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Segreteria Rinascimento - 26 maggio 1997
Da "Il Sole 24 Ore" del 26 giugno 1997 - pag. 6

VINCOLI E TIMIDE NOVITA NEI "NUOVI" REFERENDUM

Di Gianfranco Fabi

L'iniziativa privata entrerà, per la prima volta (pur se molto timidamente), anche nel processo di formazione della legge. Nell'esaminare le modifiche alle norme istituzionali sul referendum infatti la Commissione Bicamerale non solo ha posto alcuni importanti limiti alle iniziative popolari, ma ha introdotto una pur limitata, parziale, condizionata possibilità di arrivare a far approvare direttamente dal popolo una proposta legislativa. Già l'attuale Costituzione (art. 71) in verità, afferma che "il polo esercita l'iniziativa delle leggi mediante la proposta di almeno cinquecentomila elettori di un progetto redatto in articoli", ma senza impegnare in alcun modo il Parlamento a dare un seguito concreto alle proposte. Ora con le norme rivedute e corrette dalla Bicamerale, oltre ad innalzare ad 800mila il numero delle firme necessarie sia per i referendum abrogativi, sia per le iniziative legislative, si introduce la novità del referendum sulle iniziative popolari nel caso in cui il Parlamento non le abbia a

pprovate o bocciate entro 18 mesi dalla presentazione. In questa prospettiva i due elementi - impegno del Parlamento ed eventuale referendum appaiono novità importanti in un processo che miri a ristabilire un rapporto di costruttiva fiducia tra i cittadini e le istituzioni. Nel campo per avvicinare la democrazia formale alla democrazia sostanziale, per affiancare alla democrazia dei diritti e delle garanzie l'obiettivo fondamentale della partecipazione, la democrazia diretta può diventare un importante punto di equilibrio anche per compensare le inevitabili (anche se necessarie) distorsioni del sistema maggioritario. Anche le modifiche proposte

per le iniziative referendarie possono essere giudicate nella stessa prospettiva: pur rendendo oggettivamente più limitato e difficile il ricorso ai referendum l'obiettivo

di fondo appare comunque quello di ridare valore ad uno strumento che un'inflazione di iniziative rischiava di svalutare (come di fatto è avvenuto il 15 giugno).

L'aumento del numero delle firme (da 500 a 800mila) è, almeno in parte, un adeguamento alla crescita del corpo elettorale negli ultimi cinquant'anni; la fissazione per legge di un numero massimo di quesiti è un vincolo a concentrare l'attenzione sui temi più importanti; l'obbligo per la Consulta a pronunciarsi sull'ammissibilità dopo la raccolta di 100mila firme mira ad evitare che gli sforzi dei promotori vengano vanificati solo in ultima istanza. Sono certamente comprensibili le proteste di Marco Pannella, ma appare probabilmente eccessivo (anche se fa parte della dialettica politica) parlare di "liquidazione" del referendum. In fondo chi si apprestava a raccogliere 17 milioni e 500 mila firme (500mila per ognuno dei 35 referendum promessi) con la stessa quota potrà presentarne comunque 21. E non sono pochi.

In questa linea tuttavia ci si poteva forse attendere che la Bicamerale si chinasse anche sul problema del quorum, su quella metà più uno di elettori che sarà ancora necessaria (se il Parlamento non interverrà per modificare questo punto) per rendere valide le consultazioni referendarie. In una democrazia matura il "non voto" dovrebbe essere considerato semplicemente una delega a chi vota perché si affermi comunque la maggioranza. Il "numero legale", che deve certamente valere per le assemblee rappresentative, può diventare un pericoloso ostacolo nelle forme di democrazia diretta. L'abolizione, o un drastico ridimensionamento del quorum avrebbe inoltre almeno in parte compensato l'aggravio dell'innalzamento del numero delle firme.

 
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