LIBERISMO DI DOMANI. TUTTI LO VOGLIONO E TUTTI LO CERCANO. MA ANCORA NON SI TROVA
Seconda giornata del convegno di Napoli
Napoli. Una quindicina di ore di dibattito, fino al tardo pomeriggio, non sembrano essere riuscite a sciogliere del tutto il nodo: che cosa è davvero il liberalismo, quali sono gli orientamenti politici che lo definiscono, e che caratteristiche dovrà avere nella sfida della globalizzazione? Inutile prendersela con il mega convegno organizzato da "liberal". Se la affascinante riflessione condotta da ospiti illustri (solo ieri Amato, Abete, Tremonti, Vacca, Scalfari, Panebianco, Martinazzoli, Claudia Mancina Fisichella per citare i più noti), stenta ad individuare un modello di liberalismo condiviso da tutti o da molti e valido per le sfide del duemila, la "colpa" sembra essere nell'oggetto stesso. Tutti, anche con qualche comicità involontaria, si dicono liberali, tutti iscrivono nel liberalismo l'orizzonte della società futura che voglia essere ricca e civile, ma di fronte ai nodi concreti, il rapporto col mercato, la globalizzazione, i diritti degli esclusi, l'eguaglianza delle posizioni di partenza dei sog
getti, l'oggetto sfugge e assume la valenza di un passpartout, che cambia forma a seconda dell'angolo visuale. Basta assistere al duetto tra Eugenio Scaltari e il professor Cofrancesco. Si è partiti con l'ammettere l'esistenza di un liberalismo di sinistra e uno di destra, si è finito per scoprire che uno, (l'ex direttore di Repubblica) veniva considerato dall'altro un giacobino (anche per l'insistenza sul problema del conflitto d'interessi), mentre l'altro veniva definito da Scalfari "un liberale di estrema destra". A ben vedere la differenziazione è emersa anche tra le posizioni di Galli della Loggia e di Angelo Panebianco, due dei relatori del convegno. Tanto il primo, l'altro ieri, aveva insistito sulla necessità di mantenere il primato della politica di fronte alla sfide del mercato e della globalizzazione, tanto il secondo ha sottolineato l'incrollabile fiducia nelle virtù del mercato, base "naturale" della società aperta e meccanismo "naturale" in grado di produrre automaticamente ricchezza e opportun
ità di redistribuzione. Se in merito ha il convegno è dunque quello di aver fatto emergere con nettezza anche insospettabile il grado di paura e di diffidenza che della piena libertà di mercato hanno persone pure tutte iscritte nell'orizzonte del liberalismo Scalfari, ad esempio, non appare per nulla convinto delle virtù automatiche del mercato, protesta la necessità del primato della politica e della prevalenza, in caso di conflitto, dell'interesse generale su quello individuale. Mino Martinazzoli considera il mercato un puro prodotto della storia e quindi tutt'altro che "naturale", e vede tanta voglia di rivincita sulla politica, col rischio che se prima ce n'era troppa adesso si intravede il nulla. Intatti ammonisce: attenzione è illusorio, per il capitalismo europeo, abbattere quel compromesso tra liberalismo e democrazia che è rappresentato dallo stato sociale. Il più spregiudicato, in questa analisi del rapporto mercatogiustizia, è stato in tondo Giuliano Amato, uno dei relatori del convegno e protagon
ista di un intervento molto applaudito dalla per la verità non molto tolta platea. Il presidente dell'Antitrust ha ricordato come il tema dell'uguaglianza abbia storicamente angosciato sempre sia i liberali americani sia i marxisti europei. L'analisi e gli interrogativi erano comuni, le risposte furono molto diverse, per ragioni storiche e geografiche. Non è un caso che lo statalismo ha attecchitto solo, sia pure con grandi differenze tra le varie esperienze, in Europa e non è un caso che nel vecchio continente si annidi ancora una certa paura e una certa diffidenza per il mercato e i meccanismi del capitalismo. E un retaggio del comunismo, ma anche della socialdemocrazia, ricorda, l'idea "che nell'economia di mercato ci sia un virus. Attenti a non ripercorrere gli errori del passato, ammonisce Amato perché oggi non sarebbero più giustificabili. La storia ci insegna che l'economia di mercato ha dato ricchezza e possibilità di redistribuzione ma la globalizazione e l'inevitabile crescita di nuove disuguaglian
ze potrà riprodurre ideologie antimercato. In fondo cosa vogliono dire le ultime elezioni in Gran Bretagna e Francia se non che l'Europa chiede ai partiti una "difesa" dal mercato? Se questa e la realtà, secondo Amato, il rischio più grande sarebbe quella di dare risposte "istituzionali" a questa diffidenza. Ci sono, afferma gli strumenti e i poteri di bilanciamento la cominciare dall'antitrust per regolare il mercato globale senza scavalcare quel limite, esiziale, che riporterebbe al dominio del pubblico sul privato. Insomma, il problema, per il liberale e il socialista è di rispettarsi a vicenda ma anche di capirsi. "Non sono sicuro che siano ancora riusciti a capirsi a vicenda., è la conclusione. In fondo, in sintonia col senso del convegno. Oggi saranno di scena i protagonisti della politica da Silvio Berlusconi (anche se la sua presenza non è confermata) all'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, a Marco Pannella, i filosofi Colletti, Bodei e i cardinali Ruini .