QUANDO I COLPI DI SPUGNA SONO TROPPI
Tra i malintesi e interpretazioni si riaccende la discussione sul finanziamento a partiti e uomini politici. I contributi restano possibili solo se trasparenti.
Ha ragione l'onorevole Giovanardi, firmatario di uno degli emendamenti di depenalizzazione del finanziamento illecito di partiti e uomini politici, a lamentarsi con chi lo ha accusato di voler cancellare i più gravi reati di Tangentopoli. In effetti. questo interrale colpo di spugna non è contenuto nel suo emendamento, ma piuttosto in quello firmato da alcuni suoi alleati del Polo delle libertà. Tuttavia, non è vero come egli sostiene su Repubblica del 12 giugno che il solo emendamento riguardi "solo irregolarità formali del finanziamento ai partiti ". A prescindere dalle buone intenzioni, è assolutamente certo che il reato di cui il deputato del Ccd propone la depenalizzazione è il "finanziamento illecito", punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni dall'art. 7 della legge numero 195 del 1974. Nè è vero che una legge del 1993 (quella che disciplina organicamente le campagne elettorali) abbia già depenalizzato questo reato "per i candidati alle elezioni". Questa tesi, in verità, non è isolata, ess
endo sorprendentemente condivisa da autorevoli esponenti politici (anche dello schieramento di sinistra) e da illustri principi del foro. Per comprendere il problema può giovare un'osservazione preliminare. In Italia il finanziamento privato a partiti e uomini politici è del tutto lecito, anche in misura illimitata (salvo i contributi per le spese elettorali, che non possono superare un certo tetto). Ma perchè sia lecito, il finanziamento deve essere trasparente. E questa trasparenza è tutelata a due livelli. A livello penale, con la pena della reclusione comminata a chi fornisce o riceve finanziamenti provenienti da società industriali o commerciali. nel caso in cui le elargizioni non siano deliberate dai competenti organi e non siano iscritte nel bilancio della società. Si tratta dei cosiddetti fondi neri che già di per sè costituiscono illecito penale (falso in bilancio e appropriazione indebita) e che la legge numero 195 del 1974 ha (ulteriormente) sanzionato nei casi in cui finiscono nelle casse dei pa
rtiti. Successivamente, l'art. 4 della legge numero 659 del 1981 ha esteso la stessa sanzione ai fondi neri che finiscono nelle tasche dei singoli uomini politici (candidati alle elezioni. parlamentari, segretari di partito. ecc.). Questo, e soltanto questo, è il livello di tutela penale della trasparenza dei finanziamenti che, come ben si vede, non riguarda mere "irregolarità formali", ma la ben più sostanziale questione della loro provenienza dalla gestione criminosa dei patrimoni societari. Un secondo livello di tutela della trasparenza, che potremmo definire di ordine burocratico, è sancito dalla stessa legge numero 695 del 1981 che oltre a estendere ai singoli politici il reato previsto dalla legge del 74 impone ai benefattori e ai beneficiari (partiti o singoli uomini politici) di presentare una dichiarazione congiunta al presidente della Camera, quando le elargizioni superino i cinque milioni. La violazione di tale obbligo che non ha nulla a che vedere con il reato previsto dalle leggi del '7i e de
ll'81 è punito con una semplice pena pecuniaria. Si tratta, queste si, di mere "irregolarità formali" che non hanno alcun bisogno di essere depenalizzate per la semplice ragione che già oggi (e da sempre) non costituiscono "reato penale" ma solo un'infrazione amministrativa. A questo livello "burocratico" di tutela della trasparenza ha apportato marginali modifiche la recente legge del 1993 che si limita a stabilire che il tetto dei cinque milioni oltre il quale scatta l'obbligo di dichiarazione al presidente della Camera - deve essere rivalutato annualmente un base agli indici stabiliti dall'Istat e che, se l'elargizione riguarda le spese destinate alla campagna elettorale, la dichiarazione congiunta al presidente della Camera può essere sostituita da un'autocertificazione del candidato. Questo e non altro dice la legge del '93 sulla questione che qui interessa e perciò non è facile comprendere le imperscrutabili ragioni per le quali si è diffusa per fortuna in ambiti limitati, anche se, purtroppo, a volt
e molto autorevoli la singolare opinione che essa avrebbe già depenalizzato il reato di "finanziamento illecito" per i singoli politici, sicchè oggi si tratterebbe soltanto di fare opera di equità, estendendo tale depenalizzazione alle elargizioni destinate ai partiti. Può darsi che quella fosse la recondita intenzione dei legislatori del 1993, ma se cosi è, essa non ha lasciato alcuna traccia visibile nel testo della legge, che è quello che conta per definire simili questioni. Non è inutile notare, infine, che al di là dello "scandalo" politico la versione Giovanardi della depenalizzazione voluta dal Polo (sulla quale si registrano convergenze anche di gruppi dello schieramento di maggioranza) si potrebbe rivelare un boomerang anche sul piano giudiziario. Infatti, secondo una non peregrina interpretazione garantista, il reato di "finanziamento illecito" punito dalle leggi del '74 e dell'81 assorbe i connessi reati di falso un bilancio, appropriazione indebita e ricettazione. Ma tale interpretazione sareb
be certamente improponibile se il "finanziamento illecito" stesso diventasse una semplificazione amministrativa.