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Segreteria Rinascimento - 17 giugno 1997
Da "L'Opinione" del 17 giugno 1997 - pag. 4

GLI ITALIANI SONO STUFI DI QUESTO TEATRINO POLITICO

Di Enzo Balboni

E' difficile non individuare nel fallimento dei referendum la stanchezza degli italiani per una politica che sembra sempre più allontanarsi dai valori reali che dovrebbero muoverla e che si avvita e si incarta, molto spesso, un beghe di cortile. I commenti dei giornali lo hanno come comune denominatore, più o meno nascosto, ma le giustificazioni sull'assenteismo, colpiscono direttamente Pannella (per l'uso abnorme che fa dell'istituto) o, viceversa, colpiscono quelli che hanno invitato "ad andare al mare" (per la mancanza di democraticità dell'assunto).. La gente si può pensare, che non abbia ascoltato ne Bossi, né Pannella. C'è da credere che abbia ascoltato una voce molto interna, quella che le viene dalla consuetudine, ormai stratificata, che una volta fatti i referendum bisogna lottare per applicarli e battersi perché l'ordine dei giornalisti sia abolito o sia mantenuto in piedi e, cosa che non dà grandi pensieri al cittadino italiano (che stupido non è), di essere escluso dalla democrazia se non può imp

icciarsi di una categoria o se non può dire la sua sui cacciatori che abusano della legge per calpestare i terreni privati. Il problema italiano non è certo quello di mettere ordine tra i giornalisti o di autocertificare l'obiezione di coscienza senza dover passare attraverso una Commissione che costa allo Stato e ai cittadini e che non può certo cavare il ragno dal buco. C'è anche chi ha parlato di "fine del referendum" come istituzione. Non è la fine. E' soltanto che la gente vuole contare qualcosa. Vuole contare quando si decide per l'aborto, per il divorzio, per la Repubblica, perfino per il Bipolarismo, perfino per un esercito professionista. Siamo andati a votare, con D'Alema, Berlusconi, Pannella e tanti altri. Perché il voto è un diritto ed è bene esercitarlo, ma è evidente e questo è il dato oggettivo che i cittadini non hanno intenzione di essere presi in giro più che tanto. Si sono stancati senza essere presi in considerazione. Osservate il problema dell'agricoltura. E' chiaro che esso va gestit

o stando sempre più vicino alle zone di produzione; è evidente ai cechi che, specie in un Paese come l'Italia, non si può essere soggetti a direttive comunitarie soffocanti e, tanto meno, ad una politica nazionale che, gestita centralmente, pensa che le arance si possono coltivare anche nel Trentino, e le mele anche in Sicilia. E' chiaro che ogni regione, ogni provincia, dovrebbero farsi la loro politica, proprio perché la valorizzazione anche di altre risorse fa parte delle strategie minime. Se nell'agricoltura entra la demagogia mangeremo arance spagnole che fanno schifo

distribuite dalle multinazionali del risparmio ("discount"), pronte ad investirci di

prodotti di serie C sfruttando non solo il prezzo, logicamente inferiore, ma anche la

più capillare distribuzione che può consentire il dominio del mercato in ogni caso. E'

come se ci convincessimo che un quadro del Tintoretto varrà magari molto, ma che al

"discount" si può acquistare un quadro abbastanza bello, fatto in serie da un buon

grafico con qualche strumento sofisticato. Che "per mettere una macchia di colore sulla parete" va sempre bene. Non è vero che fossero peregrini i referendum da votare. Soprattutto quello sul Golden share, espressione misteriosa (significa pressappoco "opzione d'oro" ), che praticamente assegna allo Stato una ingerenza sostanziale nelle politiche delle aziende e degli istituti. In sostanza si sta andando verso un regime talmente "chiuso" da non consentire più sbocchi ai cittadini. C'è da leggere qualche altra cosa nella valanga assenteista la disaffezione per questo Stato. Questo Stato non piace più. Le Istituzioni sono vilipese, il Presidente della Repubblica fischiato dagli Alpini (pensate un po'!), Prodi contestato da tutti, Ciampi che si raccomanda alla Divina Provvidenza, l'esercito che si scopre diverso da quello degli "italiani brava gente" e mostra, se non altro un humus terrificante. Perfino un delitto gratuito maturato nell'Università di Roma, nella facoltà di Giurisprudenza e Filosofia del Diritto

, da dove escono i magistrati di domani. In quale abisso siamo caduti. E' pensabile che tutto questo sia solo in frutto del "tempo che passa"? L'assenteismo ai referendum è il segnale della disaffezione degli italiani alla politica intesa in questo modo. Al gioco delle parti, alla difesa di pochi interessi corporativi, di molti interessi di parte. Come dire il degrado di una immagine e di una nazione. Claudio Rizza scrive su "il Messaggero": "Il fantasma creato da Pannella era "double face". Doveva spaventare gli astensionisti, risvegliare le loro coscienze, spezzare le catene dell'indifferenza. E spingere la gente alle urne. Il fantasma, invece, si è rivoltato contro il suo ideatore. E ora i nemici dei referendum usaegetta avranno gioco facile nel sostenere che lo spettro è uno solo: Pannella Padre e killer dell'Istituto referendario, carnefice e vittima. Che fosse un errore quello di moltiplicare i referendum, di proporli a manciate e sugli argomenti più disparati (difficili da capire per gli stessi espe

rti, come il "golden share" o facili come quello sulla caccia) lo avevano detto in tanti, anzi quasi tutti. Compresi i leader di partito che, pur di salvare l'Istituto referendario da una deprecabile morte per consunzione, si erano dichiarati pronti ad andare al voto, appellandosi alla sensibilità degli elettori, ma senza spendere troppe parole sui sette quesiti proposti, evitando di accalorarsi. Brutto segno. Non sempre i politici interpretano male ciò che pensa la gente. Stavolta pare proprio che l'abbiano azzeccata. Ma una cosa forse l'hanno sbagliata tutti: sostenere che quello di ieri fosse un referendum sull'uso dei referendum è stata una forzatura esagerata. Dettata dalla voglia di trainare comunque alle urne chi non nutriva interesse nei sette quesiti. Ma di fronte a scelte importanti e coinvolgenti (ricordate i referendum di Segni?) è tutto da dimostrare che gli elettori non tornerebbero in massa a votare". Fin qui Claudio Rizza che coglie nel segno come uomo di buon senso, ma che non intravede (o n

on pensa di doverlo intravedere) che c'è qualcosa di molto più grave, di molto più marcio, dentro di noi. La sfiducia in questa democrazia che stiamo vivendo. Affonda, invece, il coltello, Salvatore Scarpino su La Stampa: "...In Italia, in questa triste stagione, non c'è nulla che legittimi l'evasione dalle angosciose questioni istituzionali, ma non c'è nemmeno nulla che induca a rivalutare la partecipazione popolare, lo slancio di chi voglia per un attimo trascurare casa e bottega per occuparsi della baracca di tutti. E nella combinazione di queste assenze che si dipana il dramma della democrazia italiana. La guardia è stanca: la gente è stanca, e si rifugia nel proprio "particulare", nei suoi specifici e dettagliatissimi interessi sperando che il loro esito non dipenda dall'andazzo generale. Il buon professor De Rita, che gli occhi e le orecchie del Censis e di consimili scientifici copioni, ci avverte da anni di questo disinteresse degli italiani attivi per il comune destino. Da anni ciascuno grida (senza

peraltro alzar sempre la voce): ognuno per se e Dio per tutti. Sempre che ci sia un Dio per gli apolidi e per i distratti. Era scritto che le frecce referendarie non colpissero il bersaglio. Ci siamo illusi, abbiamo sperato in un soprassalto di orgoglio." Caro Scarpino gli italiani, di questo teatrino politico non ne possono più.

 
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