LA GUERRA DI MARCO SUL FRONTE LIBERISTA
REFERENDUM / Per ora va in freezer la raccolta di firme
E' riuscito a coalizzare le associazioni imprenditoriali. Poi il leader dei Riformatori ha gettato la spugna. La battaglia però è solo rinviata. E lo scontro culturale comunque è aperto
Rivoluzione thatcheriana addio. O almeno arrivederci. Il "grande sogno" liberale di Marco Pannella s'è sgretolato sotto i colpi della triste realtà organizzativa: banchetti vuoti, militanti esausti, una difficoltà oggettiva a coagulare interesse e consenso
della gente. La nuova ondata referendaria, quella che avrebbe dovuto liberalizzare l'economia, finisce in freezer. "Da soli non ce la facciamo", hanno annunciato i Riformatori. Eppure Pannella era riuscito in un'impresa titanica: gli imprenditori schierati al suo fianco. Confindustria, ma anche Confapi, Confcommercio e Confartigianato. Come a dire, il diavolo e l'acquasanta, un incontro "impossibile" tra organizzazioni che negli ultimi anni si sono contese iscritti sul campo, si sono date battaglia quando si doveva trovare un capro espiatorio per l'inflazione che saliva, si sono combattute nei corridoi parlamentari per interessi opposti. "I referendum sono in freezer, in attesa che qualcuno si decida a scongelarli", ammettono dal quartier generale dei Riformatori. "Qualcuno", cioè le organizzazioni imprenditoriali. Per le quali la scelta sarà comunque difficile. Non è un caso che la semplice decisione di appoggiare cinque quesiti referendari avesse fatto scandalo. In nome di una cultura liberalizzatrice, è s
tata la parola d'ordine sulla quale la Confindustria aveva selezionato i referendum da appoggiare. Una cultura che oggi fa comunque da collante tra le diverse associazioni. "In Confindustria raccontano i Riformatori si sono confrontate tre linee: chi avrebbe preferito chiamarsi fuori da ogni nostra iniziativa, chi avrebbe voluto appoggiare tutti i nostri referendum e chi ha scelto di mediare. Ha vinto chi voleva mediare", raccontano al quartier generale dei Riformatori. Dove resta l'amaro in bocca per quel1a "selezione", per la mancata disponibilità a entrare nel comitato promotore, addolcito solo dalle adesioni che arrivavano dalle associazioni sparse sul territorio. Cinque e non più di cinque, era stata la scelta di Confindustria, concentrandosi sui quesiti a "forte valenza simbolica". "La maggior parte di noi vede i referendum con grande simpatia e singolarmente ne sosterrà ben più dei cinque che il direttivo ha indicato aveva chiarito il presidente della Piccola e media impresa della Confindustria Mar
io Casoni ma dobbiamo anche stare attenti alle posizioni che prendiamo, specie nei rapporti con il sindacato". E infatti la mossa di viale del1'Astronomia non era piaciuta affatto ai sindacati: "Una scelta politica avevano detto in coro Cgil, Cisl e Uil che poco ha a che vedere con il ruolo di rappresentanza della Confindustria". Una critica estesa automaticamente anche alle altre organizzazioni, che verso i referendum proposti da Pannella erano state anche più generose. La Confcommercio ne avrebbe sostenuti otto: i cinque scelti dall'organizzazione guidata da Giorgio Fossa (abolizione del monopolio pubblico del collocamento, abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, abolizione del divieto di intermediazione, abrogazione dell'obbligo di assicurare gli infortuni sul lavoro con l'Inail, libertà di scelta per l'assicurazione sanitaria) più altri tre (liberalizzazione del parttime, liberalizzazione del lavoro a domicilio, liberalizzazione del contratto a tempo determinato). Sulla stessa lunghe
zza d'onda si erano collocate la Confapi e la Confartigianato. Ma l'addio al referendum non dà il benservito allo sconcerto degli imprenditori per le lentezze delle scelte politiche, che avevano fatto apparire l'abrogazione secca come un'arma di pressione buona ad accelerare i tempi. Principi irrinunciabili. Però, se si entra nel merito, si scopre che in gioco non c'è la lentezza del Parlamento ma un modello di regole al quale il sindacato non vuole rinunciare. "La verità spiega Giuseppe Casadio, segretario confederale della Cgil è che con il referendum si sarebbe voluto dare il via libera a posizioni ultraliberiste che da qualche tempo alcune parti stanno portando avanti. E siccome non passano a livello parlamentare, hanno tentato il ricorso diretto alle urne". "Sul monopolio del collocamento chiarisce Roberto Tittarelli, segretario confederale della Cisl c'era già una scelta precisa di apertura ai privati nella legge Bassanini. Siamo i primi a voler entrare nella gestione del mercato del lavoro, insieme
agli imprenditori, per rendere davvero possibile l'incontro tra domanda e offerta". Insomma il referendum non sarebbe servito. Quanto all'abrogazione dell'articolo 18 dello Statuto, che prevede l'obbligo di reintegrazione sul posto di lavoro nel caso di licenziamento illegittimo, neanche a parlarne: "Non siamo d'accordo nel merito dice Tittarelli e non ci si dica che siamo rigidi: abbiamo fatto passare nel pubblico impiego il principio del licenziamento dei dirigenti, un fatto storico". "La verità gli fa eco Casadio è che questi referendum si inserivano in una complessa azione che mira alla liberalizzazione del rapporto di lavoro. Comunque, se pensano di superare la normativa sui licenziamenti, se lo scordano: discutiamo di modifiche sulle procedure, ma i principi di base non si toccano. E non si tocca nemmeno il divieto di intermediazione di manodopera". Un "no" dunque, che riguarda il metodo (l'arma referendaria ora abbandonata per strada) ma soprattutto il merito. E le distanze rimangono e si mettono
meglio a fuoco quando entrano in scena i due quesiti sull'Inail e sulla Sanità "vale a dire obietta Casadio due nodi nevralgici della riforma dello Stato sociale. Si parla tanto dei non tutelati sul lavoro, giovani e disoccupati: a loro va spiegato che con lo smantellamento del sistema sanitario pubblico la loro salute non sarebbe più garantita". Questione di liberismo, insomma. "Appunto sottolinea Tittarelli si vuol far passare una concezione liberista che non ha funzionato negli Stati Uniti, figuriamoci da noi". I referendari rimandano le accuse al mittente. "Guardiamo al modello olandese dicono al Comitato dove c'è libertà di scelta nell'assicurazione sanitaria e il sistema pubblico convive con quello privato. Ne hanno guadagnato gli utenti". Intanto, per adesso, la gara a colpi di firme è rinviata. Lo scontro politico e culturale invece no.