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Partito Radicale Silvja - 17 giugno 1997
Da IL SECOLO XIX del 17 giugno 1997

IL SILENZIO NON E' COLPA

Di Dino Cofrancesco

Le ragioni che hanno indotto il settanta per cento degli italiani a disertare le urne e fare del referendum di domenica scorsa il nadir della partecipazione politica dal dopoguerra a oggi, sono state già ampiamente discusse dai mass media. Non sempre, per la verità, le analisi sono risultate obiettive e spesso l'esultanza per l'"abrogazione di Pannella" ha fatto velo a serie e fondate congetture. Ma c'era da aspettarselo. Una cosa è certa, però, ed è che il conservatorismo istituzionale ne è uscito rafforzato.

Il grande partito trasversale che, da destra a sinistra passando per il centro, vive di rimpianti e di nostalgie per la Prima Repubblica, ha tratto un profondo (e meritato) sospiro di sollievo, potendo ormai contare su quella che è stata spiritosamente definita "l'eutanasia da papocchio" della Bicamerale.

E tuttavia la tentazione di farsi gli interpreti ufficiali e autorizzati della stragrande maggioranza degli elettori, in una società civile, moderna, dovrebbe essere evitata. Chi non ha votato non merita né la bocciatura in educazione civica dei promotori del referendum, né le felicitazioni di quanti li avevano invitati a marinare i seggi. Una democrazia liberale matura registra comportamenti, non fa processi alle intenzioni: e, soprattutto si astiene dal colpevolizzare o esaltare, a seconda dei casi, le maggioranze silenziose. Se le regole e le procedure sono state rispettate, se le garanzie costituzionali, non hanno subito offesa, tutto ciò che viene dal popolo sovrano va rispettato.

Una cultura liberale non può consentirsi né il disprezzo del qualunquismo né quello del populismo.

Non può permettersi il disprezzo del populismo giacché esso è nel Dna della democrazia di massa: i partiti che promettono giustizia e libertà, pace e sicurezza, mercato e Welfare State - tutte cose buone ma non sempre, ahimè conciliabili cos'altro fanno se non del populismo? Ma non può permettersi nemmeno il moralismo antiqualunquista. Perché mettere alla gogna chi non vuole immischiarsi nella politica, chi non ha alcuna fiducia nello Stato e nelle autorità (e siamo sinceri, del tutto a torto?), chi non vuol sentire parlare di partiti? Il diritto a vivere nascostamente va riconosciuto a tutti. Va chiarito, però, che i passivi delegano agli attivi il potere e le responsabilità delle scelte pubbliche.

In un paese, caratterizzato da antiche istituzioni liberali, come gli Stati Uniti, la partecipazione politica è aperta a tutti ma non è obbligatoria per nessuno. Chi si interessa a un programma politico, a un candidato, a un quesito referendario va a votare, gli altri rimangono a casa. La legge non impone nessun quorum sicché è possibile che una percentuale di elettori, inferiore al 50%, decida per la maggioranza assenteista. I costituenti sapevano che, dinanzi a un problema cruciale per la convivenza civile, la drammatizzazione stessa della posta in gioco avrebbe indotto i cittadini a recarsi alle urne; ma sapevano pure che, se il quesito fosse risultato interessante solo per una minoranza e irrilevante per il resto della popolazione (nel senso che i suoi diritti, interessi e valori non ne sarebbero stati colpiti minimamente), non si sarebbe fatto alcun danno consentendo un cambiamento della legge nel senso desiderato da quella minoranza.

In Italia la richiesta del quorum si iscrive, in una filosofia politica più democratica-giacobina che democratico-liberale. Il 50 + 1 significa che il popolo deve scendere in piazza, farsi massa partecipante, pronunciarsi al gran completo sui quesiti che gli verranno sottoposti. E l'antica ossessione del numero e dell'onnipotenza della sovranità popolare. Se qualcosa sta a cuore solo a una minoranza risulta per ciò stessa delegittimata, come se non ci potessero essere eccellenti ragioni di cambiare una legge se ad avvertirli tali fossero soltanto tre cittadini su dieci. In realtà, il modo di pensare all'italiana ha una sua logica: se si ritiene, infatti, che la volontà popolare sia il fondamento di granito della sovranità e, quindi, del potere di fare le leggi, accertare la misura quantitativa in cui la volontà si è espressa è della massima importanza.

PARTE FINALE TAGLIATA E NON PUBBLICATA DAL GIORNALE:

Al contrario, all'interno di una democrazia 'liberale', dinanzi a quadri fissi ed eterni di diritti e di spettanze, il numero dei votanti non fa problema giacché non ci sono 'innovazioni' che possano mettere in pericolo la comunità politica e che, pertanto, comportino l'enfatizzazione della responsabilità con la conseguente verifica del numero degli elettori. Trattandosi di misure che non alterano in alcun modo le basi istituzionali della convivenza, a pronunciarsi sotto i diretti interessati, sulla base del principio che 'gli assenti hanno sempre torto' - ma solo nel senso che non possono lamentarsi di decisioni prese da altri ma che anche loro avrebbero potuto contribuire a prendere (o a non prendere).

 
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