L'EX CATTIVO MAESTRO HA NOSTALGIA DEL CIELO
Negri: "Vorrei rivedere il mio Veneto"
di Fabrizio Ravelli
MILANO L'ultima volta che lo abbiamo visto in televisione è stata nel febbraio '95, intervistato da Piero Chiambretti nella sua bella casa di Montpamasse. Alla fine, abbassando la voce in un sussurro disse: "Sa cosa le dico? Sono io il Grande Vecchio...". E scoppio in una delle sue risatine, quella specie di nitrito che certamente gli ha procurato più antipatie di molte opinioni politiche. Grande Vecchio magari no, ma vecchio il professor Antonio Negri detto Toni lo è indubitabilmente: ha 64 anni. Si può capire che abbia una gran voglia di tornarsene in patria: "Vorrei rivedere il mio Veneto, i suoi cieli, la casa di montagna in cui andavo bambino", ha confessato, ed è la sola confessione che gli sia mai uscita di bocca. Quella volta, Chiambretti, il professore fu squisito. Apri una bottiglia di Cotes du Rhone, e si assoggetto anche al rito dell'autografo per un componente dello staff. Due volte, perché la prima versione "Antonio Negri" non soddisfaceva chi aveva commissionato la richiesta. Racconto anche di
aver seguito in televisione con "piacere enorme" le cronache del processo Cusani: "E' stata una terribile vendetta, una vera nemesi. I miei compagni ed io fummo spinti all'insurrezione dalla politica immorale della Prima Repubblica". Il professore si sentiva una specie di precursore di Mani Pulite. Gli chiesero se il suo esilio era uguale a quello di Bettino Craxi ad Hammamet, e lui rispose piccato: "Lui vive di rendita e io di lavoro. Craxi fa parte di quella cleptocrazia che ho combattuto ferocemente, e sono qui anche per questa ragione". L 'exonorevole Toni Negri. I radicali lo fecero eleggere in Parlamento, per tirarlo fuori di galera, e mentre si discuteva l'autorizzazione a procedere lui scappò a Parigi. Era il 1983 si era fatto quattro anni e mezzo di carcere preventivo duro, negli "speciali": in cella aveva scritto un libro su "Spinoza sovversivo". E certo, l'ha ripetuto spesso, non tornerebbe in Italia è per morire in carcere". Quando, nel febbraio scorso, Giorgio Pietrostefani lasciò Parigi e venn
e in Italia per farsi incarcerare insieme ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, lui non nascose il suo scetticismo verso questa scelta. A Sofri che diceva "fuori dal carcere a testa alta o con i piedi avanti" rispose che gli pareva "una sciocchezza": "Basta con il romanticismo. Deve pensare a liberarsi e a liberare gli altri. Oggi le condizioni ci sono". E le condizioni, per il professor Negri, sono quelle di un paese dove tutto è cambiato, anzi "dove è finito un periodo politico". Lui si sente cosi: "Ho l'impressione di essere un brigante meridionale condannato dai Savoia che si risveglia dopo la Resistenza ed è ancora in galera". Una galera per modo di dire, perché certo l'esilio di Negri è sempre stato quello di un facoltoso professore bene accetto nella comunità culturale francese, e riverito per la sua scintillante intelligenza. Mica come quello di Oreste Scakone, per dire un altro dei rifugiati a Parigi, ridotto per vivere a suonare la fisarmonica nei bistrò. Anche nella comunità degli esiliati il profe
ssore ha sempre goduto di uno status a sé. Come ai vecchi tempi in Italia. Allora scriveva: "Immediatamente risento il calore della comunità operaia e proletaria, tutte le volte che mi calo il passamontagna. Ogni azione di distruzione e di sabotaggio ridonda su di me come segno di colleganza di classe. Nè l'eventuale rischio mi offende: anzi, mi riempie di emozione febbrile come quando attendo l'amata". Figurarsi se il professore si è mai calato un passamontagna. Al massimo, per usare una sua espressione, "s'è sporcato le mani nel Movimento". Lo scrisse nell'81 al giudice Domenico Sica, per difendersi: "Personalmente non sono mai stato un terrorista, e se mi sono sporcato le mani nel Movimento non è certo stato per costituire bande armate, ma per impedire che le tensioni presenti nel Movimento le producessero...Non mi sono mai associato a nulla che puzzasse di terrorismo". Dal suo esilio, in questi anni, il professore s'è fatto vivo in rare occasioni. Vive proteste suscito, nella redazione del Giorno, la pub
blicazione di un suo scritto sulle elezioni francesi del 1993, richiesto dall'allora direttore Paolo Liguori. Si sa che apprezza le doti di Umberto Bossi: "Un vero rivoluzionario, ha incarnato l'unica vera forza rivoluzionaria che si sia presentata in Italia dopo la fine dei movimenti degli anni Settanta. Ha avuto parole di elogio per Silvio Berlusconi: "E' riuscito a fare alleare le due destre popolari, smussandone i tratti folcloristici, sulla base di un'ideologia radicalmente liberale". Ha pure lodato il "capitalismo innovatore" dei Benetton, scrivendo sul catalogo di una mostra delle fotodi Oliviero Toscani. Insomma, come si fa a pensare che il professor sia ancora un "cattivo maestro" della sovversione, o peggio addirittura il "Grande Vecchio"? Roba da far levare alto un nitrito.