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Segreteria Rinascimento - 18 giugno 1997
Da "IL FOGLIO" del 18 giugno 1997, pag. 3

IL GRANO TORMENTO DEL PDS SUL FINANZIAMENTO ILLECITO DEI PARTITI

Depenalizzarlo? Sì, no, fate un po' voi, secondo coscienza. Tra le coop emiliane e il pool di amni pulite.

Si annuncia un nuovo provvedimento per risolvere la questione dei contributi dati alle forze politiche. Gli uomini di D'Alema prima danno il via libera, poi si oppongono. Era già successo, esattamente allo stesso modo, con il decreto Conso. Ma questa qualcuno si ribella.

Roma. In questi giorni il Parlamento è impegnato a dibattere alcune grandi questiono accanto alla revisione della Costituzione che è affidata alla Bicamerale, l'aula e le commissioni di Montecitorio discutono la modifica di diverse leggi: innanzitutto alcuni articoli del codice di procedura penale e del codice penale. I giornali scrivono di quanto avviene attorno all'ormai famoso articolo 513, ma non hanno ancora illustrato il clima che si vive in Parlamento attorno alla legge che depenalizza il reato di finanziamento illecito ai partiti. Per darne un'idea riportiamo due brani del resoconto sommario della seduta della Camera di mercoledì 11 giugno: "Carlo Giovanardi osserva che il deputato Elio Veltri ha detto un cumulo di menzogne in quanto gli emendamenti da lui richiamati non riguardano il falso in bilancio nè la concussione nè la corruzione ne l'abuso d'ufficio (..) Chiede quindi al deputato Veltri perchè non si sia mai indagato sul le sue spese elettorali come invece è stato fatto per il deputato Bruno

Tabacci. (...) che è stato peraltro assolto con formula piena pur avendo vista troncata la propria carriera politica. Le affermazioni del deputato Veltri sono tipiche di un demagogo da quattro soldi". "Elio Veltri, parlando per fatto personale: "In riferimento a quanto detto dal deputato Giovanardi fa presente che è pronto a sottoporsi a tutti gli accertamenti che il collega ritenga opportuni (commenti del deputato Giovanardi che il presidente richiama all'ordine per la prima volta). In ogni caso annuncia che toglierà il saluto al deputato Giovanardi". I1 nervosismo, in realtà, dominava l'aula. ma non solo tra gli opposti schieramenti dei più o meno integri moralizzatori legati ad Antonio Di Pietro e di molti esponenti del Polo. Gli imbarazzi e le tensioni più pesanti si registravano sui banchi della Sinistra democratica. e più precisamente su quelli (molto silenziosi) del Pds. Era infatti successo che in sede del comitato dei nove (un'articolazione della commissione Giustizia che delibera quali reati da de

penalizzare debbano arrivare o meno alla discussione dell'aula) il voto a favore della discussione sulla depenalizzazione del finanziamento illecito ai partiti era stato ben strano. A favore avevano votato i rappresentanti del Polo e del Ppi; Sinistra democratica e Rifondazione si erano invece schierate contro e solo grazie all'astensione della Lega (il cui segretario Umberto Bossi è l'unico, assieme a Giorgio La Malfa, con condanna già al secondo grado per questo reato) il provvedimento è arrivato all'aula. Un percorso accidentato che ha messo di malumore molti esponenti del Pds soprattutto quelli dell'ala emiliana che, come è noto, è quella che più si impegna nel permettere al partito di sopravvivere economicamente e, dunque, quella i cui dirigenti sono più esposti al lavoro della magistratura. Malumore accentuato dall'evidente voltafaccia del vertice del Pds: la direzione stava mostrando, per l'ennesima volta, di non essere in grado di reggere una chiara posizione politica su un tema così scabroso e di c

edere a quel continuo ondeggiare, che una volta era attribuito al solo Achille Occhetto. Era stato Massimo D'Alema, in persona intervenendo in aula il 20 dicembre del 1996, a impegnare il Pds a un voto favorevole alla depenalizzazione del finanziamento illecito che ora veniva invece negato. Il segretario del Pds era intervenuto lungamente per esprimere il voto favorevole alla nuova legge sul finanziamento pubblico ai partiti (sulla base del cosiddetto 4 per mille e sull'esenzione fiscale del 22% sulle donazioni di privati dalle 500.000 lire ai 50 milioni) proponendo pero che la proposta della depenalizzazione del reato venisse spostata all'interno del più complessivo dibattito sulla depenalizzazione di tutti i reati minori. Zani: Non correre sempre dietro alla gente". Queste furono, allora, le parole di D'Alema: "Credo sia del tutto ragionevole pensare (qualora sia possibile operare la depenalizzazione senza intralciare l'accertamento della verità nei procedimenti giudiziari in corso riguardanti la vicenda d

i Tangentopoli) di affrontare tale questione nel quadro di ul1a legge appunto di depenalizzazione dei reati minori, perchè si tratta di un reato minore, di un reato di competenza del pretore. Questa questione, a mio giudizio, deve essere affrontata con equilibrio perchè non possiamo lasciare per il futuro una questione chiaramente anomala. (...) E' chiaro che questa anomalia può rimanere in piedi soltanto se pensiamo che i partiti siano associazioni per delinquere. Se invece pensiamo, dato che non siamo più di fronte ad in finanziamento pubblico, che la nuova legge che impone ed incentiva la trasparenza grazie all'incentivo fiscale, debba rivisitare al normativa sanzionatoria , ebbene, credo che su questo punto si potrà tornare con serenità e con equilibrio, essendo chiaro che la situazione attuale è del tutto anomala(..) Spero che si discuta a fondo della vita pubblica e amministrativa, di come si combatte la corruzione, di come la politica combatte tale fenomeno perchè quando avremo preso quelle decision

i saremo anche più forti e credibili nel pretendere che la giustizia faccia il suo compito e no quello della politica." Non e difficile immaginare lo sconcerto dei parlamentari del Pds quando, arrivati alla scadenza così prefigurata da D'Alema, vedono i propri rappresentanti votare addirittura contro il fatto che di depenalizzazione si possa discutere in aula. La reazione ufficiale è stata immediata e secca: l'ex segretario della federazione bolognese Sergio Sabattini, Mauro Zani, del coordinamento politico (anche lui ex segretario della ferderazione di Bologna) e una trentina di parlamentari, tra i quali Francesco Aloisio, Pino Petrella, Tonino Soda a Carlo Leoni, hanno sfidato il gruppo, preavvisando che se al voto nel merito in aula il Pds decidesse per il "no", prenderebbero la parola in dissenso e voterebbero a favore, Mauro Zani così spiega la sua posizione: "Sono favorevole alla depenalizzazione con tutte le mie forze e se il Pds restasse fermo sul 'no' voterei ugualmente si'. Del resto non comprendo

il perchè di tutta questa canea: quello che stiamo discutendo non ha nulla a che fare con Tangentopoli, i reati contestati in quel filone di inchieste sono quelli di corruzione, concussione e ricettazione. Soprattutto penso che una forza politica come il Pds non si possa acconciare alla vulgata corrente. Non può stare sempre appresso all'opinione pubblica." La riservatezza della Jotti sui bilanci. Più gravi ancora di queste defezioni alla disciplina di gruppo pare siano stati i preannunci di essere pronti a parlare, in ben altra sede, da parte di non pochi dirigenti importanti delle sedi periferiche, esposti in passato a inchieste giudiziarie o comunque a rischio. Il punto è quello toccato da Zani: il Pds non ha ancora deciso (sul tema) se stare o meno appresso all'opinione pubblica, come sempre ha peraltro fatto, Peppino Calderisi, Emma Bonino e Marcello Crivellini ricordano come più volte negli anni Ottanta siano intervenuti presso il presidente della Camera, Nilde Iotti, per ottenere che i bilanci dei par

titi (previsti dalla legge sul finanziamento pubblico) non fossero composti solo da un risicato prospetto dei movimenti finanziari (come la presidenza dalla legge sul finanziamento pubblico) non fossero composti solo da in risicato prospetto dei movimenti finanziari (come la presidenza della Camera aveva disposto), ma contemplassero l'obbligo della presentazione di un conto economico e di un controllo patrimoniale, ovvia premessa per un minimo di controllo reale sui flussi di cassa: "Permettere la conoscenza della stato patrimoniale dei partiti, della partecipazione a società, della situazione creditizia e debitoria, delle proprietà immobiliari, è rendere servizio ai cittadini e alla politica. Impedirlo, significa favorire nei fatti la politica della lottizzazione e della corruzione... del furto in nome del partito". Ma Nilde Iotti ha sempre negato questa modifica, con argomentazioni che val la pena di ricordare: conoscere i valori delle attività e delle passività dei partiti sarebbe stato fuorviante per la

pubblica opinione. Il presidente della Camera aveva così chiosato l'argomento: "In qualche caso, poi, si avrebbe un deficit patrimoniale che potrebbe mettere in imbarazzo alcuni partiti nei confronti dell'opinione pubblica". Questo atteggiamento non era solo del presidente della Camera era stato proprio il voto determinante delle regioni controllate dal Pci (Emilia Toscana, Umbria e Marche), con percentuali vicine al 78% dei "no", a determinare nel'79 la bocciatura del referendum radicale sull'abolizione del finanziamento pubblico che aveva invece vinto in tutte le altre regioni. Anche se poi quel voto popolare venne subito tesaurizzato dal Pci che lo usò, complice la Dc, per ottenere le dimissioni del presidente della Repubblica Giovanni Leone. La linearità di Scalfaro. Ma il velo capolavoro di oscillazioni ondivaghe sul tema del finanziamento pubblico fu tenuto dal Pds in occasione della presetazione del cosiddetto 'decreto Conso ' da parte del ~ governo di Giuliano Anato nel marzo del '93 Quel decreto era

stato contrattato parola per parola dall'allora Guarasigilli con Oscar Luigi Scalfaro, che aveva a sua volta intessuto una rete di contatti e verifiche che impegnavano in prima persona la segreteria del Pds Nel decreto l'illecito penale veniva derublicato a illecito amministrativo. Per chi aveva violato la legge precedentemente in vigore ora abrogata erano previste sanzioni pecuniarie pari al triplo della somma ricevuta; se il singolo non avesse potuto farvi fronte il pagamento sarebbe stato chiesto al partito di appartenenza e il colpevole di finanziamento illecito sarebbe stato escluso per cinque anni da tutte le cariche pubbliche e private. Ma il pronunciamento del pool di Mani pulite e la comparsa del "popolo dei fax" portarono, alle nove e quindici dell'8 marzo 1993 alla consacrazione del potere di veto della procura milanese sul processo legislativo del Parlamento italiano. Scalfaro fece finta di non sapere nulla del testo del decreto legge di Conso e si rifiutò di firmarlo, impedendone la promulgazio

ne consacrando così col proprio avallo il ruolo legislativo dei magistrati milanesi. I1 decreto fu ritirato dal governo. Il Pds considerò la vittoria del pool come una propria affermazione. Passati quattro anni, molti pensavano che la situazione sul fronte della procura di Milano si fosse normalizzata, ma così non è, e il procuratore Gerardo D'Ambrosio continua a combattere, anche con qualche buon argomento: "sono convinto che non passerà. Tra l'altro, questa norma, a chi la propone, porta iella".

 
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