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Segreteria Rinascimento - 26 maggio 1997
Da "Il Corriere della Sera" del 26 maggio 1997 - pag. 7

"PENSIONI NON C'E' PIU' TEMPO PER MEDIARE"

Fossa: D'Alema fa un passo avanti e due indietro. "Sia chiaro, la concertazione riguarda anche noi"

Il presidente di confindustria esorta a intervenire subito e annuncia: dedicheremo il resto dell'anno a elaborare un progetto Paese per il Duemila

Di Massimo Gaggi

ROMA - "Invasione di campo della politica? Ma quale invasione di campo! Noi stiamo solo sollecitando con forza soluzioni efficaci per questioni che sono sotto gli occhi di tutti. Che devono essere risolte dai nostri politici pena l'emarginazione del Paese dall'Europa. Il tempo è scaduto. Prenda lo Stato sociale: anche l'opinione pubblica si è convinta che è ora di intervenire. Cosa aspettiamo? Dopo le sortite, giovedì, in assemblea della Confindustria ("siamo già ai minuti di recupero e non ci saranno tempi supplementari") e l'intervento dell'avvocato Agnelli ( siamo ormai ai calci di rigore") il presidente degli Industriali Giorgio Fossa si era ripromesso di archiviare le metafore calcistiche. Un proposito che si è subito infranto contro l'accusa, formulata dal Pds, di giocare In campi non suoi quando ipotizza larghe intese per la riforma dello Stato sociale. "Io ho indicato problemi non formule politiche. Dico solo che quei problemi vanno risolti adesso. Se il governo ha la forza di affrontarli in Parlamen

to con la sua maggioranza, bene. Altrimenti non vedo perché per una riforma decisiva necessaria comunque per il Paese e che ci deve portare in Europa non si possa adottare un comportamento straordinario così come si è fatto per l'Albania cercando i voti in Parlamento". Domenica mattina di gran sole nel sontuoso attico confindustriale di Via Veneto. Camicia bianca a righe azzurre, Fossa - un varesino che preferisce il contatto con la sua base imprenditoriale e sta a Roma solo lo stretto necessario ha l'aria soddisfatta. Nemmeno il D'Alema che sull'Unità definisce il suo discorso in Confindustria "rozzo e aggressivo" riesce a metterlo di cattivo umore.

D'Alema magari esagera, visto che all'assemblea lei non ha usato i toni sprezzanti del passato. Resta il fatto che la sua Confindustria si è fatta la fama di macchina antigoverno di organismo che fa politica molto più di quella di Abete.

"Si, ho notato che il leader del Pds aveva il volto più scuro dei suoi colleghi alla nostra assemblea. Fare la faccia feroce con gli industriali forse fa parte dei suoi giochi tattici. E non è la prima volta che il leader del Pds fa un passo avanti e due indietro. Apre sulle riforma delle pensioni ma poi le reazioni a sinistra lo costringono a cambiare rotta. Quanto all'atteggiamento di Confindustria nei confronti del governo le rispondo con un numero. Negli ultimi duetre anni le imprese esportatrici abituali sono passate da 50 a 150 mila. Cioè è triplicata la gente che gira il mondo per sottoscrivere contratti che conosce la realtà degli altri Paesi dove lo Stato funziona meglio ci sono meno tasse, l'ambiente per le aziende è molto più favorevole. Poi tornano in Italia e fanno il confronto. Ed esercitano una pressione fortissima rivendicano un attenzione più forte".

Visto che con la moneta unica non ci sarà nemmeno più la possibilità di recuperare competitività ricorrendo alla svalutazione della lira, c'è da pensare allora che non avremo più una Confindustria filogovernativa. Ma potete muovervi come se il passato non esistesse? I grandi gruppi hanno dialogato per decenni col potere politico. Molte industrie si sono arricchite sulle inefficienze delle Partecipazioni statali oggi demonizzate. Vi sentite veramente senza macchia?

"Non nego le responsabilità del passato. Né dico che i privati hanno sempre avuto la ragione dalla loro. Ma io devo occuparmi dei problemi di oggi. Le imprese hanno assimilato la logica della globalizzazione hanno capito che o imparano a competere, o per loro è finita. E se ci guardiamo intorno cosa vediamo? Da un lato i grandi discorsi sulla necessità di creare nuova occupazione, dall'altra le imprese che fanno fatica a resistere davanti alle offerte più vantaggiose per la costruzione di nuovi impianti che arrivano dagli altri Paesi. E non parliamo più della Cina o del Sudamerica posti dove la manodopera costa poco. No, qui ci chiedono di andare in Francia, in Austria. Ma lo sa che sono sette anni che non si registra un investimento rilevante di una multinazionale in Italia?

Colpa dei sindacati?

"No, guardi, non attiriamo imprese nonostante i nostri lavoratori siano mediamente migliori. La verità è che i problemi sono tutti esterni ai cancelli della fabbrica: dai servizi alle infrastrutture, al fisco, al credito. In questa fase in azienda grossi contrasti non ce ne sono. Vede, ci hanno accusato di non essere classe dirigente responsabile. Invece noi lo siamo tanto che stiamo lavorando all'elaborazione di un progettoPaese per affrontare il 2000"

Cos'è, il ritorno ad un'ottica da super ufficio studi dopo le invettive ad un governo dipinto come sul punto di essere spazzato via?

"No, significa che contribuiamo responsabilmente al dibattito sul futuro di questo Paese con un progetto che, una volta riformato lo Stato sociale, ci consenta di crescere insieme al resto dell'Europa. Ma al tempo stesso vogliamo anche essere di più sindacato di categoria. E quindi alziamo la voce se, come è successo negli ultimi mesi, ad una situazione congiunturale difficile ovunque, si somma una manovra economica straordinaria che va a pesare in gran parte proprio sul sistema produttivo e che per giunta non riduce la spesa pubblica".

Delusi dal governo dell'Ulivo? Cala la libertà d'impresa?

"Non è un problema di Ulivo. Per troppi anni in questo Paese c'è stata scarsa attenzione per i problemi delle aziende, come se non fossero poi loro a creare e distribuire ricchezza. E chi gira il mondo vede che all'estero le imprese vengono difese molto meglio".

Parliamo di Stato sociale. Bertinotti da Lisbona ha imposto un altro stop alla riforma. Se, come dice lei, l'opinione pubblica è pronta, il leader di Rifondazione non se n'è accorto. Pensa che cederà?

"Il problema non è soltanto Bertinotti che peraltro fa il suo mestiere e lo fa con chiarezza. Il problema è chi nella maggioranza usa Bertinotti come un paravento dietro il quale nascondersi. Al leader di Rifondazione semmai rimprovero di presentare la Confindustria come l'organismo che vuole smantellare lo Stato sociale. Al contrario noi siamo convinti che il welfare è una conquista preziosa che va salvaguardata. Ma per far questo il sistema va riformato. Non c'è più tempo per mediazioni. Perché ormai il suo peso è insostenibile, ma anche perché al suo interno ci sono grosse iniquità. Pensi solo che ai veri bisognosi attualmente vanno 30 mila miliardi cioè il 3% appena di quel milione di miliardi che lo Stato spende ogni anno". Marini, leader dei popolari, propone un contributo di solidarietà, da porre a carico dei più agiati.

"Confindustria è convinta che le iniquità vadano corrette guardando al futuro. Non tocchiamo chi è già in pensione".

Su questo la pensate come i sindacati. Eppure dalla riforma Dini del '95 la Confindustria ruppe e non firmò l'accordo i rapporti sulle riforme sono tempestosi. Tanto che il metodo della concertazione è stato rimesso in discussione.

"Va rivisto, ma in questo non c'è nulla di drammatico. Ad esempio riteniamo, così come una parte del sindacato che, se concertazione deve esserci sul nuovo Stato sociale, il governo deve venire con una proposta dell'intera maggioranza. Altrimenti non ci sediamo nemmeno al tavolo della trattativa. Non è che negoziamo un accordo per poi farlo inghiottire dal gioco al ribasso bertinottiano. Ma sia chiaro: la concertazione si fa a tre e non a due come invece è già successo a volte in passato e come ha sostenuto ieri D'Alema, parlando di un'intesa governosindacati".

La sua analisi mi sembra comunque più fiduciosa rispetto al recente passato. Ora è ottimista sull'Europa? E se entriamo, avremo un dividendo fiscale come pensa Andreatta?

"Non so se riusciremo ad entrare. So che dobbiamo fare di tutto per entrare. Ma dopo non si schiuderanno le verdi valli immaginate da qualcuno. Bisognerà lavorare duramente per restarci, in Europa. E per far sì che l'Europa, che non è più leader in nessun settore, recuperi terreno sull'America e sull'Estremo Oriente, le due aree che l'hanno sopravanzata".

Per entrare in Europa serve anche denaro meno caro. Prodi si vanta di aver ottenuto già buoni risultati, ma la Banca d'Italia non molla e, nonostante l'inflazione all'l,5%, il tasso di sconto resta molto elevato. In passato gli industriali hanno chiesto a gran voce un suo taglio. Lei in assemblea invece ha taciuto. Perché? "Purtroppo su questo punto Prodi sbaglia. Per noi il costo reale del denaro è salito, non calato: il tasso di sconto è sceso meno dell'inflazione. Certo, nel frattempo i tassi a lungo termine sono diminuiti di più, ma i problemi delle imprese sono essenzialmente quelli legati ai finanziamenti a breve. Ci vorrebbe più coraggio, ma comprendo le perplessità del Governatore. Bisogna convincerlo. Con i fatti, non con le esortazioni.

 
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