VIOLANTE: HANNO ESAGERATO IL CRACK ORMAI ERA INEVITABILE
Il presidente della Camera: "Ora bisogna evitare che il referendum avvizzisca"
Di Federico Geremicca
ROMA - "E adesso bisogna evitare che questo decisivo strumento di democrazia diretta avvizzisca e muoia...". Luciano Violante lo dice con tono realmente preoccupato, mentre sono le tre del pomeriggio, la capitale è stretta da un caldo ferragostano e l'intera mattinata è stata un rosario di commenti intorno al tragico flop dei referendum voluti da Pannella. Il presidente della Camera non drammatizza il mancato raggiungimento del quorum, in questa occasione: è piuttosto il futuro dell'istituto referendario che un po' lo allarma. "Bisogna rivedere qualcosa dice In giurisprudenza c'è una teoria sull'abuso del diritto: quando si esagera, quando se ne abusa appunto prima o poi il diritto stesso fa crack".
Signor presidente, è rimasto sorpreso dalla bassissima percentuale dei votanti? "Intanto, credo che occorra esaminare i dati dell'affluenza area per area. Le percentuali registrate, infatti, sono diverse. Così, per esempio, si scopre che la più bassa è quella della Calabria, e la più alta quella raggiunta in Veneto. Dunque, mi pare si possa dire che dove in questo momento è più forte la protesta verso lo Stato centrale, tanto più alta è stata in questa occasione l'affluenza alle urne".
Il che dimostrerebbe che l'istituto del referendum è ormai utilizzato dai cittadini in maniera del tutto distorta rispetto alle originarie finalità, non le pare?
"Lo spirito del referendum non dovrebbe esser questo, è vero. Ma osservo che il taglio dato alla campagna referendaria dai promotori, stavolta è stato proprio questo: per sintetizzare, una protesta contro gli istituti della democrazia rappresentativa". Com'era prevedibile, su Pannella adesso piovono accuse di ogni tipo per l'utilizzo che fa dei referendum. Come giudica le iniziative del leader radicale?
"Non sta a me esprimere giudizi su Marco Pannella. E' noto a tutti che spesso e su questioni importanti siamo stati schierati su fronti opposti, ma riconosco che in alcuni momenti ha svolto un ruolo di modernizzatore. Non posso dimenticare che è stato lui l'animatore della difesa della legge sul divorzio, per esempio. Certo, quando poi si perde, ognuno è pronto a dare addosso allo sconfitto. E' uno sport che non mi piace, come l'altro di salire sul carro del vincitore".
Esiste ancora, secondo lei, un nesso tra scarsa produttività del Parlamento e uso del referendum?
"Ancora qualche giorno fa, un quotidiano solitamente documentato come Il Sole 24 ore tracciava un bilancio soddisfacente del primo anno di lavoro del Parlamento, anche in riferimento ai provvedimenti approvati. Io, naturalmente, sento i limiti e i difetti che ancora caratterizzano il nostro modo di lavorare, perché il problema non è solo quantitativo cioè il numero di leggi che la Camera riesce a licenziare ma anche qualitativo, e in questo senso stiamo operando per la riforma del regolamento. In ogni caso, credo che i referendum abbiano da tempo origini e finalità che poco c'entrano con la produzione legislativa del Parlamento".
Molti sostengono che si tratti, ormai, di veri e propri strumenti di lotta politica. Lei è d'accordo?
"Io vorrei riferirmi a due funzioni che ormai caratterizzano l'uso del referendum. La prima è di vera e propria surrogazione del lavoro parlamentare; la seconda è di determinazione dell'agenda politica del Paese. E' come se i promotori dicessero: "Voi avete fissato queste priorità nel vostro lavoro? Bene, noi invece vi diciamo che le priorità sono altre, e precisamente queste"... Ora si può discutere quanto si vuole intorno al fatto che il referendum non era nato con queste finalità: io mi limito ad osservare che gli istituti cambiano, e che nella cosiddetta costituzione materiale il referendum non è più uno strumento per integrare le scelte del governo e del Parlamento, è diventato un mezzo di protesta contro i governi e contro "la politica" più in generale".
E proprio questo, secondo alcuni, finirà per uccidere definitivamente l'istituto referendario. Crede anche lei che ci sia questo rischio?
"Il rischio esiste, e non solo per le ragioni indicate prima. C'è anche un altro problema. L'esperienza ci ha insegnato e quest'ultima consultazione lo conferma che quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi su questioni apparentemente minori, finiscono per non andare a votare a differenza di quanto è accaduto di fronte a quesiti su grandi temi. In più, non so se gli elettori non abbiano colto, stavolta, un elemento di scontro squisitamente politico di fronte al quale hanno pensato "ma se è una guerra tra voi, allora vedetevela voi". Io credo che sia stato sconfitto, in realtà, chi nel fronte referendario ha tentato di utilizzare il referendum contro il Parlamento. Ma questo non ci solleva dal dovere di affrontare le questioni che erano sottoposte al voto. Solo così potremo dimostrare il primato della democrazia rappresentativa".
Ora si insiste sulla necessità di una modifica della legge che regola i referendum: immagino lei sia d'accordo...
"Se ne sta discutendo in Commissione bicamerale, ed ogni mio intervento rappresenterebbe uno sconfinamento... C'è un punto, però, che mi interessa mettere in rilievo: se chiamiamo i cittadini a firmare per dei referendum, dobbiamo farlo su un quesito per il quale ci sia la certezza del voto. Mi pare che non si possa andare avanti facendo raccogliere firme per poi scoprire che la Consulta, applicando la Costituzione, giudica uno o più referendum inammissibili".
Anche lei, dunque, crede che sia preferibile che la Corte esprima il suo giudizio di costituzionalità prima della raccolta delle firme?
"Del tutto prima direi di no: anche perché vedo il rischio di una Corte Costituzionale sommersa da richieste di referendum avanzate da singoli cittadini. Il giudizio, forse, potrebbe esser espresso ad un certo punto della raccolta delle firme, stabilendo una soglia minima".
Non crede che tra grappoli di referendum, richieste di Assemblee costituenti, progetti per l'elezione diretta del presidente della Repubblica e convegni come quello di Castellanza, la tendenza allo scavalcamento dei partiti, diciamo così, quella che alcuni chiamano "deriva plebiscitaria", si stia facendo sempre più forte?
"Democrazia diretta e deriva plebiscitaria sono cose distinte, anche se l'abuso della prima può far scivolare verso la seconda. Una democrazia rappresentativa deve sempre essere capace di mettersi in discussione e di competere, anche con tendenze come quelle di cui mi chiede. Detto questo, non mi pare che l'abuso di referendum e convegni come quello di Castellanza possano esser messi in relazione. Mi pare che il confronto lì svoltosi abbia segnato un avvicinamento delle posizioni tra maggioranza e opposizione intorno alla questione della stabilità politica, problema centrale per il nostro Paese".
Un'ultima domanda: c'è stata qualche polemica intorno al modo in cui i mezzi d'informazione hanno seguito la campagna dei referendum. Qual' è la sua opinione?
"Certo, si può sempre informare di più e meglio. Ma non mi pare sia attribuibile a scarsa informazione il mancato raggiungimento del quorum. Poi, non possiamo invocare la libertà di stampa solo quando ci conviene. Autorevoli commentatori hanno espresso la loro opinione; qualcuno ha spiegato le ragioni dell'astensione, qualcun altro ha difeso le ragioni del sì oppure del no; l'Unità ha addirittura assunto una posizione dissonante rispetto a quella del Pds. No, stavolta non mi pare che vi siano obiezioni da avanzare...".