NON PIU' DI QUATTRO ALL'ANNO
Di Paolo Barile
Alla vigilia degli ultimi referendum, eravamo stati dunque buoni profeti immaginando il senso della Costituzione" che gli italiani avrebbero manifestato in questa consultazione. E in effetti, attraverso la forte astensione che ha fatto mancare il quorum, il responso popolare ha confermato il nostro pronostico. Ora, tuttavia, occorre guardare al futuro e pensare alle prossime occasioni in cui i cittadini potranno essere chiamati ad abrogare o meno una legge dello Stato. Vorrei enunciare in proposito alcuni punti fermi. 1) Al contrario di quanto potrebbe apparire a prima vista, paradossalmente il rifiuto categorico di questi referendum da parte dell'elettorato ha salvato l'istituto stesso del referendum nel suo originario disegno costituzionale. Un istituto destinato a rettificare in via eccezionale (e non certo quotidianamente!) l'indirizzo politico parlamentare mediante l'appello al popolo, in modo da capovolgere decisioni di rilievo assunte dal Parlamento e ritenute ingiuste, non a intervenire ogni due per
tre su argomenti lontani dal nocciolo di quell'indirizzo. L'astensione in massa di domenica scorsa non ha distrutto niente. Gli italiani sono sempre andati a votare i referendum importanti e continueranno a farlo. Semmai, verranno esclusi referendum secondari dal punto di vista politico o culturale: e sarà senz'altro un bene. 2) C'è da augurarsi perciò che il lampante messaggio popolare sia rispettato dai promotori di futuri referendum: costoro, anche allo scopo di ottenere vittoria, dovrebbero tendere a impegnare l'opinione pubblica su semplici ma importanti temi di attualità (come la storia dei nostri primi referendum insegna), evitando in primo luogo l'ingolfamento di troppi referendum contemporanei che è stata la causa principale del fallimento di quelli odierni e poi l'accumulazione di materie eterogenee, spesso impossibili da tradurre in pillole, talvolta del tutto marginali (altro fatto che offende l'opinione pubblica). Quella che è stata chiamata la strategia dei "referendum a valanga" non è destinat
a a travolgere l'istituto costituzionale, ma anzi a riportarlo alle sue caratteristiche originarie. La valanga, piuttosto, è stata quella delle astensioni e alla fine ha travolto proprio chi l'aveva provocata. 3) Adesso, sarebbe quantomai necessario e prezioso un intervento parlamentare per completare la disciplina di questo istituto a livello di legge ordinaria. Si parla da tempo di aumentare il numero delle firme dei richiedenti, per esempio da cinquecentomila a ottocentomila o anche più. Personalmente, vedrei ancora meglio un controllo sull'ammissibilità del quesito da parte della Corte costituzionale a metà della raccolta delle firme, ma soprattutto l'introduzione di un tetto che impedisca d'indire più di tre o quattro referendum all'anno: gli altri, eventualmente, faranno la fila negli anni successivi. Fin dalle origini, la nostra è nata come una Repubblica parlamentare: ed è chiaro ormai che il popolo non intende adoperare "lo scettro del principe" al di là di ciò che è ragionevole e necessario. Il res
ponso di domenica dimostra una volta di più che la grande maggioranza degli italiani non vuole passare dalla centralità del Parlamento a quella del referendum. La regola è e resta una sola: il Parlamento legifera; la Corte costituzionale controlla, in quanto giudice delle leggi. Per il futuro, occorrerà dunque molta saggezza nell'apertura di possibili conflitti fra il corpo elettorale e il Parlamento, da arbitrare mediante referendum abrogativo. In democrazia, anche il silenzio dei cittadini conta. E questa volta il silenzio è stato assordante, per protestare contro l'uso indiscriminato dei referendum a raffica, tipici atti di eversione costituzionale.