SE PANNELLA NON VA NELLA PIAZZA ELETTRONICA
Di Paolo Pillitteri
Prima ancora della "piazza elettronica". che deve soprattutto a Santoro (Samarcanda, Il Rosso e il nero ecc ) la sua denominazione a origine controllata, c'era la piazza. La piazza intesa come luogo della politica, dell'assembramento massificato e ideologizzato, il sito prediletto dello scontro/trionfo. Così la intese il fascismo di Mussolini che ne teorizzò le tre fasi fondamentali, i tre passaggi cruciali e, come si diceva allora, immarcescibili (come i destini). Il primo passaggio prevedeva nella piazza lo scontro aperto, nel secondo l'azzeramento plebiscitario nelle adunate oceaniche. Sul Popolo d'Italia O. Dinale che si firmava Farinata, scriveva: "Tutta la penisola è un campo di battaglia, di manipoli che travolgono, di folle che fuggono o defezionano. Dalla piazza si parte per combattere, alla piazza si ritorna nel fremito della vittoria". Al di là del linguaggio immaginifico ma datato, c'è in questa scansione del ritmo marinettiano, un ritratto veritiero, mosso, filmico di una parte della nostra stor
ia, dal "diciannovesimo" agli anni del consenso mussoliniano che posseggono, forse solo in superficie (ma non è detto) non poche somiglianze con l'ultimo quinquennio. Ovviamente con una sostanziale differenza, anzi due: che la piazza (la gente) si è svuotata ed è entrata nel tubo catodico divenendo elettronica ma pur sempre secondo la sequenza "futurista", salvo l'ultima parte che riguarda il "fremito della vittoria". Ed è questa seconda differenza che non ha previsto Michele Santoro, l'inventore di una "penisola (televisiva) campo di battaglia" cui si affiancarono il Lerner di "Milano Italia" e via via tutti gli altri, da Funari a Ferrara, ma senza che costoro avessero il quadro di riferimento, cioè la piazza, privilegiato dal primo. Il quale, in una intervista al "Corriere della Sera" lascia chiaramente intendere quella sua mancata previsione là dove rimprovera ai nuovi leaders, come D'Alema, Veltroni, Berlusconi, Prodi di non aver più voluto partecipare al suo Moby Dick, proprio loro che devono molto, mo
ltissimo dei loro exploit politici alla sua piazza elettronica; quella, per intenderci, che diede voci, urla e, soprattutto, spettacolarizzazione politica, alla declinante e "degenerata" partitocrazia. Santoro aggiunge con un riferimento a Craxi: "Non tutti lor signori hanno dimostrato di avere la sua stessa capacità di raggiungere un peso politico..." tanto più consistente, concludiamo noi. quanto meno "gonfiato" dall'apparato mediatico che, allora, non era funzionale alla leadership, al capo, quanto piuttosto ai partiti i quali erano, appunto. ' gli azionisti di riferimento'' per dirla con un ottimo professionista come Bruno Vespa. Ora, è del tutto evidente che un giornalista conduttore come Santoro, è stato in grado, in un preciso momento della nostra recente storia, di dare vita, spessore, voce e importanza ad una "cosa", la gente/la piazza, trasformandola in un aggressivo soggetto politico, estremizzandone e polarizzandone le opzioni e orientandola verso i leaders emergenti che insieme a lui cavalcavano
la tigre di carta della sfibrata e impresentabile partitocrazia. Un personaggio come Fini non ricorderà probabilmente il Farinata del "Popolo d'Italia" dopo il bagno purificatore di Fiuggi, ma è assai grato al suo "successore" Santoro per lo spazio e la simpatia concessagli a Il Rosso e il Nero e a Samarcanda. Altri invece, come D'Alema, Veltroni, Prodi e lo stesso Berlusconi, nessuna gratitudine hanno per lui se è vero come è vero che non sono andati a Moby Dick (ma Berlusconi gli ha dato "Italia 1" in prima serata, che non sono bruscolini...). Dove sta l'errore, l'equivoco nel ragionamento di Santoro, che il presidente Rai Siciliano liquido con un "Michele chi?". Sta nel suo punto di vista, nella programmaticità missionaria di un giornalismo televisivo di levatura professionale eccellente in cui quest'ultimo non si esaurisce nella soddisfazione di un prodotto più che dignitoso ma nella sua militanza che non può non funzionalizzarsi alla politica e ai suoi leaders. I quali, una volta raggiunto l'obbiettiv
o il governo, il potere ecc. anche grazie alla piazza catodica eccitata da Samarcanda, hanno tutto l'interesse a svuotarla, a sopirla e lenirla, come diceva l'immortale Conte Zio, e, se del caso, a spegnerla. Meglio allora, la lezioncina a Montecitorio, senza i Giovani Holden, senza i Jack Frusciante, con tutti i ragazzi ben vestiti, ben pettinati e talmente preparati da aver concordato domande e risposte in uno spettacolo di ordine e di perbenismo formale che la dice lunga sui progetti di normalità e normalizzazione cosi cari al pedagogismo di una certa sinistra al potere. Ora, a noi verrebbe la voglia di chiedere a Santoro: ma chi te l'ha fatto fare, di "inventare" (esageriamo, ma non troppo) degli eroi, dei leaders o leaderini che poi ti hanno snobbato? Facendo, loro, pure male, perchè le ultime due puntate di Moby Dick sono state di un livello pregevole. No, quello che invece vogliamo chiedere a Santoro ma anche a Lerner e all'Annunziata e a Vespa e a chissà quanti, è: per quale motivo, per quale oscur
a ragione, per quale lapsus freudiano non è stato fatto dei referendum di Marco Pannella la piazza elettronica, il talk show vespiano, il nervoso Pinocchio che ne rilevasse l'importanza civile e politica, la forza d'urto di autentica democrazia diretta, il peso politico di scelta decisiva sul campo così poco sfruttato e amato dai principii liberali e riformatori, con quegli argomenti cruciali per lo sviluppo del troppo gracile corpo delle libertà individuali ed economiche, dal giornalismo ai giudici alla golden share (privatizzazioni), alla caccia all'obiezione di coscienza? Abbiamo invano aspettato che un Santoro o un Lerner facessero di Pannella se non l'eroe mediatico referendario, almeno il protagonista di una battaglia non meno importante della secessione, della Bicamerale, dell'Albania. Una battaglia che rischia di far mettere una pietra tombale (mancanza del quorum) sopra quella risorsa preziosa e insostituibile che è il potere di scelta del cittadino sui temi di fondo altrimenti non risolti, sempre r
inviati e, a volte, traditi e stravolti alla faccia dei referendum svolti e vinti, come quello sul finanziamento pubblico ai partiti. Se pesa ed è di eccezionale gravità l'infimo spazio octroyè dalla Rai, non è meno sconfortante l'alzata di spalle dei soliti noti.