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Segreteria Rinascimento - 17 giugno 1997
Da "Il Giornale" del 17 giugno 1997 - pag. 1 e 7

LA SCONFITTA DEI LIBERALI ALLONTANA L'ORA DELLE RIFORME

Di Massimo Teodori

Sul fallimento dei referendum sono state prospettate verità che colgono tutte qualche aspetto della questione ma che non illuminano a sufficienza il dramma del momento: la sconfitta dei liberali. Non si può nascondere che la caduta dei referendum, per la prima volta in maniera così larga e profonda, segna il netto insuccesso del variegato movimento per la riforma liberale del Paese. La maggior parte dei commenti che si leggono in queste ore contiene qualcosa di vero. Che i referendum erano troppi e poco comprensibili; che non ve n'era nessuno capace di parlare al cuore della gente; che i cittadini sono stati presi dalla noia del voto in presenza di scarsi risultati; che Pannella ha personalizzato eccessivamente la prova decretandone l'isolamento, che l'establishment partitico, giornalistico e intellettuale si è arroccato in difesa dei propri privilegi. Ma il punto che a nostro avviso merita maggiore attenzione riguarda la triste ora che stanno attraversando le battaglie liberali nel momento in cui tutti si

proclamano fittiziamente tali. Non c'è dubbio che il pacchetto referendario pannelliano, se pure superstite dalla decimazione effettuata dalla Corte costituzionale, rappresentasse ancora una polivalente iniziativa di segno

liberale in economia, nella giustizia, nel rapporto eticapolitica e nella giungla legislativa. Come è accaduto nel ventennio trascorso, anche questa volta l'istituto referendario era stato attivato con l'obbiettivo di liberalizzare lo Stato e la società e per dare un colpo ai poteri partitici, economici, sociali e corporativi cristallizzati nel tempo. I referendum falliti non solo avrebbero dato la parola alle decisioni popolari ma, come in passato, avrebbero avuto l'effetto di scongelare il sistema politico e di mettere in moto nel Parlamento alcune riforme civili da tempo sollecitate. La sconfitta di domenica è, dunque, una battuta di arresto nella liberalizzazione del Paese. Un grave e forse irreversibile segno che i liberali, trionfatori a parole, sono tornati a essere una minoranza esigua a fronte dei signori della politica più attenti a conservare gli equilibri partitici che non a perseguire cambiamenti a favore dei cittadini. Molti sono gli indizi che si inseguono secondo cui i liberali sono di nuovo

un'eccezione minoritaria piuttosto che la corrente dominante tra le forze politiche. In entrambi gli schieramenti, centrodestra non meno che centrosinistra, i protagonisti di autentiche battaglie liberali sono in difficoltà sia quando agiscono direttamente, sia quando tentano di influenzare i gruppi dirigenti dei rispettivi partiti e schieramenti. Il governo, dopo oltre un anno di attività, non è riuscito a mettere in cantiere una sola grande riforma, di quelle di cui si può dire che l'Italia si avvicina all'Europa occidentale. Nella Bicamerale regna il compromesso "basso" di bottega. L'elemento avvilente nella commissione per le riforme istituzionali non è che essa abbracci questa o quella soluzione per la forma di Stato o per il sistema elettorale, ma che sia dominata dalle tattiche particolaristiche pronte a svilire qualsiasi disegno volto a ridisegnare organicamente una Costituzione liberale. Si moltiplicano i raduni come quello di Castellanza che somigliano più a caravanserragli di persone dedite alla p

ropria sopravvivenza che non ad assemblee di politici pensosi dei destini della nazione. E, ancora peggio, si va perdendo tra la gente ogni speranza che il sistema sia in grado di riformarsi per via parlamentare o per via referendaria. E da quest'atmosfera che nasce il fallimento referendario. Anche se si è d'accordo nel ritenere che Pannella ha commesso l'errore titanico e l'errore eroico nel pensare di potere da solo muovere le montagne, non si può ignorare il fatto che la sconfitta del leader referendario segna il punto culminante del dramma dei liberali in Italia

 
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