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Partito Radicale Silvja - 19 giugno 1997
da LA DISCUSSIONE del 19 giugno 1997

REFERENDUM E MEZZE VERITA'

Di Piercarlo Fabbio (dirigente nazionale organizzativo ed elettorale del Cdu)

Non pochi commentatori si sono scagliati sull'abuso dell'istituto referendario alla luce del grande rifiuto messo in essere dalla maggioranza degli elettori italiani nella giornata di domenica 15. Molti non si sono trattenuti. Il pensiero convenzionale che è oggi quello della sinistra aveva pregiudicato "cattivi" i referendum e "untore" Marco Pannella. Non poteva che scaturire, da questa congerie del pensiero progressista, un attacco stolto e inutile alla democrazia diretta. C'è perfino chi si è dato al pulp, indicando in un massimo di quattro i referendum ammissibili in un anno come l'optimum. Chissà poi per quali recondite armonie ciò dovrebbe succedere in detta quantità. Come se in quel mix sempre mobile tra elementi di democrazia rappresentativa, diretta e della partecipazione, si potessero riscontrare necessariamente rigide linee di demarcazione. Come se la democrazia, insieme al comune senso del pudore o al senso del bello avesse una dotazione numerica fissa da rispettare. Mentre è emerso da una ric

erca di mercato - condotta da una prestigiosa azienda del settore che l'optimum starebbe nel proporre solo un referendum e mezzo ogni anno.

Perché un referendum, pur se non procura effetti, comunque funziona se: serve sul piano politico, orienta un percorso in termini legislativi, mostra ai partiti il termometro dell'attaccamento dei cittadini alle istituzioni in genere, suggerisce alle forze politiche che vogliono avere un reale contatto con la società - anche quando minoritarie - tendenze e opinioni su temi di grande e piccola importanza, svecchia il modo di pensare dell'immaginario collettivo, imponendo ad esso riflessioni su questioni sistemiche da tempo - pure troppo - sedimentate.

Troppi sono stati, ed affrettati, i sostenitori di revisione dell'istituto, a colpi di quorum sì, quorum no, come se ci trovassimo in un film di cappa e spada.

Casomai l'unica seria proposta è della senatrice Ida Dentamaro, che prevede un aggiustamento del numero delle firme da raccogliere, sia in base all'aumento della popolazione dal 1946 ad oggi, sia per rafforzare la soglia del rispetto. Se poi dovessimo ragionare in termini di "convenienza politica", il nostro interesse sarebbe quello - vista la piccola consistenza e la scarsa possibilità di incidere fattivamente sui temi in discussione di essere non solo sostenitori, ma partecipi, in prima persona, dell'uso dello strumento referendario. Spirito, questo, colto compiutamente dal presidente della Regione Lombardia Formigoni e dalle altre Regioni che hanno aderito all'idea di sottoporre ai cittadini italiani questioni di grande attualità, laddove lo Stato si era reso momentaneamente latitante.

Sul quorum, va infine detto che esso è a tutela di un diritto. Non quello dei "no", ne quello dei "sì", ma quello dell'astensione. Cioè di una ben individuata posizione di voto. Una terziarietà che è dubbio, incertezza, oppure menefreghismo. In ogni modo "opinione". Sostenere che non andare a votare equivale a votare no è solo una mezza verità. In caso si dovesse raggiungere più del 50% nella partecipazione, i non votanti finirebbero per favorire la maggioranza di espressione del voto. E allora perché privarci di una graduazione in più delle posizioni di voto? Perché rendere più sommario di quello che è già, il voto dell'assemblea che di riunisce nell'agorà?

L'altra questione che i referendum pongono è l'incontrarsi delle culture. Ce ne sono almeno tre - fra quelle che mi interessano più da vicino - che, attraverso i referendum, "rischiano" di trovare facilmente punti di contatto: quella cattolica, quella liberale e quella libertaria. Culture alternative, ma contrarie al dirigismo e al centralismo di sinistra. Purtroppo negli ultimi tempi, hanno fatto a gara nell'individuare differenze, piuttosto che convergenze. Un maggior confronto sul terreno programmatico eviterebbe sterili e inutili steccati ideologici. E' quanto ci auguriamo.

 
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