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Segreteria Rinascimento - 10 maggio 1997
Da "Il Messaggero" del 10 maggio 1997 - pag. 7

FINI ALL'ATTACCO: SULL'ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER NON CEDO

Di Paola Orefice

ROMA - Nessuna concessione. Un no convinto, quello di Gianfranco Fini, sulla forma di governo proposta da D'Alema. E' così determinato il presidente di Alleanza nazionale, al punto che i battibecchi e le discussioni all'interno di Forza Italia passano in secondo piano. Soprattutto di fronte al silenzio di Berlusconi impegnato in una campagna elettorale dagli esiti incerti. "Siamo convinti sostenitori della necessità di procedere a una riforma che comporti l'elezione diretta e popolare del capo dello Stato", scandisce Fini. Come farà il Cavaliere a non tenere conto del suo alleato? Un alleato che in queste amministrative è in crescita? Probabilmente un anticipo, di quelle che sono le intenzioni del leader del Polo, lo fornisce Giuseppe Pisanu, capogruppo dei deputati "azzurri": "D'Alema è ancora troppo elusivo. Per noi è chiaro che se il premier forte è eletto dal popolo va bene, altrimenti no". Spiega Fini: "Elezione diretta può significare sia l'elezione del presidente della Repubblica che nomina il capo de

l governo, sia l'elezione diretta e popolare del presidente del Consiglio". Quindi nessuna possibilità di dialogo con D'Alema? E' chiaro che Fini per ora non intende strappare quel flebile filo che tiene legate le sorti del presidente della Bicamerale, di Berlusconi, delle riforme, pur mettendo i necessari paletti. Tant'è che il presidente di An ha un atteggiamento attendista: "E' ancora presto per dare un giudizio definitivo sulla sua annunciata volontà di discutere sul progetto che lui (D'Alema ndr) chiama "premierato forte". Aspettiamo che si metta nero su bianco prima di dare un giudizio definitivo". Intanto a Montecitorio si consuma l'ennesimo battibecco tra l'intransigente Giorgio Rebuffa e il conciliante Giuliano Urbani. Uno scontro tra i costituzionalisti di Forza Italia. "Io non firmo nulla", attacca il vicepresidente degli "azzurri". "E' un momento di svolta quando D'Alema parla di elezione contestuale del premier e della maggioranza", spiega Urbani. Insiste Rebuffa: "Ci sono dei nodi politici che

non possono essere sciolti con le fraseologie ma solo con gli articolati. Cosa significa diretta investitura popolare del premier?". "Non attribuiamo ad altri responsabilità che sono anche nostre", ribatte Giuliano. Contrattacca Giorgio: "Il Comitato ha proceduto lentamente perché ha voluto D'Alema". "No, lo abbiamo voluto noi. Perché se non si indica qual è il sistema elettorale che accompagna la forma di governo siamo in presenza di una scatola vuota. Il voto sarà possibile quando conosceremo un progetto che comprenda entrambe le questioni e a quel punto emergeranno le contraddizioni tra D'Alema, i Verdi, il Ppi": E con queste battute Urbani mette fine al duello. C'è anche Peppino Clderisi a dar man forte a Rebuffa: "Nessun accordo con il Polo". Altro capitolo. Altri distinguo. Stavolta nel Ccd. Clemente Mastella, il presidente individua lo spauracchio della legge elettorale. Una legge che potrebbe bastonare pesantemente i partiti minori. Mentre Pierferdinando Casini, il segretario, è cauto e possibilista

sulla proposta di D'Alema che prevede: 1) Nome del candidato premier sulla scheda elettorale accanto al nome del candidato del collegio. 2) Il premier eletto non dovrà essere sottoposto al voto di fiducia del Parlamento. E' nominato direttamente dai cittadini. 3) Se viene sfiduciato dalle Camere può scioglierle. E i Popolari? Franco Marini appare possibilista: "Siamo disponibili a vedere la formula". Anche se ripete: "Il Parlamento deve avere un ruolo di indirizzo e di controllo"

 
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