GIORNALISTI A CACCIA DI REGOLE
Oltre il Referendum. Alla vigilia per l'abolizione dell'Ordine esce un libro su una professione nella bufera
Di Vincenzo ZenoZencovich
Che il 15 giugno si tenga come pare ormai certo oppure no il referendum sull'Ordine dei giornalisti, che la maggioranza degli elettori approvi l'abrogazione, oppure la respinga, in ogni caso il tema della deontologia del giornalista è destinato a svolgere un ruolo centrale nello sviluppo (o nel declino) di questa professione. E' dunque una fortunata concomitanza che porta nelle librerie il volume curato da Luca Boneschi su "La deontologia del giornalista. Diritti e doveri della professione" pubblicato nella collana della Egea dedicata alle deontologie professionali e diretta dal maggiore esperto del settore, Remo Danovi. Il libro si articola in tre parti: una prima, che illustra le linee guida per un "codice deontologico" con un saggio introduttivo di un "pioniere", Carlo De Martino, compianto presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia; le pessimistiche previsioni di un esperto del diritto penale della stampa, Corso Bovio; e la ricostruzione dei principi da parte del curatore del volume, Luca B
oneschi. La seconda parte, la più corposa, contiene invece un analitico esame delle decisioni dei Consigli regionali e di quello nazionale, corredate anche di un massimario (Anna Grazia Sommaruga) del procedimento disciplinare (GiulioVotano), delle altre fonti normative, diverse dalla legge professionale (Rosalba Bitetti). La terza e ultima parte contiene invece i più importanti testi legislativi e i numerosi "codici" o "carte" redatti da associazioni professionali o da gruppi di giornalisti. L'opera dunque si rivela un indispensabile strumento di riflessione, informazione e formazione, soprattutto per le numerose "scuole" che stanno operando in collaborazione con ordini, associazioni e università.
Ed è proprio dalla meritoria attività di queste ultime che conviene prendere le mosse per alcune considerazioni sul problema della deontologia del giornalista: sulla quale continuano a prevalere delle concezioni non condivisibili. Sarà sufficiente leggere le conclusioni di Corso Bovio interprete acuto, colto e intelligente laddove qualifica "impresa impossibile" "bilanciare la libertà del giornalista con il rispetto delle regole", individua "nella funzione del giornalista un quid di eversivo e rivoluzionario che lo rende (o lo deve rendere) refrattario 'all'ordine di un Ordine' o di una deontologia"; e termina: "Noi non possiamo farci niente: la deontologia per un giornalista è soltanto una parola". Fintanto che tali opinioni saranno come lo sono tutt'oggi dominanti dentro e fuori della professione ogni discorso sulla qualità dell'informazione non approderà a nulla di concreto. Converrà dunque, al costo di sembrare ripetitivi, esprimere i presupposti su cui deve poggiare una deontologia del giornalista.
L'attività di informazione costituisce una attività professionale, nel senso che richiede conoscenze tecnicospecialistiche in ordine al modo di ricerca, selezione, riscontro e presentazione delle notizie.
L'attività di informazione svolta attraverso i mezzi di comunicazione di massa è una attività di lavoro dipendente coordinata all'interno di una impresa. Non è una attività artistica, non è una attività libero professionale. Se il giornalista sbaglia, per lui paga, penalmente, il direttore, e civilmente l'editore.
Il primo obbligo deontologico del giornalista è il rispetto della dignità umana: essa viene violata quando viene rappresentata 1'immagine del cadavere, del morente, del soggetto vittima di violenze; quando vengono descritti fatti attinenti alla sfera più intima delle persone; quando l'incolpato viene demonizzato.
Il secondo obbligo deontologico è il rispetto non della "verità" concetto vago e opinabile, bensì della diligenza professionale, ovvero di quelle tecniche note e consolidate di reperimento, selezione, riscontro e presentazione delle notizie.
Il terzo obbligo deontologico è il rispetto per il destinatario della notizia, di cui si deve presumere la capacità di discernimento, e dunque anche la capacità di valutazione critica delle notizie senza bisogno di imporgli la tesi del giornalista.
La deontologia, proprio perché è un insieme di regole frutto in primo luogo della coscienza e autoimposte, può affermarsi nel giornalismo come nelle altre professioni solo se la maggioranza dei suoi appartenenti le rispetta e le fa rispettare, anche attraverso strumenti di persuasione morale.
Se la classe giornalistica non saprà far rispettare le regole, questo compito verrà supplito dalla magistratura con procedimenti sanzionatori; e oltre al giudizio dei giudici, il giornalista si esporrà sempre di più alla disistima del lettore fuggitivo dalle edicole, e dell'elettore non appena l'urna referendaria gli offrirà l'occasione di esprimerla.