo di spugna". Secondo il numero due del pool sono a rischio tutti i processi di Tangentopoli. E' d'accordo?
Quello che si dice in questi giorni non risponde a verità. I processi di mafia e quelli di Tangentopoli non salteranno. Semplicemente, saranno richiamati in aula quei testimoni che davanti al giudice si erano avvalsi della facoltà di non rispondere.
D'Ambrosio sostiene che, pur di non farsi pubblicità, nessuno degli imputati che hanno patteggiato si presenterà in un'aula di giustizia a deporre
Intanto il fatto della pubblicità è un falso problema. Come la pratica professionale mi ha dato modo di constatare, coloro che hanno patteggiato sono fisicamente comparsi in dibattimento e i giornali ne hanno parlato largamente. Tirare in ballo la pubblicità mi sembra solo un modo per arrampicarsi sugli specchi. Soprattutto, non vedo perché lo Stato debba utilizzare metri diversi e salvaguardare la "purezza" di coloro che hanno ammesso di avere rubato di fronte ad una posizione diversa di chi dice di non averlo fatto e, peraltro, è ancora sub iudice. Non per questo credo che chi si dichiara innocente lo sia veramente: ma questo non lo posso stabilire io, né tantomeno D'Ambrosio, lo deve decidere il giudice. Non vedo perché differenziare la dignità del ladro conclamato e di chi potrebbe essere innocente.
Sempre D'Ambrosio, ha detto che in quasi tutti i processi di Tangentopoli mancano le "prove documentali che sono custodite nelle grandi casseforti estere". Insomma, senza le dichiarazioni rese dai coimputati verrebbero tutti assolti
Forse è un lapsus freudiano. Dalle parole di D'Ambrosio bisognerebbe dedurre che molte persone sono state incriminate senza elementi probatori concreti e hanno poi deciso di patteggiare la pena per evitare danni peggiori. Non vorrei che, per sbaglio, si sia ammesso che gran parte dei processi di Tangentopoli sono stati fatti senza un minimo di prova.
Perché questa alzata di scudi da parte della magistratura?
Qualcosa è andata per il verso sbagliato. E, forse, oggi si teme che possa venire a galla in maniera clamorosa. D'altronde, la dichiarazione di qualche tempo fa dell'ex ministro Di Pietro (quando ha affermato che tutti erano a conoscenza dei modi di interrogare e di condurre le indagini del pool) e la risposta del suo ex capo Borrelli ("io non partecipavo agli interrogatori di Di Pietro") lascia intendere molte cose. Che, naturalmente, non si riferiscono solo a Milano. E' un modo per capire perché i pm (e non i giudici) si oppongono in modo tanto accanito alla nuova formulazione dell'articolo 513 del codice di procedura penale.
Si chiede che la nuova normativa abbia forza di legge solo per quei procedimenti non ancora arrivati alla fase dibattimentale
Si vuole salvare quello che è stato fatto. Ma se è stato fatto in maniera patologica, saranno i giudici a valutarlo, non vedo perché vada salvato dai pm o dallo stesso Parlamento. Noi abbiamo il dovere di intervenire e di controllare se le inchieste penali degli ultimi anni sono state condotte regolarmente.