(risposta all'articolo di Curzio Maltese su "La Repubblica" del 13 giugno 1997)PANNELLA NON E' UN FANTASMA
DA' ANCORA FASTIDIO AL REGIME
Di Dino Cofrancesco
Ci vuole una bella faccia tosta per definire Pannella "l'unico sopravvissuto al crollo della Prima Repubblica". Con una Dc risorta dalle sue ceneri in quattro diverse versioni - ciascuna delle quali sta imponendo al polo di appartenenza il ritorno alla proporzionale ; con un governo di sinistracentro che, quanto a ceffi (belli o brutti che siano), mal si distingue dalle vecchie compagnie di centrosinistra; con i vertici dello Stato che come le 'Troiane' di Euripide, piangono notte e dì sulla fine dei bei tempi, quando a Piazza del Gesù si decideva tutto e per tutti; presentare, come stanno facendo certi autorevoli quotidiani, il 'leader' radicale alla stregua di un 'fantasma' che si aggira sulle rovine del mondo di ieri significa aver perso ogni senso di decenza e di professionalità. Sono posizioni di questo tipo che ingenerano il sospetto di un 'regime' che, ancor prima che nelle istituzioni, s'insidia nelle menti corrompendo (irreparabilmente) il senso della realtà.
Nelle società civili i 'fatti' sono 'fatti' e i 'valori' sono 'valori'. Su questi ultimi si può essere spesso in disaccordo - ed è bene che ciò avvenga - giacché la bontà di una legge, di un atto amministrativo, di una decisione politica non è un dato di natura. Nella storia provvedimenti che sembravano buoni hanno avuto conseguenze impreviste e non desiderate mentre azioni fortemente problematiche hanno prodotto ricadute positive sul piano dei rapporti sociali.
Tornando a Pannella, lo strumento del referendum 'abrogativo' può bene essere criticato - quanto ai tempi, ai modi, ai contenuti - ma significa 'alterare' la realtà negargli il carattere di rottura nei confronti di un sistema politico tetragono a ogni serio cambiamento istituzionale. Qualcuno ha scritto, con candido cinismo, che se anche gli elettori decidessero di abolire il Ministero delle Risorse agricole la seconda volta, se lo ritroverebbero "con un terzo nome al prossimo giro referendario". Ma se i pronunciamenti del popolo sovrano fossero tenuti in così scarsa considerazione, saremmo tenuti, come cittadini coscienti e responsabili, a fare del guevarismo non violento: "Uno, cento, mille referendum!", in un continuo braccio di ferro con governi sempre più simili a 'regimi' oppure dovremmo rassegnarci a lasciare la politica nelle mani dei professionisti di sempre, rendendo il loro compito di sensali e mediatori assai più agevole col ripristino della proporzionale?
Non tutti i referendum proposti in passato dai radicali hanno corrisposto a valori condivisi - a cominciare forse, da quello sulle droghe leggere - ma si può negare che, in ogni caso, chiamare i cittadini a riflettere su questioni che non sempre hanno un significato drammatico e lacerante per la tenuta della democrazia ma che rappresentano un esercizio di responsabilità civile, significa contribuire a una più elevata etica pubblica? E d'altronde è proprio così irrilevante far valere il divieto di accesso sulla mia proprietà privata a ragionieri e commendatori armati di doppietta che cacceranno dai mie alberi, dalle mie siepi, dalle mie colline innocui animali che ho deciso di ospitare? E non ha alcuna conseguenza, sul piano dei rapporti corretti non solo tra poteri dello Stato ma altresì fra cittadini e l'amministrazione, riformare le carriere dei magistrati o prendere posizione sui loro incarichi extragiudiziari? Esistono altri Stati europei che affidano a giovanotti inesperti, freschi vincitori di concors
o, i processi più difficili e che a quegli stessi giovanotti garantiscono un 'cursus honorum' automatico, che neppure i vituperati docenti universitari, bramosi di 'ope legis', oserebbero sperare?
Il fatto è che Pannella andava bene quando, con le sue iniziative referendarie, colpiva soltanto a destra, scompaginando il sonnacchioso e vile popolo 'moderato'. Il referendum, allora, veniva percepito come uno strumento (trasversale) per innescare "equilibri più avanzati", una sorta di pugno nello stomaco dell'eterno borghese che lo avrebbe risvegliato, per così dire, alla modernità. Quando si è scoperto che il più grande istrione della politica italiana faceva sul serio, che a lui i 'modi' e le 'procedure' della democrazia liberale interessavano di più dell'accesso delle masse proletarie alla "stanza dei bottoni", di colpo è diventato "il fantasma di se stesso". Sennonché la fortuna del Paese è l'acquisita allergia agli unanimismi. Come dimostrano le prese di posizione del pidiessino Vannino Chiti, l'autorevole presidente della Regione Toscana, o del leghista Gianfranco Miglio, per fare questi soli due esempi, vi è ancora gente che si preoccupa delle 'regole' e della necessità di non svuotare, con l'aste
nsione, uno dei più efficaci - almeno sul piano simbolico - strumenti di pressione sulla classe politica che siano rimasti nelle mani dei cittadini. Se perdiamo anche questo, non ci resta che 'l'andiamo tutti al mare' di Bettino Craxi, con buona pace dei finti nemici dell'esule di Hammamet.