ALTRO CHE ABUSO, PERDEREMO IL DIRITTO AI REFERENDUM PERCHÉ LI USIAMO POCO
Di Iuri Maria Prado
E' frequente la denuncia secondo cui, in Italia, si farebbe eccessivo ricorso alla consultazione referendaria. In realtà l'istituto del referendum popolare è rimasto inapplicato per molto tempo, mentre, da che si iniziò a usarne a oggi, gli esperimenti compiuti di referendum non sommano che a qualche decina. Questa la ferma evidenza dei fatti, contro cui quella denuncia si spiega per quel che è: un pregiudizio non già verso l' "abuso" inesistente ma direttamente verso l'uso, la possibilità stessa dell'uso, di questo strumento di modificazione legislativa. Per non dire di come quella denuncia risulti ancora bizzarra in un paese le cui leggi sono centinaia di migliaia, e dove quindi confusione è semmai indotta dalla pratica del legislatore di produrne troppe, di leggi, piuttosto che dalla possibilità dei cittadini di abrogarne. E questa della "confusione", che il presunto eccesso di referendum determinerebbe, è un'altra pretesa caratteristica nociva e vista la quale il ricorso all'istituto dovrebbe essere li
mitato (ma dire "eliminato" è anche meglio e più aderente). Sennonché la "confusione", semmai c'è, non viene dal referendum né dall'uso che se ne fa, ma dal fatto che le campagne referendarie sono sistematicamente boicottate: si lamenta il pericolo che il cittadino non sappia, non capisca, e si ripara al pericolo non facendogli sapere e impedendogli di capire. La verità è che il quesito di un referendum popolare può essere emesso se e quando ricorrono precise premesse. E il referendum ha precisi effetti una volta che sia tenuto. Ma così quelle premesse come quegli effetti sono stati resi nel tempo imprecisi e contraddittori, sia per la confusione indotta da un'informazione insufficiente o fuorviante, sia a causa di una giurisprudenza costituzionale arbitraria e accidentale, e impegnata non a chiarire ma a rendere del tutto impalpabili e incerti i criteri di ammissibilità dei quesiti. E confusione, infine, induce la pratica costante con cui il legislatore non solo dà seguito agli esiti del referendum, ma senz
'altro li nega e li viola lasciandoli lettera morta, o predisponendo leggi di segno contrario. Un simile tenore di pratica illegalità, promanante dagli stessi lombi della teorica legalità, è tale da giustificare, in un paese dotato di una sensibilità civile e istituzionale appena mediocre, la ribellione dei cittadini. Eppure ribellione non c'è, e appunto perché non è l'Italia un paese dotato di quella sensibilità. Si tratta, qui, della compressione di diritti politici, i quali non sono che un atteggiamento più preciso di un più generale diritto: il diritto di opinione. Il cui sacrificio non necessariamente provoca ribellione, poiché, banalmente, si avverte una violazione del proprio diritto di opinione quando si è in grado di averne e farsene una. Si capisce che un diritto è conculcato, quando di tale diritto si è, si sa di essere, titolari, e quando si è abituati a esercitarlo. E non è così per i diritti politici e civili, in Italia, e particolarmente in relazione al diritto di voto referendario. Che valore
dunque assume, in questa situazione il voto per i referendum del 15 giugno? In una temperie normale e di diritto, quale non è in Italia, non si tratterebbe che di valutare l'oggetto dei quesiti e votare "si o "no" secondo il proprio criterio. Ma appunto i referendum, e dunque anche questi prossimi, rischiano di ridursi a ciò che la reazione antireferendaria e dunque conservatrice desidererebbe, e ormai quasi dichiara: una "semplice indicazione'', della quale poi sia ancor più facile non tener conto. Si è cioè prossimi alla stessa distruzione non certo per abuso ma per desuetudine dell'istituto referendario. A quest'operazione è giusto e doveroso opporre, prima che una valanga di voti positivi, una massiccia affluenza alle urne, pericolo che il governo ha tentato di scongiurare allontanando il più possibile e fino all'ultimo il giorno utile la data delle votazioni. Votare, e votare per le abrogazioni proposte, significherà quindi due cose: non solo esercitare un diritto, ma rivendicare di poterlo esercitar
e contro chi, dalle istituzioni legalmente, intende negarlo.