IL GUAIO DI ROMITI SI DIREBBE SONO PROPRIO GLI AGNELLI
La battaglia (perduta) la voglia di entrare in politica con Liberal, le aperture della Famiglia al San Paolo di Torino, il declino di Cuccia. L'Avvocato ha dovuto smentire per carità di patria chi gli ha attribuito una telefonata di solidarietà al conte Pietro Marzotto
L'Espresso, n. 20
Di Massimo Mucchetti
La condanna in primo grado al processo di Torino. Le manifestazioni di solidarietà ricevute, e quelle che mancano all'appello. La successione alla Fiat. Lo smacco patito a opera di Pietro Marzotto, che si è rifiutato di immolare l'azienda di famiglia sull'altare dei disegni finanziari di Cesarone e del figlio Maurizio. Il cattivo momento di Mediobanca. Le diversità di opinioni con l'Avvocato... Cesare Romiti continua a tacere, e tutto resta nell'ombra. Ma non per questo scompare. "L'Espresso" ha ricostruito il momento di Romiti, giunto al colmo della sua personale potenza e ora, vecchio leone colpito da un giudice, alle prese con partite non facili. La più recente delle quali si è giocata a Roma, mercoledì 7 maggio, all'assemblea dell'Ansa, la principale agenzia di stampa italiana posseduta da una cooperativa alla quale aderiscono 39 editori di giornali. Morire per Donati? L'affaire dell'Ansa comincia a ingarbugliarsi il lunedì precedente quando Romiti incontra Paolo Paloschi, direttore generale della "Stamp
a" e il presidente uscente Umberto Cuttica. Il capo della Fiat sa che i due dirigenti hanno stretto un patto di ferro con il "Corriere della Sera" e "il Giornale" per far eleggere Alberto Donati alla presidenza dell'Ansa. Editore del "Corriere dell'Umbria", Donati è stato per anni direttore generale della Rcs Editori e poi responsabile della Rcs Quotidiani. La geopolitica del mondo Fiat lo colloca tra i romitiani. Candidato alla presidenza della Fieg, la Federazione italiana degli editori, Donati non ha conquistato i necessari consensi a causa della crisi della Rcs Editori, per la quale figura anche tra gli indagati. La presidenza dell'Ansa può essere considerata un equo risarcimento. Ma al dunque il presidente della Fiat non sembra tanto convinto ed esorta i suoi uomini a evitare eccessi di zelo. "Non morirei per Donati", consiglia. Tra Suni e Boris. Che cos'è accaduto? A fermare Romiti non è certo il dubbio di accumulare troppo potere associando nell'Ansa un presidente targato Fiat (non sarebbe una novità
dopo il regno di Giovanni Giovannini e il mandato di Cuttica, entrambi editori della "Stampa") a un diretto re come Giulio Anselmi che, pur avendo conquistato un'elevata credibilità personale, da molti anni è fra i giornalisti apprezzati in corso Marconi. A far tentennare Romiti sono state molte considerazioni, e anche i desideri manifestati da Susanna Agnelli. Sulla poltronissima dell'Ansa, la sorella dell'Avvocato sarebbe contenta di vedere l'ambasciatore Boris Biancheri, che lei stessa, ministro degli Esteri del governo Dini, aveva richiamato in Italia dall'invidiabile sede di Washington al più potente ma francescano ruolo di segretario generale della Famesina. Poichè Biancheri andrà in pensione a novembre, basterebbe aspettare un po'... Marzotto, Marzotto. Martedì 6 maggio, tuttavia, Paloschi e il suo collaboratore Antonio Felicella rifanno il giro delle telefonate: sono sicuri di avere le deleghe necessarie per far eleggere Donati. Sono convinti di poter contare su un voto plebiscitario, quindi vanno a
vanti. Ma il giorno dopo i conti non tornano più. In apertura dell'assemblea Roberto Crespi, direttore generale del "Giornale" berlusconiano, lancia la candidatura anche a nome dei due quotidiani di area Fiat. L'avvocato Vittorio Ripa di Meana, in rappresentanza della "Prealpina" di Varese, segnala il rischio che si apra una spaccatura tra gli editori, e per questo propone un rinvio al 30 giugno. Ma Cuttica forza la mano e impone il voto. Quello che accade dopo lo racconterà l'indomani soltanto la "Repubblica": 56 votano a favore di Donati, 57 contro, 29 si astengono. Dal fondo si grida "Marzotto", come per inneggiare a una ribellione a Romiti: pochissimi sanno che in realtà la sconfitta, se cosi si può definire (i contatti per una soluzione che accontenti tutti ricominciano subito), non è sua. L'Ansa manda in rete un dispaccio dove non si fa il nome di Donati. "La Stampa" dedica al fatto poche righe. Il "Corriere" tace. Cari direttori. Quando era ancora amministratore delegato della Fiat, Romiti godeva già,
meritatamente, di buona stampa. Ma non sempre aveva fortuna con i direttori. O meglio con la loro nomina. Alla "Stampa" e al "Corriere" l'ultima parola spettava a Gianni Agnelli. Paolo Mieli, per esempio, è una scelta della quale l'Avvocato va orgoglioso. Romiti provo a giocare la parte del king maker al "Sole 24 Ore". Nel 1993 cercò di far convergere il direttivo della Confindustria sul nome di Anselmi quale successore di Gianni Locatelli. Era talmente sicuro di avercela fatta, Romiti, che telefono le sue congratulazioni al suo candidato prima ancora che il direttivo si esprimesse. Ma ci fu una sorpresa: la Confindustria preferì promuovere il vicedirettore Salvatore Car rubba, fedelissimo dell'uscente Locatelli. Memore dell'insuccesso, Romiti si è rifatto lo scorso autunno: ormai presidente della Fiat, ha convocato a Roma i maggiorenti della Confindustria e ha ottenuto che alla guida del quotidiano economico andasse il capoufficio stampa di corso Marconi, Ernesto Auci, cresciuto giornalisticamente proprio
al "Sole 24 Ore". Adesso Romiti ha posto il suo sigillo sulla designazione di Ferruccio De Bortoli alla guida del "Corriere della Sera". L'Avvocato, che pure stima De Bortoli, non nascondeva di preferire una più lunga permanenza di Mieli in via Solferino, ma la fretta del suo pupillo e il consenso di Romiti hanno accelerato il cambio della guardia. Liberal c'est moi. Il progetto più ambizioso di Romiti editore è però un altro. E lui il principale sponsor di "Liberal" e il più autorevole sostenitore del progetto politicoculturale che sta dietro il mensile di Ferdinando Adornato. In un primo tempo, avrebbe preferito rimanere defilato. "Aveva la preoccupazione che la sua presenza si rivelasse troppo ingombrante" racconta Mino Martinazzoli, sindaco di Brescia e sodale in "Liberal". "Ma gli dissi che non vedevo le ragioni di un sotterfugio, posto che nessuno può limitare il diritto di cittadinanza, fosse pure quello di un alto dirigente come Romiti". Adesso il presidente della Fiat ha preso a cuore il progetto di
trasformare il mensile in un settimanale da 100130 mila copie di vendita. Mentre Adornato cerca di convincere un editore vero come Alberto Rusconi a entrare nell'azionariato, partono le telefonate per convincere i membri della Fondazione Amici di "Liberal" a mettere mano al portafogli. Ci sono, però, anche alcuni no. L'industriale calzaturiero Diego Della Valle, consigliere della Comit, è uno di quelli che ha cortesemente declinato. Pietro Marzotto ha fatto rispondere: "Il conte sostiene "Liberal" comprandolo tutti i mesi in edicola". Alfio Marchini, costruttore romano e Marco Tronchetti Provera, presidente della Pirelli e del "Sole 24 Ore", smentiscono "Panorama" che li accredita come collettori di soldi per "Liberal" settimanale. Ma Nando e Cesare vanno avanti con il loro progetto. Voglia di politica. Tanta attenzione verso la stampa suggerisce a molti l'idea di un Romiti intento a preparare un clamoroso ingresso in politica a capo di un centrodestra tecnocratico ancora tutto da costruire. A sostegno di q
uesta tesi militano tre fattori: la convinzione dell'establishment che Silvio Berlusconi sia troppo prigioniero dei suoi conflitti d'interesse per esercitare una vera leadership, la promessa che Romiti ha preso di non rimanere alla guida della Fiat dopo il compimento del settantacinquesimo anno, il 24 giugno 1998; l'antica ruggine con Romano Prodi, oggi in parte stemperata (come dimostra l'incontro riservato, lunedì 28 aprile a palazzo Chigi, nel quale il presidente della Fiat ha informato il premier dei benefici influssi sui conti della Fiat degli aiuti governativi all'auto). In realtà, la forza delle cose tende a tenere lontano Romiti dalla politica e ad ancorarlo al timone della Fiat più di quanto lui non voglia ammettere. Intanto, checchè se ne pensi, la destra un leader ce l'ha ed è Berlu sconi. I conflitti d'interesse ne possono condizionare l'azione, ma lo costringono anche a rimanere in politica, la collocazione più sicura per difendere i suoi affari. E Romiti ne ha preso atto. Del resto fra i due ci
sono anche affinità, come sembra dimostrare la convergenza sulla candidatura di Gabriele Albertini a sindaco di Milano. Ma a frenare Romiti da un impegno politico diretto è il ruolo che l'uomo, sostenuto da Mediobanca, ha assunto nella delicatissima transizione del capitalismo italiano: dal governo delle grandi famiglie a quello dei manager sostenuti da "noccioli duri" di azionisti, siano essi famiglie o istituzioni finanziarie. Con l'aiuto di Gemina. Una trasformazione che si sta preparando dietro le quinte di tre teatri: Mediobanca, che ne è il motore; Fiat, il faro; e l'ex Gemina lo strumento per costruire (dopo i tentativi andati a vuoto con Montedison, Ferruzzi e Marzotto) un altro grande polo industriale e finanziario. Alla potente banca d'affari milanese l'attuale presidente della Fiat deve molto. "Mediobanca, e per essa il dottor Cuccia, aveva segnalato e suggerito con insistenza il nome del dottor Romiti, all'epoca funzionario non conosciutissimo in Italia e del settore delle Partecipazioni Statali
", ha riferito al pm Marcello Maddalena l'attuale presidente della Zanussi, Gianmario Rossignolo, ricostruendo l'assunzione in Fiat di Romiti, proveniente dall'ltalstat, nel 1g74. Cuccia aveva conosciuto il manager quando questi nel '68, aveva lavorato per giorni nel chiuso di via Filodrammatici alla fusione tra la Bombrini Parodi Delfino e la Snia Viscosa. "Cuccia, bontà sua, pensava che io avessi delle qualità", ha poi confessato a Giampaolo Pansa nel libro intervista del 1988 lo stesso Romiti: "Da allora l'ho rivisto tante volte". Sotto l'ala di Cuccia. Negli anni, il patron di Mediobanca ha preso almeno tre clamorose decisioni a favore di Romiti. Nel 1993 ha bocciato per la seconda volta la designazione di Umberto Agnelli alla presidenza della Fiat, benchè già preannunciata in pubblico dall'Avvocato. Nel '95 ha imposto l'aumento di capitale da 5 mila miliardi che ha fatto emergere i limiti della tenuta finanziaria degli Agnelli e li ha costretti, per la prima volta nella loro storia, a condividere il pot
ere con soci eccellenti Mediobanca, Generali, Deutsche Bank dentro di un patto di sindacato. Infine, un mese fa, Cuccia ha firmato una lettera di solidarietà a Romiti dopo la condanna. E stato lo stesso amministratore delegato di Mediobanca, Vincenzo Maranghi, a sollecitare le adesioni a un testo che attacca la magistratura italiana perchè si ostina a perseguire il falso in bilancio per cifre poco rilevanti rispetto ai conti delle imprese. Tanti rispondono all'appello, ma non tutti. L'onestà personale di Romiti non è in discussione, ma la tesi della "modica quantità" lascia dei dubbi: sarebbe come sottrarre un miliardo ai Rothschild e poi difendersi ricordando che per loro, che sono straricchi un miliardo è nulla. Per un Giampiero Pesenti che fa dire al suo portavoce: "Ero all'estero, altrimenti avrei firmato", altri assenti come Luigi Orlando, preferiscono tacere, Tronchetti Provera confida agli amici di aver giudicato debole e mal scritto il documento. Marzotto ritiene sufficienti le attestazioni di stima
rilasciate in Confindustria. "L'Economist", ignorato dalla stampa italiana vicina alla Fiat, fa dell'ironia. Ma la lettera resta. E pesa: Mediobanca ribadisce il suo totale appoggio a Romiti, perno obbligato dell'evoluzione dal dominio delle famiglie a quello dei noccioli duri. Così Cuccia cancella sul nascere le perplessità di qualche azionista (Deutsche Bank, per esempio). E attribuisce al presidente della Fiat un credito che, se Romiti vorrà, potrà essere speso tra un anno per restare ancora al vertice dell'azienda. Nella Fiat del 2000. La forza del ticket MediobancaRomiti, d'altra parte, è proporzionale alla debolezza e all'incertezza delle grandi famiglie. La malattia di Giovannino Agnelli ha provocato difficoltà impreviste nella successione all'Avvocato. E rende più problematica la nomina di Paolo Fresco numero due della General Electric, a presidente della Fiat tra una generazione e l'altra. Ma le grandi famiglie, pur consapevoli che il tempo passa per tutti, non sembrano intenzionate a farsi mangiar
e gratis. La ribellione di Marzotto è esplosa quando siè accorto che Romiti jr. voleva lanciare aumenti di capitale della nuova società nata dalla fusione tra Marzotto e Hpi per comprare la Snia Bpd dalla Fiat, presieduta da suo padre Cesare. L'Avvocato ha dovuto smentire, per carità di patria, chi gli ha attribuito tra virgolette una telefonata di solidarietà al conte Pietro. E Romiti ha negato che la Snia fosse in vendita. Ma l'alleanza è saltata, gli Agnelli già pensano al domani quando Cuccia non ci sarà più e Mediobanca perderà peso. Se gioca anche Rossi. Il lamento di Maranghi all'assemblea del 28 ottobre 1996 contro il governo, reo di tenere al palo le uniche privatizzazioni Stet ed Enel nelle quali è impegnata Mediobanca, segnala non soltanto una protesta ma soprattutto una debolezza che appare più seria quando si consideri che cosa è accaduto in seguito: l'Enel di Franco Tatò si allea con l'Eni e mette in crisi i produttori privati amici di Medio banca (dopo l'annuncio le quotazioni di Edison e So
ndel sono cadute); il governo Prodi nomina alla presidenza della Stet quel Guido Rossi diviso da Romiti (e da Maranghi) da una fiera e antica ostilità personale. Ebbene, in un simile contesto l'Ifi e l'Ifil, le due casseforti della famiglia Agnelli, entrano nella ristretta cerchia degli azionisti stabili del San Paolo di Torino e vendono il 2 per cento della Fiat alla Compagnia di San Paolo, la fondazione che controlla la banca subalpina. La scelta fa scalpore, perchè il presidente dell'Istituto bancario, Gianni Zandano, e quello della Compagnia, Gianni Merlini, hanno scartato Mediobanca, alla quale era invece stato affidato nel 1992 il collocamento in Borsa e hanno scelto come consigliere per la privatizzazione proprio Rossi. Una decisione che colloca il San Paolo nella posizione di punto di riferimento finanziario della privatizzazione Stet, nonostante Mediobanca ne sia il global coordinator: Romiti non ha commentato l'episodio, ma si dice che stia facendo del suo meglio per non aprire alla Compagnia le po
rte del consiglio di amministrazione Fiat. Se ci riuscirà, darà un segnale inequivocabile su chi comanda a Torino. Almeno per qualche anno.
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